Nel ricordo delle vittime che hanno lasciato la vita nella sciagura di Monongah e bnel loro ricordo, aumenti l’impegno contro tutte le tragedie delle migrazioni e del lavoro. Il 6 dicembre saranno trascorsi 108 anni dalla tragedia mineraria di Monongah, dove, secondo le stime ufficiali, perdettero la vita 367 persone, di cui 171 italiani, provenienti da diverse regioni, in particolare dal Molise e dalla Calabria. In realtà furono molti di più perché, per il sistema a cottimo con cui il lavoro veniva retribuito, quasi tutti i lavoratori portavano con sé familiari, spesso in giovane età, e conoscenti, che non erano registrati all’ingresso della miniera. La disgrazia mineraria più grave della storia dell’emigrazione, che per altro si innestava in una catena lunghissima di eventi dello stesso genere susseguitisi sul suolo americano. Alle vittime e alle loro famiglie, che subirono le pesanti conseguenza della scomparsa dei loro uomini, va il nostro pensiero reverente e la nostra preghiera. Il nostro ringraziamento va a coloro che hanno lottato per anni affinché il ricordo, anzi la semplice notizia, della tragedia non fosse cancellata: Padre Everett Francis Briggs, che ha riaperto la questione, l’ex console onorario Joseph D’Andrea, che l’ha riportata in Italia, l’editore Mimmo Porpiglia, che con la sua campagna giornalistica ha indotto le autorità italiane ad assumerla come un fatto rilevante della storia del lavoro italiano nel mondo, l’ex parlamentare Gino Bucchino e l’ex Vice Ministro Franco Danieli che hanno promosso le importanti manifestazioni del centenario dell’evento. E tuttavia, questo non basta. Le vittime di Monongah e i loro parenti hanno ancora diritto alla nostra solidarietà. Nonostante l’evidenza dei fatti, nessuna responsabilità fu riconosciuta nei tribunali, sicché l’unico aiuto i familiari lo ebbero dal grande movimento di solidarietà che si generò intorno a loro. Essi, ancora, hanno diritto alla memoria. Chi tra i primi ne ha parlato, ha detto che Monongah è stata “una tragedia dimenticata”. Essa va dunque fatta conoscere di più e meglio e, con l’intera storia dell’emigrazione, italiana, andrebbe inserita organicamente nel circuito formativo perché anche i giovani sappiano da dove veniamo e comprendano che le migrazioni sono un aspetto ineliminabile della nostra vita sociale, anche oggi. Essi hanno diritto alla nostra riflessione e al nostro impegno etico, civile e politico perché la mobilità, il lavoro e la sicurezza del lavoro restano problemi sempre aperti, che spesso diventano tragedie senza ritorno. Non si possono rispettare le vittime di Monongah, Marcinelle o Mattmark senza impegnarsi per fare in modo che le tragedie del lavoro dovute allo sfruttamento e alla mancanza di sicurezza non abbiano più a verificarsi, in ogni parte del mondo. Essi hanno diritto al rispetto, che non è quello dell’enfasi delle celebrazioni, ma quello degli atti concreti e quotidiani. In questo senso, ad esempio, il piccolo cimitero dove i resti delle vittime furono sepolte, già oggetto di un intervento di restauro da parte dello Stato italiano nel 2007, va costantemente e dignitosamente custodito per il futuro come un simbolo del sacrificio del lavoro italiano nel mondo.