Un’analisi di numeri e profondità sociale dell’emigrazione italiana che certifica come il nostro Paese sia ancora, e sempre di più in questi ultimi anni, punto di partenza per flussi di connazionali in uscita. 4.636.647 i cittadini italiani iscritti all’Anagrafe dei residenti all’estero al 1° gennaio del 2015, cresciuti del 49,3% rispetto al 2006. Di oltre 154.000 la crescita solo nel 2014. Claudio Micheloni: “I tempi sono cambiati, ma la storia del popolo migrante è sempre la stessa. Esso è lo specchio della nostra cattiva coscienza e ci mette di fronte a responsabilità e a ciò che della nostra realtà non vogliamo vedere” Perego: “Stiamo vivendo una nuova stagione dell’unica storia dell’emigrazione italiana, una stagione segnata dalla crisi economica, che determina la crescita di nuovi flussi in uscita” ROMA – È stato presentato a Roma il X Rapporto Italiani nel mondo della Fondazione Migrantes, analisi di numeri e profondità sociale dell’emigrazione italiana che certifica, grazie al suo lavoro decennale, come il nostro Paese sia ancora, e sempre di più in questi ultimi anni, punto di partenza per flussi di connazionali in uscita. I 4.636.647 cittadini italiani iscritti all’Anagrafe dei residenti all’estero (Aire) al 1° gennaio del 2015 sono cresciuti infatti del 49,3% rispetto al 2006, con un aumento di partenze registrato in particolare negli ultimi 3 anni. Le iscrizioni all’Aire nell’ultimo anno sono state 154.531, un 3,3% in più rispetto al 2014, numeri importanti ma spesso oscurati dalle immagini più mediaticamente efficaci degli sbarchi di migranti sulle nostre coste o dalla consuetudine ormai invalsa di considerare la Penisola unicamente come meta di immigrazione. “Siamo ancora emigranti, in parte per bisogno, in parte per scelta – ha affermato Paolo Ruffini, direttore di Tv2000, presentando il video sui principali numeri e aspetti del Rapporto con cui si è aperta la presentazione moderata dal giornalista di Avvenire Mimmo Muolo. “Che l’Italia si sia trasformata in terra di immigrazione è uno slogan che poteva essere vero qualche anno fa – ha ribadito il presidente della Fondazione Migrantes mons. Guerino Di Tora, rilevando come l’analisi costante della mobilità umana sia indispensabile per “accompagnare il migrante”, compito che la Chiesa si propone nel suo mettere al centro la persona. Strumento per guidare meglio questo affiancamento, svolto, per gli italiani all’estero, dalle missioni cattoliche italiane che ne supportano l’integrazione nei diversi contesti di approdo, è appunto il Rapporto, che si avvale della collaborazione con diverse strutture per un’analisi condivisa messa a disposizione della società civile e delle istituzioni – segnala Di Tora. A illustrare i principali contenuti di questa nuova edizione del Rapporto la curatrice Delfina Licata, che segnala in premessa come il fenomeno della mobilità sia per sua stessa natura soggetto a trasformazioni che richiedono attenzione costante e sensibilità capace di guardare oltre i numeri, alla vita e alle esperienze concrete delle persone. Per questo il Rapporto affianca ai dati quantitativi sezioni speciali di approfondimento, legate alla memoria dell’emigrazione (sono ricordati quest’anno la tragedia di Mattmark, costata la vita a molti lavoratori italiani emigrati, il terremoto del Fucino del 1915, l’esperienza di emigrazione di Pietro Corti e di Luigi Peruzzi, o la Grando Guerra di emigrazione), a riflessioni su singoli aspetti della mobilità (quella giovanile), ad esperienze contemporanee (richiamata per esempio quella di don Noè Tamai, che continua a dedicare la sua vita ai connazionali in America Latina aiutando la ricostruzione genealogica necessaria al riconoscimento della cittadinanza italiana) o a percorsi poco conosciuti come quelli dei mestieri dell’emigrazione italiana all’estero. Tornando ai dati, Licata segnala come coloro che hanno trasferito la loro residenza all’estero per espatrio da gennaio a dicembre 2014 siano stati 101.297, in prevalenza uomini (56%), celibi (59%), tra i 18 e i 35 anni (35%), partiti principalmente dal Nord Italia per trasferirsi soprattutto in Europa. Alla più consistente ripresa dei flussi in uscita dal nostro Paese di questi ultimi anni corrisponde infatti un maggior dinamismo delle regioni settentrionali – mentre tradizionalmente era il Meridione il luogo di provenienza di molti connazionali emigrati. E pur restando la Sicilia con 731.483 residenti all’estero la prima regione di origine dei connazionali, seguita da Campania, Lazio e Calabria, aumentano di 24 mila i lombardi e di 15 mila i veneti. Degli oltre 4 milioni di residenti all’estero, 2,5 milioni sono gli iscritti per espatrio e 1,8 milioni per nascita, il 53% si trova in Europa e il 40% in America, e il 51% proviene dal Sud Italia, il 33% dal Nord e il 15% dal Centro. Gli anziani sono 922 mila, 707 mila i minori e il 48% sono donne. Licata parla poi di uno “svecchiamento della collettività italiana all’estero, dal 2006 ad oggi, grazie all’incremento consistente dell’emigrazione registrato in quello stesso periodo”. La Germania è la meta preferita nell’ultimo anno (14 mila trasferiti), seguita da Regno Unito (13 mila), la Svizzera (11 mila) e la Francia (9 mila). In calo, anche se di poco, rispetto allo scorso anno, la Cina (-0,9%), l’Argentina (-3,6%), il Canada ( -3,9%) e, in modo consistente invece, il Venezuela (-19,8%). 