(di Agostino Spataro) -  Il sei giugno voteremo per rinnovare il Parlamento europeo o per sottoporre a verifica politiche, equilibri ed assetti di potere dei partiti italiani? Domanda molto pertinente visto come si sta procedendo nella scelta delle candidature in Sicilia e altrove. Di programmi manco a parlarne. Specie nel centro destra si è a caccia di nomi roboanti,

acchiappavoti per orchestrare una campagna elettorale ad uso interno, quasi di tipo plebiscitario, che nulla avrà a che fare con l’Europa e i suoi problemi. Non è che il centro-sinistra stia facendo salti mortali per cercare il meglio, tuttavia sembra andare in una direzione più aderente con il carattere della consultazione. Certo, è bene attendere la presentazione di liste e programmi prima di formulare un giudizio definitivo, tuttavia dai primi nomi circolanti si può ricavare netta la sensazione che a tutto si pensa tranne che a rafforzare il ruolo di questo Parlamento europeo, sempre più evanescente e senza poteri legislativi, che, con tutto il rispetto, rischia di ridursi ad una costosa nullità. Sarebbe, invece, interesse di tutti i partiti, soprattutto in Sicilia dove il livello del degrado politico è davvero preoccupante, produrre uno sforzo selettivo severo, motivato per offrire agli elettori nomi di personalità e di operatori onesti e competenti, di giovani e di donne davvero rappresentativi di quest’Isola che guarda all’Europa come ultima speranza per il cambiamento e non per restare impantanata nel sottosviluppo e nel malaffare.

Yesman legati al capo da una fedeltà arborescente

Invece, sembra che si stia facendo l’esatto contrario. Come sta avvenendo nel PdL e, in generale, nel centro-destra, dove, oltre alla performance da superman elettorale di Berlusconi, si annuncia una miriade di candidature- beffa di presidenti di regione, assessori, ministri, parlamentari, sindaci e quant’altro i quali si presentano per essere eletti e lasciare il posto ai non eletti. Non si tratta di una stravaganza ma- come vedremo- di un preciso calcolo politico da realizzare senza andare troppo per il sottile. In tal modo, l’elettore voterà per il tal candidato anche se sa, in partenza, che questi non andrà a Strasburgo, ma resterà abbarbicato nelle più comode poltrone del potere nostrano, lasciando il seggio a figure politicamente insignificanti legate al capo da un’arborescente fedeltà, uomini-chiave capaci di aprire o di chiudere, secondo il bisogno, i forzieri del potere clientelare. Insomma, grazie a questi giochetti, la gran parte delle candidature, fin qui annunciate, sono solo specchietti per le allodole, espedienti per acchiappare voti. Non mancano nomi, a dir poco, sorprendenti come quello dell’ex senatore catanese Nino Strano che il PdL, partito dei presidenti di Camera e Senato, candida quasi per premiarlo per avere “mangiato la mortadella” sui banchi del Senato ovvero oltraggiato la dignità di un’istituzione fondamentale della Repubblica. Si obietterà: ma la gente perché li vota? Questo, lo confessiamo, è il più grande enigma della politica italiana dell’ultimo ventennio.

