CHI VOTA NO ALLO “JUS SOLI TEMPERATO” NEGA OGNI GIORNO LA NOSTRA STORIA.
La cittadinanza, la tutela dei diritti e l’integrazione sono state al centro della storia dell’emigrazione italiana nel mondo. La nostra storia di migranti, pur carica di sacrifici, impegno e lavoro, ha visto anche affermarsi nel mondo l’italianità, riconosciuta e apprezzata a tutti i livelli della vita politica, sociale, culturale ed economica dei Paesi di accoglimento. Lo ha ricordato il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon durante il suo intervento davanti alle Camere riunite, in occasione dell’anniversario dei 60 anni dall’adesione dell’Italia alle Nazioni Unite. Le nostre comunità nel mondo si sono impegnate nel migliorare i diritti degli immigrati quando noi eravamo, assieme ai greci e poi ai vietnamiti e coreani, gli “stranieri”. Ci siamo impegnati per la doppia cittadinanza o la cittadinanza multipla, per i diritti in campo sociale, previdenziale e fiscale, per la formazione culturale e linguistica, per il multiculturalismo. Negli anni si sono accumulate paure, preoccupazioni e incertezze nel dare risposte generali e solidali ai temi globali della povertà, del lavoro, dei diritti umani, della protezione dell’ambiente e dell’aspirazione dei popoli alla libertà. E anche quando si sono affrontate alcune di queste questioni, non di rado si sono determinati esodi, fughe da guerre e bombardamenti, desertificazioni. Oggi, a paure e preoccupazioni, spesso si risponde con tagli alle risorse, meno cooperazione e con una serie di restrizioni nella sfera delle libertà individuali, oltre che con orientamenti critici o antagonistici sul piano culturale e della cittadinanza. È un trend negativo che si alimenta fortemente nelle posizioni delle forze conservatrici. Queste forze, in genere di centro-destra, storicamente strumentalizzano paure e preoccupazioni diffuse, anche legittime, che meriterebbero un’azione politica e culturale bipartisan, per costruire muri, limitare l’accesso alla cittadinanza, ridurre l’impegno verso i migranti, tracciare solchi e distinzioni anacronistiche tra migranti. Per queste ragioni l’allineamento di Forza Italia e MAIE, in Parlamento, con il no allo “jus soli temperato”, è di fatto un allineamento alle posizioni della Lega Nord. Ed è una scelta che smentisce la nostra storia. Se posso dirlo, anche la mia storia. In partenza per Melbourne, via Hong Kong, da Fiumicino, in attesa dell’imbarco, mi sono spesso imbattuto in alcuni bambini che parlavano perfettamente l’italiano, figli di immigrati che vivono e lavorano in Italia con regolare permesso di soggiorno. Fino alla definitiva approvazione della nuova legge, questi bambini per vedersi riconoscere la cittadinanza, dovranno attendere di arrivare a 18 anni, avranno 1 anno entro il quale fare richiesta e non devono essersi assentati dall’Italia. Dal momento in cui le modifiche alla legge 5 febbraio 1992 n. 91 saranno definitivamente approvate, non vi sarà alcun automatismo che lega l’acquisto della cittadinanza alla nascita in Italia. La nascita sul territorio nazionale dà diritto all'acquisto della cittadinanza solo in presenza di due condizioni: la nascita in Italia da genitori stranieri e il fatto che almeno uno di loro sia in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Nel caso di cittadini dell’Unione europea i requisiti sono la nascita in Italia e il possesso, da parte di almeno uno dei genitori, del diritto di soggiorno permanente, che si ottiene dopo cinque anni di residenza legale in Italia. Deve esserci una dichiarazione di volontà di uno dei genitori, o di chi esercita la responsabilità genitoriale, espressa entro il compimento della maggiore età, all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza del minore, da annotare a margine dell’atto di nascita. Nell’ormai lontano 1983, quando sbarcai in Australia, con soli due anni di residenza permanente,avrei ottenuto la