Tuttavia, all’infuori delle camere parlamentari, nessuno ne parla: televisioni, quotidiani e organi d’informazioni in genere. Serpeggia quasi un sentimento di vergogna, come se non esistessero questi 60 milioni di italiani che risiedono nel Mondo, compresi i giovani della nuova emigrazione italiana, protagonisti malgrado loro della storia dell’emigrazione italiana che si ripete continuamente. E, dunque, quale futuro possiamo oggi ipotizzare per i tanti giovani costretti ad emigrare affidando il proprio futuro ad una terra straniera? Facciamo in modo che gli esempi del passato siano sempre presente per migliorare il nostro futuro e la dignità delle nostre generazioni. Ma come parlare di futuro se non si conosce il passato? Il passato di coloro che ci hanno preceduto e per il quale si sono scritte moltissime pagine di onorabili reminiscenze. Coloro che si ritrovarono su navi e treni affollati, accompagnati da una valigia di cartone, piena di dubbi, di paure, di speranze e da una domanda: sarà stata la scelta giusta? Oggi, che siamo ben integrati, la domanda da porci è un’altra: siamo ancora disposti a sopportare l’indifferenza che proviene dalla stessa Italia che abbiamo sempre amata? La stessa Italia che abbiamo sovvenzionato per anni col nostro turismo affettivo, con le nostre rimesse che hanno fruttato miliardi all’epoca, col carbone del Belgio, acquistando terreni, fabbricando case e pagandoci le tasse mentre tanti altri evadevano sfacciatamente. Senza contare le tragedie di cui si sono contati tanti morti sul lavoro: Marcinelle in Belgio, Mattmark in Svizzera, la tragedia di Monongah negli USA e tante piccole tragiche storie di tutti i giorni. Tanti italiani deceduti in tutte le parti del Mondo, che non hanno nemmeno avuto quella fortuna di essere seppelliti nella terra che li aveva visti nascere, per non parlare di quelli che non hanno visto invecchiare i propri genitori, fratelli e sorelle. Solo negli ultimi 50 anni, i sacrifici degli italiani all’estero hanno aumentato notevolmente il PIL italiano con il loro sudore, facilitando la realizzazione di legami economici duraturi con l’Italia, non solo con le famose rimesse ma anche essendo determinati sulla valorizzazione del “made in Italy”, alla promozione ed al consumo all’estero dei prodotti italiani. Difatti, negli anni ’70 la forza lavoro italiana all’estero rappresentava una considerevole fonte per il Prodotto Interno Lordo italiano. A cosa è servito quello che hanno fatto gli italiani all’Estero per l’Italia? Svuotando i paesini, le città e le Regioni italiane quelle persone in cerca di lavoro o di una sistemazione migliore in una terra straniera hanno lasciato la possibilità, a chi rimaneva, di vivere meglio e con meno problemi la vita di tutti i giorni. Tanti connazionali emigrati si sono illusi di poter ritornare dopo qualche anno nell’amata Patria. Hanno lavorato sodo per potersi comprare o costruire una casa, rientrare in seno alle famiglie che avevano lasciato in lacrime e portare i loro risparmi in Italia. Mentre s’illudevano di poter vivere un futuro migliore nel Paese d’origine, si sono cercati fra loro ed istintivamente hanno costituito gruppi, associazioni, società, diventando, di fatto, i rappresentanti delle regioni, provincie e città italiane che avevano abbandonato. I ristoranti hanno promosso la cultura gastronomica di tutte le Regioni italiane e, nello stesso tempo, hanno promosso la lingua, la cultura, i costumi e tutto quello che era italiano. Hanno contribuito all’esportazioni di automobili, prodotti alimentari, moda, turismo e quant’altro. Tutto questo, inevitabilmente, ha contribuito alla ripresa economica e alla ricostruzione del nostro Paese nei decenni del dopo guerra. Gli italiani all’estero si sono rivelati milioni di ambasciatori del