ROMA - L’iter per il rinnovo dei comites è sostanzialmente concluso. L’auspicio è che le liste che sono state promosse dalle associazioni abbiano un buon risultato. C’è infatti bisogno di strumenti di democrazia partecipativa che va tenuta distinta da quella, altrettanto importante, dei partiti, senza, tuttavia, commistioni di ruoli. Lo abbiamo più volte affermato anche se non sembra che da parte dei partiti politici sia stata effettivamente compresa tale necessità. Dal 5 al 6% è la percentuale di chi si è iscritto nei registri elettorali. Si potrà certo dire che ciò è dipeso dalla delegittimazione degli organismi a causa della troppa attesa per il loro rinnovo, ma certo ha pesato molto il ridursi, oltre ogni peggiore ipotesi, della fiducia degli italiani nei partiti politici. Nessuno dovrebbe compiacersene e tuttavia qualche domanda sulle cause alla base di tale perduto appeal meriterebbe una risposta. Tutto il contraddittorio iter che ha portato al rinnovo dei Comites segnala che da parte del governo, e del partito che ha al suo interno maggiori responsabilità, si è prima deciso e poi si è contraddetto le decisioni prese, in modo auto referenziato, e non ascoltando le voci preoccupate di molti. Trionfalismo immotivato nella prima fase e giustificazionismo senza ragionevoli “pezze d’appoggio” nella seconda, quando, alla fine, sono stati fatti slittare i tempi dell’iter precedentemente deciso. In queste ore stanno ritornando gli inviti ad apprezzare comunque il fatto che di nuovo vi saranno Comites e che anche per il Cgie le cose si stanno muovendo. Non staremo a svalutare anche gli esiti insoddisfacenti che comunque tali restano. Ci si domanda se fa bene ai cittadini italiani all’estero il fatto che si vuole mantenere un basso profilo, e che non si vuole discutere e risolvere le cause più generali che ci stanno portando, senza almeno qualche serio aggiornamento della normativa, a Comites così poco rappresentativi e ad un organo consultivo, il Cgie, così drasticamente ridotto nella sua composizione e nel suo ruolo. Ci si domanda cosa ci si possa aspettare, quanto a obiettivi raggiungibili, da organismi configurati in tal modo, senza veri sostegni, calati come sono dentro una situazione più generale di riduzione del ruolo dell’Italia nelle e per le comunità italiane all’estero. Per gli italiani all’estero possiamo dire che siamo già dentro uno “stato minimo”. La nuova emigrazione - fatta di persone che si muovono per lavorare e che hanno problemi nuovi e diversi rispetto al passato - avrebbe bisogno di servizi di supporto dei nostri consolati, mentre le associazioni potrebbero seguitare svolgere un ruolo sussidiario, certo non esclusivo, come è sempre avvenuto. Il quadro è sbilanciato proprio perchè il grande assente è lo Stato. La realtà è che le persone che ogni anno emigrano lo fanno con il sistema “fai da te”. Nei paesi di accoglienza, soli di fronte ai problemi, molti giovani stanno incominciando anche a darsi forme di autorganizzazione dei loro bisogni. L’associazionismo intende promuovere concrete forme di sostegno prima della partenza e di affiancamento poi nel periodo di primo impatto nei paesi d’accoglienza. Ne parleremo il 3 e 4 luglio agli Stati Generali dell’associazionismo degli italiani nel mondo. Misurarsi direttamente con la concretezza delle situazioni delle persone, mirare, con attenzione disinteressata, alla promozione umana e sociale dei nostri nuovi emigranti è una occasione unica per uscire dal gioco di specchi nel quale da tempo ci si trova a muoversi. (rino giuliani*\aise) * vicepresidente dell’Istituto Fernando Santi