BUENOS AIRES – Passano i giorni, le settimane e i mesi e le cronache della vita della nostra comunità sembrano rispecchiare eventi ripetuti, si parla spesso degli stessi argomenti e si è vicini all’astio. Il passaggio da collettività attiva, operosa e protagonista a comunità di origine italiana, che vorremmo altrettanto protagonista, tarda a realizzarsi. Tutti parliamo del passato, di una collettività molto presente, protagonista della vita pubblica argentina nella prima metà del secolo scorso, sulla quale abbiamo letto e sentito dire tanto, conosciuta in prima persona solo da pochi connazionali emigrati in quegli anni, che oggi sono più che ottantenni. Ci sono poi gli emigrati nell’ultimo dopoguerra, anch’essi in gran parte over 80, tra i quali ci sono grandi protagonisti della vita della collettività, delle iniziative e delle battaglie per ottenere da Roma una politica per gli italiani all’estero. Frutto delle loro battaglie sono le leggi sulla cittadinanza, il riconoscimento delle pensioni all’estero, la struttura di rappresentanza fatta da Comites, CGIE e parlamentari. Furono anche i protagonisti della vita della nostra struttura associativa e in parte lo sono ancora oggi. Non c’è un momento, un evento o un giorno che possono essere considerati il punto di svolta, ma da anni ormai, è iniziato un cambiamento. Quei dirigenti, nolenti o volenti, sono stati sostituiti da altri più giovani (o meno anziani), quasi tutti nati in Argentina. Col loro arrivo, a poco a poco, ha perso centralità quella che veniva denominata l’agenda della collettività. Quei temi di cui parlavamo – cittadinanza, pensioni, rappresentanza – oggi hanno un altro valore o almeno sono visti da un’altra prospettiva. Oggi si pensa molto di più a questioni che hanno a che vedere con la nostra identità, con l’influenza o con la partecipazione alla vita politica locale, al riscatto e alla difesa dell’eredità costituita dall’immenso patrimonio morale e materiale delle associazioni italiane. Si pensa a creare ponti con l’Italia e a nuove formule di dialogo con la Penisola, a nuovi modi di organizzarci come comunità, a come diffondere la cultura italiana e alla diffusione di un’immagine aggiornata di essa. Sono tutti temi che i dirigenti delle nuove generazioni si pongono, sui quali tentano timidi approcci iniziali, anche se i grandi dibattiti devono ancora essere promossi, organizzati e sviluppati. Di questo cambiamento che sta avvenendo, non tutti sono consapevoli. Ci sono dirigenti ed esponenti della collettività che continuano a recitare i discorsi di una volta. A cominciare dalle lamentele per l’Italia che ha dimenticato i suoi figli emigrati. Non si rendono conto che l’Italia, l’Argentina, il mondo sono cambiati, che quelle litanie erano valide quando ancora c’erano emigrati che si comunicavano con l’Italia attraverso le lettere o il telefono. Altri, pretendendo incarnare un protagonismo mai avuto in passato, criticano i nuovi dirigenti per colpe che non hanno, come è successo con la storia del monumento a Colombo donato dalla collettività di un secolo fa, non da quella dell’anno scorso, del decennio scorso e nemmeno dell’ultima ondata migratoria. Non capiscono – o fanno finta di non capire – che anche la società è cambiata. I raduni oceanici per l’inaugurazione del monumento, o per la visita del principe Umberto o le mobilitazioni in occasione della Grande Guerra, sono storie del passato remoto, di un secolo fa. Nemmeno nel momento migliore dell’ultima ondata migratoria italiana, negli anni ‘60, le mobilitazioni furono così massicce. Il più grande raduno della ricordata visita di Gronchi, nel 1961, riunì trentamila persone al Luna Park. Quasi un quarto di secolo dopo, per la visita di un altro popolare presidente italiano, Sandro Pertini, nel 1984, si riuscì a riunire meno di diecimila persone nello stadio di Obras. Per le visite di Scalfaro nel 1995 e di Ciampi nel 2001, sono stati sufficienti i quasi duemila posti del Teatro Coliseo. Stessa sede per la visita di Mirko Tremaglia, con tutto l’affetto che c’era per lui in buona parte della collettività, nel 2006. L’unica differenza è stata che fuori dal teatro, nella piazza antistante, c’erano trecento o quattrocento persone in più ad applaudirlo. Protagonisti di tutti quei raduni, in numero decrescente, furono gli emigrati italiani i quali per ragioni anagrafiche sono, purtroppo sempre meno. Oggi la stragrande maggioranza dei quasi 800mila cittadini italiani registrati all’Anagrafe, sono nati in Argentina. Ha senso continuare a mettere in primo piano il dramma dell’emigrazione come se fosse un fatto attuale per la nostra comunità? E’ logico continuare a mettere in primo piano i problemi degli emigrati, quando gli ultimi arrivati, in età infantile o giovanile, portati dai loro genitori, oggi sono praticamente tutti settantenni ed oltre? Vero è che c’è una nuova migrazione di giovani italiani verso l’Argentina, ma la nostra comunità non si è ancora notificata di questo nuovo fenomeno. E’ ragionevole impostare l’attività delle strutture della nostra comunità ragionando nei termini della politica dell’emigrazione di venti o trent’anni fa? Sabato scorso sono stati eletti i sette consiglieri che rappresenteranno la nostra comunità nel Consiglio Generale degli Italiani all’Estero. Sono tutti nati in Argentina. Al di la delle polemiche che hanno seguito la loro elezione, i sette nuovi consiglieri nel CGIE, dovranno essere protagonisti, dovranno farsi sentire. Ma non per fare il muro del pianto, né per tendere la mano per chiedere un’elemosina che oggi l’Italia non vuole e forse non può dare. Dovranno essere propositivi e consapevoli del fatto che rappresentano una comunità non più italiana, ma di origine italiana, che ha tanto da offrire all’Italia. La nostra comunità sta cambiando e sarebbe positivo se i nuovi consiglieri che ci rappresenteranno nel CGIE sapranno rappresentare tale evoluzione. Altrimenti lasceranno il campo ai nostalgici dei tempi passati, ai promotori di una realtà che non esiste più e contribuiranno a farci perdere tempo per l’avvio del necessario dibattito sul nostro futuro, sulla nostra identità e sul nostro progetto come comunità. (Marco Basti – Tribuna Italiana /Inform) Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.