di Tommaso Nencioni (dal il Manifesto del 23 ottobre)Que se vayan todos! Era il dicem­bre del 2001, e l’intera classe diri­gente argen­tina spro­fon­dava nel grado zero della sua cre­di­bi­lità. Il Pre­si­dente De la Rúa aveva appena sca­te­nato una sel­vag­gia repres­sione nel ten­ta­tivo di porre un freno ai tumulti sociali che scuo­te­vano

il Paese, giunto al cul­mine della sta­gione della grande espro­pria­zione neo­li­be­ri­sta. Le ingenti pri­va­tiz­za­zioni avviate da Menem negli anni Novanta sotto l’ombrello del Washing­ton con­sen­sus ave­vano già destrut­tu­rato l’apparato pro­dut­tivo e finan­zia­rio nazio­nale a van­tag­gio dei cen­tri metropolitanidell’accumulazione, men­tre lo Stato per­deva la pro­pria auto­no­mia mone­ta­ria con l’ancoraggio fisso del peso al dol­laro. Nono­stante un ini­ziale boom eco­no­mico dovuto all’afflusso di capi­tali esteri, il Paese fu tra­volto dal con­ta­gio delle crisi finan­zia­rie che scos­sero la metà del decen­nio, dal Mes­sico all’Indonesia alla Rus­sia. Il FMI con­cesse un pre­stito ponte al Paese, impo­nendo però una severa cura auste­ri­ta­ria che con­dusse alla para­lisi ban­ca­ria e ad una disoc­cu­pa­zione esor­bi­tante: l’Argentina costi­tuì in breve il de te fabula nar­ra­tur per l’Europa di oggi.

Que se vayan todos! Il movi­mento dei pique­te­ros bloc­cava le strade, e dalle assem­blee di quar­tiere e dalle fab­bri­che occu­pate e auto­ge­stite ini­ziava a pren­dere corpo l’alternativa popo­lare. E così, uno dopo l’altro, cad­dero gli espo­nenti di punta del clan neo­li­be­rale che aveva con­dotto il Paese alla cata­strofe. Cadde De La Rúa (del quale si ricor­derà una sin­to­ma­tica can­di­da­tura al selet­tivo club dell’“Ulivo Mon­diale”, ani­mato da D’Alema, Clin­ton, Blair e dal capo della destra bra­si­liana, Car­doso); cadde dopo di lui il suc­ces­sore ad inte­rim Duhalde; e cadde, con le Pre­si­den­ziali con­vo­cate per il marzo del 2003, il vec­chio Menem, che alla pra­tica delle rela­cio­nes car­na­les con gli Stati Uniti aveva dato il primo input, per poi infeu­dare il Paese alle vestali dell’austerità.

Ma non se ne anda­rono tutti. Rimase in sella Néstor Kirch­ner, un avvo­cato sureño già impe­gnato nella difesa dei diritti civili, con alle spalle una lunga mili­tanza nel pero­ni­smo oppo­si­tore alla dit­ta­tura, vis­suta in sim­biosi con la moglie Cri­stina Fernández.

Il kirch­ne­ri­smo, fin dalla prima ele­zione di Néstor, e poi con i man­dati di Cri­stina, ha signi­fi­cato innanzi tutto un’imponente opera di ri-definizione dello Stato-nazione, in piena sin­to­nia con quanto spe­ri­men­tato in que­sto scor­cio di mil­len­nio in altre realtà lati­noa­me­ri­cane. Rispon­dendo a dif­fe­renti tra­di­zioni poli­ti­che e retaggi cul­tu­rali, il neo­po­pu­li­smo ha saputo gui­dare con suc­cesso il contro-movimento dallo Stato prima dit­ta­to­riale e poi apa­rente (Alvaro Gar­cia Linera) allo Stato post-neoliberale: la costru­zione dello Stato boli­va­riano in Vene­zuela, dello Stato Inte­gral in Boli­via e dello Stato nacional-popular in Argen­tina si è retta su di un pro­cesso con­ver­gente di rie­qui­li­brio tra il potere della élite mer­ca­ti­sta a quello dei movi­menti popo­lari.

Il kirch­ne­ri­smo ha pro­mosso la riap­pro­pria­zione da parte dello Stato della pro­pria sovra­nità in mate­ria mone­ta­ria, ener­ge­tica, assi­sten­ziale, edu­ca­tiva e infra­strut­tu­rale. Accen­tuato inter­ven­ti­smo sta­tale, ingenti aumenti sala­riali e ristrut­tu­ra­zione del com­mer­cio estero lungo l’asse sud-sud hanno costi­tuito il volano dell’economia nazio­nale, accanto ad un rigido con­trollo sui capi­tali. L’ultimo grande atto della Pre­si­denza di Cri­stina è stato l’approvazione di una legge che impone un con­senso par­la­men­tare dei 2/3 per poter avviare pro­cessi di pri­va­tiz­za­zione nei set­tori stra­te­gici.

