di Rodolfo Ricci (foto accanto) Gli appunti che seguono sono parte di una bozza di relazione preparata per il Seminario organizzato a Roma dalla Fondazione di Vittorio su “Migrazioni, crisi, lavoro” che si è svolto lo scorso 12 Aprile.
Ho pensato fosse utile metterla a disposizione in particolare per fare il punto sull’effettiva consistenza del nuovo flusso emigratorio dall’Italia che, stando ai dati forniti da istituti statistici europei, risulterebbe essere superiore fino ad oltre 4 volte ai dati Istat/Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero). La cosa altrettanto sorprendente è che allo stesso tempo, il flusso emigratorio degli italiani verso l’estero risulterebbe ormai essere circa il doppio degli arrivi di immigrati economici e profughi insieme.
Appunti per relazione seminario Fondazione Di Vittorio, 12 Aprile 2016
Rodolfo Ricci (FIEI – Federazione Italiana Emigrazione Immigrazione)
Un breve excursus emigrazione italiana negli ultimi 150 anni: dal 1870 al 1970 si sono registrati circa 27 milioni di espatri. I discendenti italiani oggi nel mondo sono stimati tra 60 e 80 milioni, oltre i circa 5 milioni di italiani di passaporto.
Si possono distinguere 6 periodi:
1)- periodo post unitario – 1871-1900: 5,3 milioni di espatri. Mete principali: Francia e Germania / Argentina, Brasile, USA. Si trattò in gran parte di movimenti spontanei e clandestini. 2/3 di questi flussi erano originari del nord Italia.
2)-inizio ‘900 – 1900-1915: 9 milioni di espatri (circa 600mila all’anno). Mete: 50% in Europa, (prevalentemente dal nord Italia) 50% nelle Americhe, prevalentemente dal Centro-Sud.
3)-periodo tra le due guerre 1920-1940: riduzione drastica dei flussi, a causa di: politiche restrittive nei paesi di arrivo (USA-quote di ingresso), politiche restrittive del fascismo, peso della grande crisi del ’29. Mete principali: Francia e Germania + Africa coloniale, come forma di espansione imperiale.
4)-dopoguerra (1945-1970): 7 milioni di espatri. Grande sviluppo industriale. Mete: Nord Europa, Francia, Svizzera, Germania e Belgio (parallelamente a grandi flussi di emigrazione interna), oltre a America Latina (Venezuela, Uruguay), Australia, Canada. Prevalenza di emigrazione dal sud e dalle isole.
5)- Anni ’70 – 2005: inversione dei flussi: L’Italia si trasforma da paese di emigrazione a paese di immigrazione, anche se permangono flussi di circa 50mila espatri all’anno soprattutto verso il nord Europa: 2/3, mentre un 15% verso le Americhe. Si aggiungono man mano altre nuove mete (Asia, ecc.). In Europa cresce l’importanza della Gran Bretagna.
6)- 2005 – 2015: NUOVA EMIGRAZIONE ITALIANA: Parallelamente all’incedere della crisi economica, si riduce il flusso di immigrazione e torna a crescere il flusso emigratorio, fino a raggiungere, secondo l’Istat, oltre 100mila espatri nel 2015. Secondo stime comparate tra dati italiani e dati esteri, tre i 250 e i 300mila espatri.
Alcune considerazioni di ordine generale:
a)- Nel corso del ‘900, i flussi migratori sono determinati dai grandi movimenti e concentrazione di capitali (investimenti) a livello internazionale: i maggiori flussi si registrano nei due periodi di maggiore sviluppo produttivo e del commercio internazionale a livello globale: 1900-1915 e 1945-1970. Nella prima fase verso le Americhe, nella seconda verso il nord Europa.
b)- I flussi si determinano tra paesi in eccesso di forza lavoro (come l’Italia) che manifestano anche un significativo “surplus” demografico e paesi che necessitano di manodopera e forza lavoro e con trend di crescita demografica autoctona insufficiente rispetto alle loro potenzialità di sviluppo.
c)- dentro i singoli paese erogatori i flussi si determinano a seguito della scomparsa di posti di lavoro nel settore primario (causati dalla crescente competizione internazionale) e all’incapacità di assorbimento adeguato in altri settori (industria e servizi). Insufficiente sviluppo in rapporto alle disponibilità di risorse umane.
d)- Vi è una relativa e progressiva regolamentazione dei flussi attraverso accordi bilaterali.
e)- Nel periodo del dopoguerra, tali accordi prevedono anche elementi di orientamento settoriale dei flussi e la definizione di contratti di lavoro già al momento della partenza.
Dagli anni ’70 in poi, al contrario, non vi sono strumenti specifici di regolazione bilaterale dei flussi, né in entrata (almeno fino alle prime definizioni di quote di ingresso intorno alla fine degli anni ‘90), né in uscita. La regolazione è lasciata essenzialmente al mercato.
La Nuova Emigrazione italiana
I flussi di nuova emigrazione che si registrano nell’ultimo decennio, sono determinati esclusivamente dal mercato, sia all’interno della UE (definita come nuova mobilità legata al mercato unico e agli accordi di libera circolazione -trattato di Schengen), sia oltre oceano. Non vi sono specifici accordi bilaterali, né accordi “compensativi” tra paesi erogatori e paesi accettori.