cittadinanza australiana. Non lo feci subito perché avrei perduto quella italiana. Nel 1992, quando il Parlamento italiano modificò la legislazione sulla cittadinanza, rendendo possibile la naturalizzazione senza perdere la cittadinanza italiana (introducendo anche un periodo di due anni, poi prorogato a cinque, cioè fino al 1997, per riacquistare la quella italiana), pur plaudendo alla moderna soluzione di consentire la doppia cittadinanza, cominciammo già a evidenziarne i limiti rispetto al diritto negato o ritardato per i figli di migranti nati in Italia. Presi la decisione di attendere fino al 2001 per naturalizzarmi australiano nella speranza che il referendum del 2000 trasformasse il Commonwealth of Australia in Repubblica. Il referendum fallì ed io decisi comunque di naturalizzarmi, sulla base della residenza, mantenendo la cittadinanza italiana. In quel momento avevo tre figlie, tutte già cittadine australiane dalla nascita e cittadine italiane per effetto dello “jus sanguinis”. Ecco, vorrei che una moderna legislazione sulla cittadinanza contemplasse la possibilità di avere figli che assumono la cittadinanza dei genitori, indipendentemente da dove nascono, e la possibilità che il paese in cui nascono prevedesse procedure e tempi ragionevoli per facilitare i processi di integrazione. Vorrei, insomma, che il mio percorso possa essere anche quello di altri, in Australia come in Italia. Colleghi di centro-destra eletti all’estero, fate attenzione: allineandovi alla Lega Nord e contestando le nuove norme che hanno introdotto uno “jus soli temperato” rischiate anche di indebolire le regioni e i principi del “jus sanguinis”. Soprattutto quando evocate, come fanno le forze di centro-destra in tutto il mondo, i fantasmi e le paure del nostro tempo sui flussi migratori, in particolare quando enfatizzate i potenziali rischi alla sicurezza derivanti da chi nasce all’estero da cittadini italiani che hanno acquisito la cittadinanza con il nuovo “jus soli temperato”. Argomentazioni di questo tipo non dovrebbero entrare nella discussione sulla cittadinanza perché indeboliscono la condivisione delle possibili soluzioni. I temi della sicurezza e del contrasto alla criminalità e al terrorismo dovrebbero essere affrontati con razionalità e senso di responsabilità. Noi avevamo scelto una diversa strada. Al Senato vi è stato un approfondimento sui temi della cittadinanza per gli italiani all’estero, sia per consentire il riacquisto che per porre fine alla discriminazione nei confronti delle donne perpetrata prima dell’entrata in vigore della Carta costituzionale. In quella sede abbiamo ritenuto si potesse iniziare il nostro percorso di riforma. Sapevamo quello che tutti sapevano, e cioè che alla Camera il confronto era legato ad una proposta di iniziativa popolare, esclusivamente diretta ai migranti in ingresso in Italia, e che i tempi non avrebbero consentito il necessario approfondimento. Le opposizioni hanno deciso di trasformare anche il tema della cittadinanza in un terreno di scontro ideologico e politico: pessima decisione. In aula hanno detto cose molto pericolose. A partire dai 60 milioni che, secondo il MAIE, attenderebbero la cittadinanza italiana. Argomento che da solo chiuderebbe definitivamente ogni possibilità di riaprire i termini per il riacquisto. Dobbiamo essere chiari: il riacquisto riguarda unicamente chi, italiano, ha perduto la cittadinanza e non ha potuto riacquistarla nel periodo dal 1992 al 1997. Pochi connazionali nel mondo, in attesa di un atto di generosità dal nostro Paese che risponda alle loro attese. Non altro. Un filo lega quindi la storia dell’emigrazione con la storia dei migranti: in momenti diversi, però, tutti abbiamo avuto bisogno ed abbiamo ancora bisogno di “solidarietà globale”, la stessa che deve ispirare, secondo Ban Ki-moon, le coscienze e le politiche dei Paesi che hanno concorso a creare l’idea di comunità globale. M.F.