Nono­stante le minacce pro­ve­nienti dai fondi spe­cu­la­tivi “avvol­toio”, le poli­ti­che anti­ci­cli­che messe in campo hanno per­messo di sal­dare il debito rine­go­ziato a seguito del default. Se è vero che l’assidua ricerca del par­te­na­riato com­mer­ciale cinese ha ecces­si­va­mente legato le sorti del Paese al traino del gigante asia­tico, gli impulsi diretti all’allargamento del mer­cato interno sem­brano aver for­nito un par­ziale cor­ret­tivo al raf­fred­da­mento della domanda estera.

Al con­tempo è stata avviata una grande ope­ra­zione cul­tu­rale volta a ri-significare in ter­mini pro­gres­sivi lo spa­zio patriot­tico e la cul­tura nazio­nale. Il movi­mento popo­lare si è potuto riap­pro­priare, nell’arena del senso comune, della parola patria, dopo che per oltre un qua­ran­ten­nio le classi diri­genti tra­di­zio­nali ave­vano age­vo­lato il sac­cheg­gio da parte dei cen­tri metro­po­li­tani dell’accumulazione capi­ta­li­stica in nome dell’esigenza della difesa della nazione dalla minac­cia rossa.

Il lascito ori­gi­nale del pero­ni­smo è stato oggetto di riva­lu­ta­zione cri­tica in senso nazional-popolare da parte degli intel­let­tuali orga­nici allo spa­zio kirch­ne­ri­sta. La memo­ria sto­rica dei mar­tiri della dit­ta­tura e l’azione di Madres de Plaza de Mayo hanno piena cit­ta­di­nanza nell’Argentina di oggi, men­tre i respon­sa­bili del Plan Con­dor sono per­se­guiti con una soler­zia che non ha pari in tutto il Cono sur.

La costru­zione dello Stato nacional-popular è pro­ce­duta di pari passi con il pro­ta­go­ni­smo argen­tino nei vari pro­cessi di inte­gra­zione regio­nale e sub-continentale. L’atto che forse più di ogni altro ha inne­scato il rina­sci­mento poli­tico della Patria Grande fu il no al pro­getto di inte­gra­zione con­ti­nen­tale ALCA oppo­sto a Bush Jr., nel corso del ver­tice di Mar del Plata del 2005, da Chá­vez, Kirch­ner, Lula e Tabaré Váz­quez.

Da allora in poi, non senza crisi e con­trad­di­zioni, la soli­da­rietà lati­noa­me­ri­cana ha rice­vuto un impulso cre­scente verso la crea­zione di un blocco com­patto in grado di fron­teg­giare la sfida ege­mo­nica di Washing­ton, fino a creare le con­di­zioni per la Canossa sta­tu­ni­tense nei con­fronti della Cuba socia­li­sta.

L’azione di governo del kirch­ne­ri­smo ha inte­ra­gito con un vasto fronte popo­lare nella società, com­po­sto da movi­menti sociali tra­di­zio­nali e sorti nel fuoco della grande rivolta del 2001, dalla mili­tan­cia degli anni Set­tanta ria­ni­mata dopo la notte della dit­ta­tura e l’emarginazione dell’età neo­li­be­rale, dall’attivismo gio­va­nile, oltre che da un dosato e non sem­pre facile com­pro­messo con il nota­bi­lato pero­ni­sta locale.

Quest’ultimo ver­sante è forse il fomite delle prin­ci­pali con­trad­di­zioni. Se da un lato l’aver rac­colto l’intera ere­dità del pero­ni­smo ha per­messo al kirch­ne­ri­smo di sta­bi­liz­zare il pro­prio ruolo nazio­nale e di con­tare su di una strut­tura orga­niz­za­tiva di rife­ri­mento per l’intero Fronte, dall’altro la filia­zione diretta dal mene­mi­smo di gran parte del gruppo diri­gente Justi­cia­li­sta lascia cadere più di qual­che ombra sul futuro del movi­mento.

Il can­di­dato scelte dalle pri­ma­rie, l’ex gover­na­tore della pro­vin­cia di Bue­nos Aires Daniel Scioli, è stato spesso freddo nei con­fronti delle più inci­sive mosse di governo di Cri­stina, ed è rico­no­sciuto come il più sen­si­bile, tra gli espo­nenti del Frente para la Vic­to­ria, ai richiami all’ordine delle éli­tes tra­di­zio­nali. A bilan­ciare la figura di Scioli è stato per­ciò scelto come suo vice Car­los Zan­nini, espres­sione della mili­tanza kirch­ne­ri­sta pura. Ma il futuro dell’Argentina nacional-popular rimane legato soprat­tutto alla capa­cità di tenuta del blocco sociale evo­cato dal kirch­ne­ri­smo nell’ultima decade, e dalla non dismessa lea­der­ship di Cristina.