«La nostra unione manca di Europa. La nostra Europa manca di unione». Queste parole del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker sono state probabilmente l’atto più forte di autocoscienza critica che i dirigenti dell’Unione abbiano mai fatto nella non breve storia di questa istituzione. È quanto mai significativo che questo sia avvenuto in occasione della presentazione di un nuovo piano di accoglienza dei rifugiati. Le migrazioni, dunque, anche per diversi leader dei paesi europei, per lungo tempo paralizzati dalle reazioni dell’opinione pubblica e attestati sulla difesa dei particolarismi nazionali, si sono dimostrate, oltre a una drammatica emergenza, uno spartiacque storico e culturale. Lo stesso moderato Juncker, rivolgendosi ai gruppi estremisti e xenofobi, ha affermato: «Il fatto che migliaia di persone vogliano trasferirsi in Europa per fuggire alla guerra e alla dittatura non è un fenomeno di cui avere paura, ma di cui andare orgogliosi». Non si poteva esprimere più chiaramente il passaggio di cultura politica che stiamo vivendo e il discrimine etico che oggi attraversa le popolazioni europee su queste questioni. Queste posizioni sono state certo favorite dal cambiamento di orientamento di alcuni Paesi, ad iniziare dalla Germania, ma sono state anche determinate dall’affiorare – finalmente – di un sentimento popolare di solidarietà vasto e trasversale. Gli applausi ai migranti dei cittadini di Monaco, la mobilitazione di quelli di Berlino, la “carovana della speranza” di Vienna, l’apertura delle parrocchie alle famiglie bisognose di ospitalità, il soccorso spontaneo di coloro che arrivano stremati sulle coste italiane e greche sono l’espressione non solo di un’etica dell’apertura e dell’accoglienza, ma anche di quella “civiltà europea” che sembrava sotterrata sotto cumuli di detriti nazionalistici e di egoismo sociale. Non si tratta, comunque, solo di questo. Dietro la decisione di accogliere 160.000 rifugiati in due anni, di stabilire quote obbligatorie, di rendere permanente un meccanismo che finora è stato di pura emergenza, di prevedere un fondo di investimenti nelle realtà di partenza, di superare l’inadeguato progetto Frontex non vi è solo la pressione di una più reattiva opinione pubblica, ma anche alcune razionali valutazioni che devono sempre stare alla base di un progetto politico. La prima è che la migrazione verso l’Europa non si può fermare con alcun mezzo di contrasto perché nasce da fattori obiettivi e profondi; la seconda è che, alla luce di questa acquisizione, è interesse dell’Europa trasformare una massa tanto consistente di rifugiati in un fattore positivo di amalgama sociale e di sviluppo. Gli analisti, ad esempio, sono concordi nel ritenere che il welfare europeo, che è stato un modello invidiato in tutto il mondo, si potrà salvare solo con l’apporto delle nuove generazioni di lavoratori immigrati. Allo stesso tempo, una concreta prospettiva di sostegno allo sviluppo si può costruire ora che si manifestano segnali di ripresa dell’economia europea. Per l’Italia, i vantaggi più importanti possono derivare dal sostegno al sistema di previdenza sociale, dall’allargamento degli orizzonti di internazionalizzazione, che già si giovano della rete delle comunità emigrate, e dal rafforzamento del suo ruolo strategico nell’area del Mediterraneo e del Medio Oriente. I deputati: Farina, Fedi, Garavini, La Marca, Porta, Tacconi