Made in Italy nelmondo, hanno promosso l’Italia a testa alta e con la dovuta modestia. A cosa è servito il sacrificio e l’operosità di tanti italiani? A farci chiudere i consolati, a farci diminuire, costantemente, le risorse finanziarie in tutti settori, ad essere oggetto di dubbi su cosa eravamo diventati e cosa potevamo rappresentare in termini di ritorno economico: ancora usati e sfruttati, mentre molti dei rappresentanti eletti facevano giochi di potere eseguendo i tradizionali “ordini di scuderia”. Ancora oggi, invero, assistiamo ad una sorta di “copia-incolla” del recente passato. Non più tardi dello scorso gennaio sono stati sbandierati meriti sui finanziamenti ai Corsi di Lingua e Cultura italiana e poi, all’improvviso, venivano decisi tagli di risorse a febbraio 2016 di qualche milione di euro. Recentemente, in una nota del 26 aprile 2016, il Coordinatore degli Enti Gestori in Svizzera, Roger Nesti, afferma che con la situazione attuale, oltre 3000 alunni perderanno la possibilità di continuare i loro studi di italiano. Quello che non si capisce è proprio il silenzio assordante delle nostre rappresentanze elette. Nemmeno una parola, di spiegazione né di conforto, sugli esiti di qualche interrogazione parlamentare fatta all’epoca. Per non parlare dell’inefficienza e della mancata chiarezza da parte di chi di dovere, per quanto riguarda la doppia imposizione, il Canone TV, l’IMU e tutte le nuove tasse che appesantiscono la situazione degli italiani all’estero, quando conviene loro, in confronto con i connazionali che vivono in Italia. Dopo tutto ciò, mi preme togliere un sassolino dalla scarpa che sassolino non è: il Referendum sulle Trivelle dello scorso 17 aprile 2016. Su questo, non riesco a capacitarmi come sia stato possibile non capire che avremmo avuto l’opportunità di far sentire la nostra voce, raddoppiando o triplicando il risultato del quasi 20% finale, e non l’abbiamo sfruttata. L’unica cosa che non si doveva fare era quella di astenersi seguendo i consigli, sbagliati, impartiti ai soliti personaggi da “Armata Brancaleone” che hanno fatto campagna per l’astensione (o non hanno fatto proprio niente), volta a far vedere e dimostrare la propria totale fedeltà. Per inciso, faccio presente a quanti hanno incitato fervidamente all’astensione, che, anche se i votanti sarebbero stati il 60 o l’80% degli iscritti all’AIRE, il quorum non sarebbe stato raggiunto in ogni caso e gli italiani all’estero avrebbero avuto la rivincita sul derisorio risultato delle votazioni Com.It.Es. Il risultato sta nel fatto che la divisione per scopi di alcuni, ha nuociuto alla credibilità di tutta la comunità degli italiani all’estero. Oggi a distanza di anni, si ha l’impressione che la nostra Italia abbia perso la memoria e tanti italiani all’Estero hanno il sentore di essere stati abbandonati dalle Istituzioni italiane, anche quelle Istituzioni che dovrebbero invece difenderci con forza, piuttosto di abbassare la testa magari per futili promesse, attraverso rappresentanti eletti che occupano posti per i quali non hanno le capacità di assolverne i compiti. Possiamo essere fieri del fatto che noi emigrati italiani, ed è anche bello che sia così, siamo più considerati dalle Istituzioni locali che da quelle nazionali. Ricordiamoci sempre che la strada per acquisire i nostri diritti è stata lunga e faticosa, ma che quella per perderli è dietro ogni angolo. Nonostante questo tutti gli italiani nel Mondo amano l’Italia e trasmettono questo amore ai propri figli, ricordandogli le proprie origini, i propri doveri e sentimenti. L’italiano all’estero non si vergogna di essere italiano, si vergogna di essere sfruttato, e, soprattutto di essere dimenticato dalla propria Patria. (Carmelo Vaccaro Direttore editoriale della Notizia di Ginevra)