Il fenomeno dell’emigrazione pugliese assunse i caratteri di un vero e proprio fiume in piena tra la fine dell’Ottocento ed il primo Novecento. Mete privilegiate dell’ondata migratoria furono prima gli Stati dell’America del Sud, poi il Canada e gli Stati Uniti. Nei primi quindici anni del XX secolo sbarcarono sulla costa atlantica dell’America del Nord, in gran parte ad Ellis Island, circa tre milioni e mezzo di italiani. Di questa imponente cifra circa l’80% proveniva dalle regioni meridionali, tra cui la Puglia. Si trattava in parte di immigrati temporanei in maggioranza giovani di origine contadina, ma anche di operai e artigiani, che dopo qualche anno ritornavano in Italia. Per decine di migliaia di lavoratori dell’intera regione, che agli inizi del ‘900 approdarono sulle coste del Nuovo Mondo, l’America significava ricerca di una nuova vita, liberazione e realizzazione di un sogno. La spinta all’esodo scaturiva dalla dure condizioni di vita nelle campagne e nelle città e da una diffusa condizione di impoverimento dei ceti popolari che dette luogo ad una protesta sociale senza precedenti, definita in Parlamento “la protesta dello stomaco”, e da una inaudita repressione politica, che un quotidiano d’opposizione come l’Avanti! presentò con i titoli, “Puglia affamata, Puglia insanguinata”. Eccidi proletari nei primi anni del ‘900 costellarono diverse località dell’intera regione. Il culmine dell’intervento repressivo del governo in Puglia si verificò nel 1914, durante la Settimana Rossa, con l’occupazione dell’esercito di diversi centri dell’Alta Murgia e di Andria. Gli scontri più duri si registrarono ancora una volta a Bari, capoluogo pugliese, dove si contarono alcune vittime tra gli scioperanti e diverse decine di arresti. All’origine della scelta migratoria, strettamente connessa alla crisi economia che dal 1907 al 1913 investì tutta la Puglia, non è estranea dunque anche la costrizione politica. In tale contesto, l’esponente socialista Ettore Cicciotti affermò: “L’emigrazione funziona nel Mezzogiorno, in mancanza di salda organizzazione, come uno sciopero immenso, colossale. L’America, anzi, è l’Aventino di quei lavoratori”. La spinta all’emigrazione di contadini, operai ed artigiani, in cerca di condizioni di vita migliori, s’intrecciò con le esigenze libertarie di molti lavoratori. L’attrazione per gli Stati Uniti accomunò le vicende dell’emigrazione economica a quelle dell’espatrio politico di militanti socialisti, anarchici e repubblicani, e di semplici lavoratori la cui attività era oggetto di una dura repressione soprattutto nelle diverse realtà della Puglia. In questo contesto si collocano le diverse storie di molti emigrati politici sin dai primi anni del ‘900 tra cui Leone Mucci, figura rilevante del movimento socialista della provincia di Foggia che emigrò negli Stati Uniti nel 1908 svolgendo una intensa attività politica nel partito socialista americano sino al suo rientro in Puglia alla vigilia del primo conflitto mondiale. Da Torremaggiore intraprese il viaggio verso gli Stati Uniti nel 1908 un giovane figlio di contadini Nicola Sacco che nel corso del primo conflitto mondiale, abbracciò le idee anarchiche anche sulla spinta di atteggiamenti repressivi e razzisti della società americana . In quello stesso anno Paolo Perrini ed Elvira Catello decisero di trasferirsi da Locorotondo a New York in cerca di una nuova prospettiva di vita e di lavoro e sulla spinta di una forte motivazione politico-ideologica perché si erano “schierati contro le istituzioni (la Chiesa ed il Governo) assumendo una posizione anticonformista e anarchica”. Essi riuscirono a mettere su, nel cuore della metropoli americana, una Libreria-tipografia, dal nome emblematico “Lux”, che in poco tempo costituì il punto di riferimento di socialisti, anarchici ed antifascisti italiani. Più complesso e con esiti drammatici, come analizzeremo in seguito appare il percorso politico di Giuseppe Sacco, trasferitosi negli stessi anni dell’emigrazione della famiglia Catello Perrini, prima in Brasile e Canada ed infine stabilitosi definitivamente a Buffalo nello Stato di New York dopo aver contratto matrimonio nella sua città natale, Modugno alle porte di Bari. Una seconda fase dell’emigrazione politica è connessa all’avvento del fascismo ed al clima di violenza che caratterizzò l’intera regione dopo il primo conflitto mondiale Il momento più alto dello scontro di classe e di tensione politica si verificò a Conversano nel maggio-settembre dell’anno successivo, all’indomani delle elezioni politiche del maggio 1921, che si svolsero in un clima di violenze diffuse da parte fascisti. Questi ultimi decisero di eliminare il deputato socialista Giuseppe Di Vagno, considerato uno dei più forti organizzatori delle “forze proletarie in Puglia”. L’azione delittuosa da parte delle squadre fasciste di Conversano e di Cerignola, quest’ultimo feudo politico di Giuseppe Caradonna, fallì il 30 maggio del 1921, provocando comunque un morto e diversi feriti tra i socialisti. Tre mesi dopo alla fine di un comizio l’on Di Vagno, assalito da una squadra di giovani fascisti della sua città natale, Conversano, fu colpito a morte. Tra il 1921 ed il 1922 il clima politico-sociale pugliese apparve sempre più invaso dalla violenza che raggiunse il suo picco a Bari nell’agosto del 1922 con l’assalto alla Camere del lavoro, difesa sino all’ultimo da Giuseppe Di Vittorio, futuro leader sostenuto dall’intera popolazione del borgo antico. L’avvento del fascismo dette luogo dunque ad un esodo di militanti politici dei partiti di sinistra e del sindacato che senza soluzione di continuità raggiunse la sua punta più alta all’indomani del delitto Matteotti e delle leggi speciali del 1926. In questa fase l’emigrazione politica s’indirizzò verso alcuni paesi Europei, soprattutto Francia, Svizzera e Belgio, tuttavia alcuni militanti politici e sindacali, riuscirono a stabilirsi negli Stati Uniti nonostante le restrizioni introdotte nel corso del primo conflitto mondiale. “L’emigrazione - come ha sostenuto Giovanni De Luna- è la storia di una sconfitta. L’esilio fu infatti la sanzione esistenziale di una sconfitta politica e di una scelta obbligata e traumatica”. Tuttavia negli anni Venti e Trenta la condizione degli emigrati politici italiani peggiorò, anche per gli effetti della grande crisi economica del 1929 che provocò il crollo delle borse di tutto il mondo. Molti esponenti socialisti, comunisti ed anarchici, attivi nelle manifestazioni in diverse città degli Stati Uniti, furono denunciati e corsero il rischio del rimpatrio nell’ Italia di Mussolini. Prof. Vito Antonio Leuzzi