Una fase si è appena chiusa e un’altra si apre a- desso. Si è chiusa quella fase che ha visto, nel cor- so di molti decenni, il nascere e il consolidarsi della rappresentanza degli italiani all’estero con le sue articolazioni: dall’associazionismo ai Comites al CGIE e alla Circoscrizione estero. Nello scorso mese di settembre si è votato per e- leggere il nuovo CGIE, dopo che ad aprile si era- no rinnovati i Comites, a luglio si erano tenuti gli Stati Generali dell’Associazionismo e da pochi giorni si è votata la riforma costituzionale che san- cisce il superamento della Circoscrizione estero al Senato delle autonomie e la sola presenza di eletti all’estero alla Camera. È dunque – e soprattutto – con questo ultimo atto che si segna il passaggio alla nuova fase della rappresentanza. Se nel passato la missione della politica era quella di creare e insediare le rappresentanze degli italia- ni all’estero con la priorità della testimonianza diretta, della tutela, dell’assistenza, del legame con la Patria dalla quale si stava lontani per motivi di lavoro, oggi ciò che dobbiamo decidere è come questa rappresentanza sta nella contemporaneità, nella nuo- va architettura dello Stato disegnata dalla nuova Costituzione, nel diverso sistema economico, sociale e della pubblica amministrazione che questo Governo sta disegnando. Oggi, infatti, gli italiani all’estero non sono più solo emigrati, ma sono qualcosa di più e di diverso sul piano identitario, economico, sociale e politico. Quindi le istituzioni di rappresentanza devono saper guardare oltre l’esclusiva cittadinanza ius sanguinis, verso una cittadinanza di interessi, di cultura, di cosmopolitismo in un contesto di proiezione del sistema Paese. E per farlo, occorre ripartire dalla missione degli organismi di rap- presentanza, che siano essi Associazioni (e gli Stati generali sono stati il primo passo), Comites e, soprattutto, CGIE. E dopo aver deciso quale debba essere la nuova missione nella contemporaneità, nella globalizzazione, nella nuova organizzazione dello Stato italiano, occorrerà decidere che reali e concreti poteri attribuire a queste rap- presentanze affinché siano in grado di assolvere compiutamente al loro compito. Questa riflessione andrà fatta laicamente, velocemente e con volontà riformatrice (e qui il termine “riformatrice” è volutamente usato in op- posizione a “smantellatrice”). Perché il rischio, oggi, con l’alleggerirsi oltre il dovuto della macchina della Stato, con la febbre del risparmio, con la vulgata della lotta agli sprechi, con l’idea della semplificazione istituzionale e, persino, con la volontà strumentale di alcuni di far pensare che risparmiando e tagliando risorse a Comites e CGIE (magari abolendo- li) le si può destinare a servizi, ad altri capitoli degli italiani all’estero o alla diplomazia (consolati o ambascia- te o personale diplomatico - consolare), il rischio è quello di smantellare tutto ciò che non è considerato “priorità”. Non vorrei, dunque, che in quest’ottica qualcuno ci venisse a spiegare che Comites e CGIE non sono priorità, appunto, né sono più al passo coi tempi, né servono, poiché ci sono i parlamentari. Ben dodici parlamentari a tutto tondo per più di quattro milioni di italiani su un territorio piccolo come il mondo. Ecco perché quindi, nella penuria di risorse, di attenzione, di volontà generale, la nuova fase apertasi con il rinnovo di Comites e CGIE e con la riforma costituzionale deve portare a una immediata e seria riforma dell’articolazione della rappresentanza e a poteri reali in sintonia con tutto l’universo migratorio: dall’emigrazione tradizionale a quella recente, dal mondo dell’assistenza a quello dell’impresa, della ricerca e, persino, della diplomazia. E proprio al PD spetta aprire nei prossimi mesi questa discussione con i propri rappresentanti in Parlamento, nei Comites, nel CGIE e nel Partito. Questa fase, seppur legata alla rappresentanza, trascinerà, per forza, la discussione su tutto il resto: cittadinan- za, assistenza, sanità, impresa, risorse. Insomma, sulla politica di Eugenio Marino