110 la provincie italiane coinvolte quali territori di origine dei flussi, mentre sono 196 i Paesi di destinazione. Licata segnala inoltre, a proposito del focus sui giovani italiani all’estero presente nel Rapporto, come “la mobilità richiami mobilità”; i titoli di studio più alti siano maggiormente spendibili all’estero; sempre più studenti liceali scelgano di fare un esperienza di studio all’estero (1800 nel 2014/2015), in particolare negli Stati Uniti, in Irlanda o Cina; tra i laureati emigrati all’estero per lavoro siano una minoranza quelli che prevedono un ritorno a breve in Italia (entro 5 anni); coloro che hanno conseguito un dottorato di ricerca siano più frequentemente impiegati come ricercatori se scelgono di lasciare l’Italia (50 su 100 contro i 20 su 100 in Italia). “Il problema non è la partenza, ma il ritorno resta il punto dolente: occorre lavorare affinché l’Italia divenga Paese attrattivo per i giovani talenti – segnala la curatrice del Rapporto, soffermandosi poi su quanto anche coloro che non avevano titoli di studio recassero con sé una sapienza nel passato, così come la sezione sui mestieri dimostra. Un’indicazione che per Licata potrebbe costituire una sorta di “antidoto agli imprenditori della paura e dell’intolleranza”, rafforzando la concezione dell’Italia come Paese dell’accoglienza per gli immigrati che oggi la scelgono come meta di approdo. A segnalare alcune problematiche demografiche del nostro Paese è Alessandro Rosina, docente di demografia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che parla di un “impoverimento del nostro Paese per quanto riguarda le giovani generazioni”: in termini quantitativi, perché diminuisce il numero di giovani visto il calo dell’indice di natalità (Rosina quantifica una diminuzione equivalente a 250 mila giovani l’anno) e qualitativi, vista l’alta percentuale di giovani under 35 che in Italia non studiano né lavorano (oltre 1 su 4, la peggior media europea, concentrati tra coloro che hanno titoli di studio medio bassi e vivono al Sud) e gli espatriati (soprattutto nel Nord Italia con titoli di studio medio alti, anche per quanto riguarda questa categoria l’Italia è il Paese ad offrire il contributo maggiore in ambito europeo). Rosina sollecita inoltre a guardare a questi ultimi “uscendo dallo stereotipo della fuga, perché è la spinta ad andare verso ciò che si desidera più che fuggire ciò che si trova ciò che li spinge ad espatriare”, una caratteristica che viene ascritta alla “mutazione antropologica delle giovani generazioni”, sempre connesse, fiduciose in se stessi e orientate ad interagire con il resto del mondo, altre culture, facendo nuove esperienze. Il problema è l’attrazione che su tali giovani esercitano i Paesi più dinamici, attrazione che finisce per indebolire ulteriormente un Paese come l’Italia, in un aspetto su cui è già particolarmente fragile (il numero di giovani e quello dei laureati). Le proposte di Rosina sul tema riguardano la valorizzazione del capitale umano in Italia, l’incoraggiamento della circolazione dei talenti, sostenendo progetti per il rientro che non si limitino agli incentivi fiscali e la creazione di un network che consenta a chi si trova all’estero di contribuire ai processi di sviluppo della Penisola. A completare l’analisi di Rosina l’intervento di Marina Timoteo, direttore di AlmaLaurea, che segnala come ad oggi si debba ancora incoraggiare la mobilità degli studenti (a fronte di un 20% di studenti che compiono un’esperienza all’estero, percentuale auspicata dall’Unione Europea per i suoi Stati membri, in Italia essi sono stati circa il 13% secondo un’indagine di AlmaLaurea sui laureati del 2014), sostenendo finanziariamente tale scelta (ad oggi, le esperienze all’estero sono a vantaggio soprattutto di giovani che sanno di poter contare sul sostegno economico della famiglia per quel periodo, essendo la borsa di studio Erasmus sui 250 euro mensili). Va incoraggiata anche l’omologazione dei percorsi di studio che rende più agevole lo svolgimento di periodi di studio riconosciuti. Sul fronte di coloro che emigrano, una volta laureati, per lavorare, i fattori determinanti sono la stabilità (una maggiore percentuale di contratti a tempo determinato), la meritocrazia e la carriera (più possibilità di fare carriera ed uno stipendio medio di gran lunga superiore a quello