I rischi di una partitocrazia senza partiti

Vale ricordare che questo malcostume politico è reso possibile da leggi elettorali a dir poco permissive che, per garantire l’auto-conservazione del ceto politico, hanno quasi del tutto abolito i limiti di eleggibilità. Oggi, nel centro sinistra molti se ne lamentano. Anche se nulla è stato fatto per modificare il perverso meccanismo legislativo e re-introdurre un severo sistema di ineleggibilità ossia per rendere impossibili le candidature incompatibili con l’incarico detenuto. Così come nessuno si è mosso (tranne l’Udc) per ripristinare le sacrosante preferenze alle nazionali che erano la principale arma dei cittadini per selezionare la classe dirigente del Paese. A ben guardare, da quando sono state abolite le preferenze la democrazia italiana, le istituzioni parlamentari e di governo si mostrano sempre più fiacche, separate dalla società. Praticamente, una decina di persone si arrogano, di fatto, il diritto di “nominare” dall’alto il Parlamento italiano (Camera e Senato) e meno di una diecina i governi. E così i parlamentari “nominati” si preoccupano di guardare solo verso l’alto, cioè verso la fonte della loro nomina, e non vedono quello che succede in basso, nella società. Di questo passo, si allargherà la divaricazione fra cittadini e politica e istituzioni. La democrazia italiana rischia tantissimo. Già oggi la vediamo annaspare, pericolosamente. Domani potrebbe precipitare nel baratro di una crisi irreversibile, verso una partitocrazia senza partiti.

I politici debbono risolvere i problemi non piangervi sopra

Ma torniamo alle discutibili modalità di scelta delle candidature europee che, purtroppo, sembrano aver contagiato anche il partito di Di Pietro che vuole ricalcare le orme del detestato avversario. Altro che Europa! L’orizzonte della politica nostrana raramente riesce ad oltrepassare la soglia domestica. Vista dalla Sicilia, l’Europa resta lontana ed è solo una vacca da cui mungere contributi per progetti in gran parte inutili per la comunità, ma molto utili per foraggiare schiere di clientes che vivono aggrappati alla fantasiosa programmazione dei fondi europei garantiti fino al 2013. Chi andrà a Bruxelles dovrà solo assicurare la continuità dei flussi, anche se poi saranno spesi male o non spesi affatto. L’importante è avere le casse regionali piene e promettere a questo e a quello. Questa è la “filosofia” che sottende la politica europeista di queste regioni e la scelta dei candidati. Anche in questa fase critica che postula una maggiore coesione e un avanzamento della costruzione europee, l’avvio del partenariato euro-mediterraneo per dare una nuova prospettiva di sviluppo alla Sicilia e al Meridione e un contesto di riferimento ai Paesi rivieraschi coi quali cooperare, anche per risolvere la questione drammatica delle migrazioni destinate a crescere nel prossimo futuro. Problemi tragici che non si risolvono col pianto, ipocrita, dei governanti e dei politici ogni qual volta affiora un cadavere dalle acque del Mediterraneo. I politici debbono risolvere i problemi e non piangervi sopra.

L’Aquila e Lampedusa capitali del dolore universale

Di tutto ciò ed altro si parlerà nei comizi, in televisione. Lampedusa e l’Aquila saranno le nuove capitali del dolore universale. Una messinscena per nascondere il fatto che il voto di giugno sarà un pretesto per una serie di verifiche elettorali fra i partiti e al loro interno e per aggiustare gli assetti gerarchici dei gruppi dominanti dei partiti che puntano sul candidato maneggione, acchiappavoti come si fa all’ippodromo con i cavalli più dotati. Ovviamente, nessun riferimento a fatti e persone, il paragone serve solo per rendere più chiaro il concetto e per ricordare che c’è una differenza fra l’ippica e la politica. Anche se nella storia romana si ricorda che Caligola giunse a nominare senatore il suo cavallo. Tutto può succedere, ormai. Anche se pensiamo che nessuno vorrà seguire l’irriverente esempio imperiale, anche perchè si potrebbe rischiare di scendere al di sotto della succitata categoria zoologica. Ma ci dobbiamo rassegnare a tutto ciò o si può fare qualcosa per contrastarlo e cambiare? Credo che si possa fare molto, usando al meglio la leva del voto di lista e di preferenza che ancora resiste in questa consultazione, selezionando liste e candidati che più rispondono al nostro desiderio di cambiamento. La miglior risposta sarebbe quella di bocciare, con la preferenza, i candidati-beffa. Vedrete che la prossima volta non ci saranno candidature del genere. O saranno abolite le preferenze anche per le europee. Agostino Spataro