italiano). Quasi tutti gli intervistati affermano che ripeterebbero l’esperienza di studio e lavoro all’estero, mentre tra i dottori di ricerca il rimpianto è di non aver intrapreso tale percorso direttamente all’estero. Si sofferma sui mestieri dell’emigrazione Flavia Cristaldi, docente di geografia delle migrazioni all’Università Sapienza di Roma, che ha anche contribuito alla realizzazione di un testo sulla coltivazione dei vitigni (vedi anche http://comunicazioneinform.it/presentato-al-mei-il-volume-nel-solco-degli-emigranti-i-vitigni-italiani-alla-conquista-del-mondo/). Richiama in particolare i mestieri legati alla stagionalità del lavoro contadino, che consentivano di colmare periodi di inattività con occupazioni svolte in altri luoghi, e il lavoro delle donne, come “bordanti” per l’ospitalità di connazionali temporaneamente all’estero, oppure come sarte, attività che affiancavano spesso al lavoro domestico. Sul ruolo delle donne per l’avvio di un percorso di effettiva integrazione dei connazionali emigrati all’estero si sofferma anche Claudio Micheloni, presidente del Comitato per le questioni degli italiani all’estero del Senato, che aggiunge poi, in merito ai contenuti del Rapporto, come “i tempi siano cambiati, ma la storia del popolo migrante sia sempre la stessa”. “Il popolo migrante è lo specchio della nostra cattiva coscienza, ci mette di fronte alla nostra realtà più brutta, a ciò che non vogliamo vedere – afferma il senatore del Pd eletto nella ripartizione Europa, ricordando, per esempio, come non siano i migranti ad aver dato vita al fenomeno del caporalato nelle campagne dell’Italia meridionale. “L’emigrazione ci mette davanti alle nostre responsabilità nella gestione del nostro Paese – prosegue Micheloni, per cui “è più semplice parlare di fuga dei cervelli che analizzare il motivo per cui lo Stato non funziona”. “Il problema non è la fuga, semmai il fatto che nessuno viene in Italia perché non c’è una politica di investimenti sulla ricerca”. Micheloni ribadisce inoltre come il fenomeno migratorio e la storia dell’emigrazione servano soprattutto all’Italia e non ai residenti all’estero: “è questa convinzione che muoverà l’audizione del Comitato da me presieduto con il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, prevista la prossima settimana. Con lei parleremo del tema dell’insegnamento della storia dell’emigrazione italiana nelle nostre scuole”. Un tema – ricorda Micheloni – su cui da tempo stanno lavorando i parlamentari eletti all’estero. A proposito della riforma del Senato, in questi giorni all’esame di Palazzo Madama, Micheloni segnala come, stando così le cose, il nuovo Senato non avrà più al suo interno rappresentanti degli italiani all’estero, che siederanno solo nell’assemblea chiamata a votare la fiducia al governo, ossia la Camera dei Deputati. Si tratta di una scelta che Micheloni non condivide, perchè ritiene che invece limitare la presenza dei rappresentanti eletti nella circoscrizione Estero al solo Senato avrebbe consentito a questi ultimi di “liberarsi dal gioco degli interessi partitici”, e dimostrare in questo modo la loro utilità all’interesse nazionale. Pur essendo dunque contrario all’impianto della riforma, Micheloni segnala tuttavia di essersi astenuto dal voto all’articolo 2 perché favorevole all’elettività dei nuovi senatori, prevista da tale articolo. Ribadisce come sia ancora aperta la questione degli organismi rappresentativi degli italiani all’estero – Comites e Cgie, – cui un processo di riforma egli si augura possa venire avviato e concluso in questa legislatura. Le conclusioni della mattinata sono state affidate a mons. Gian Carlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, che ha ribadito come insieme al “diritto ad emigrare” debba essere garantito anche il “diritto a restare nella propria terra di origine”, istanze che oggi accomunano tutti i migranti. “Stiamo vivendo una nuova stagione dell’unica storia dell’emigrazione italiana, una stagione segnata dalla crisi economica, che determina la crescita di nuovi flussi in uscita e un arresto dell’immigrazione – ha affermato Perego, sostenendo come questo saldo negativo dovrebbe preoccupare il nostro Paese insieme all’emigrazione dei giovani. Una preoccupazione che dovrebbe tradursi in politiche di sostegno per le famiglie e per l’occupazione. Tra le necessità richiamate da Perego, una nuova stagione dell’associazionismo che possa accompagnare i migranti con lo sviluppo di reti sociali, il riconoscimento dei migranti attraverso nuovi diritti di cittadinanza, una rappresentanza politica che sia interprete autentica delle istanze della mobilità e soprattutto di quelle di maggior sofferenza. L’auspicio conclusivo di mons. Perego è che il Rapporto possa costituire un utile strumento per “guardare alla mobilità umana con occhi nuovi”. (Viviana Pansa – Inform/eminews)