Non vi sono, sul piano istituzionale, misure di orientamento e accompagnamento specifico dei nuovi migranti alla partenza; quelli all’arrivo sono lasciati alla capacità individuale del singolo lavoratore e al gradimento di queste qualità che si registra nel mercato del lavoro del paese di accoglienza.
Questo gradimento è determinato dal livello di qualificazione e di competenze di cui è portatore il singolo migrante.
Siccome le modificazioni del mercato del lavoro risentono dei movimenti di capitale a livello globale (che sono sempre più rapidi), i flussi di emigrazione li seguono e si muovono verso i diversi paesi che di volta in volta risultano più appetibili sul piano delle opportunità. “NOMADISMO migratorio”
Analogamente, l’integrazione nei paesi di arrivo è legata a queste qualità individuali differenziate, per cui è difficile parlare di movimenti di nuove collettività migranti che, come avvenuto nel dopoguerra, assumono una progressiva consapevolezza della loro funzione all’interno del mercato del lavoro e della società di accoglienza e la trasformano in coscienza sindacale e politica. Ciò era invece possibile all’interno di una configurazione produttiva fordista che richiedeva l’”operaio-massa”. Oggi siamo invece in un contesto di “ANOMIA e individualismo migratorio”.
Da questo punto di vista e in termini di insediamento nei paesi di arrivo, la nuova emigrazione, pur con livelli culturali e di competenze molto più elevate, torna ad assomigliare a quella di fine ‘800 e inizio ‘900.
Altrettanto dicasi per le forme di aggregazione tra i nuovi migranti che si registrano prevalentemente sul piano di un mutuo soccorso generico auto-organizzato attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie informatiche e dei social-network. (vedasi ad es. le migliaia di gruppi di condivisione su facebook).
Entità della Nuova Emigrazione
Consistenza delle comunità italiane all’estero
Dai dati Istat / Aire (cancellazioni di residenza e iscrizioni negli elenchi dei residenti all’estero) si rileva un aumento costante dei flussi di nuova emigrazione dall’Italia, in particolare dal 2006 in poi.
Secondo i dati AIRE, lo stock di italiani all’estero è passato da 3.106.251 (2006) a 4.636.647 (2015), con una crescita del 49,3% in 10 anni. Circa 1,45 milioni in più. Siamo in attesa dei dati aggiornati, che dovrebbero registrare un aumento almeno analogo a quello tra 2014-2015 (oltre 150mila), per cui dovremmo attestarci attualmente intorno ai 4.8 milioni.
L’aumento riguarda tutte le aree: (+ 508.000 EU28) – (+ 809.000 Americhe) – (+127.500 Resto del mondo).
Secondo l’Aire, il motivo delle registrazioni all’anagrafe è così ripartito: 52,7% per espatrio e/o residenza all’estero, 39,2% per nascita e registrazione nell’archivio di stato civile, 3,5% per reinserimento da irreperibilità, 1,3 per trasferimento da altro paese estero o consolato e 3,3% per acquisizione di cittadinanza italiana.
E’ significativo il dato di provenienza regionale dello stock di emigrazione italiana (1° Gennaio 2015), ed utile il confronto con la consistenza della parallela presenza immigratoria a livello regionale.
Nella tabella sono evidenziate le regioni che registrano oltre il 10 per cento di emigrati sulla popolazione totale (in giallo) e oltre il 10 per cento di immigrati (in verde).
E M I G R A Z I O N E I M M I G R A Z I O N E |
N. % su pop. N. % su pop. |
|
Sicilia 713.483 – 14,0 % 174.116 3,4 % |
Campania 463.239 – 7,9 % 217.503 3,7 % |
Lazio 410.255 – 7,0 % 636.524 10,8 % |
Calabria 382.132 – 19,3 % 91.354 4,6 % |
Lombardia 396.672 – 4,0 % 1.152.320 11,5 % |
Veneto 351.412 – 6,9 % 511.558 10,4 % |
Puglia 336.607 – 8,2 % 117.732 2,9 % |
Piemonte 245.095 – 6,0 % 425.448 9,6 % |
Abruzzo 174.741 – 13,1 % 86.245 6,5 % |
Friuli V.G. 167.170 – 13,6 % 107.559 8,8 % |
E.Romagna 163.905 – 3,7 % 536.747 12,1 % |
Toscana 147.785 – 3,9 % 395.573 10,5 % |
Liguria 125.629 – 7,9 % 138.697 8,8 % |
Basilicata 121.244 – 21,0 % 18.210 3,2 % |
Marche 122.138 – 7,9 % 145.130 9,4 % |
Sardegna 109.327 – 6,6 % 45.079 2,7 % |
Molise 82.579 – 26,4 % 10.800 3,4 % |
Trentino A.A 84.413 – 8,0 % 96.149 9,1 % |
Umbria 33.597 – 3,8 % 98.618 11,0% |
Valle d.Aosta 5.224 – 4,0 % 9.075 7,1 % |
TOTALE 4.636.647 – 7,6 % 5.014.437 8,2 % |
I dati AIRE relativi alle cancellazioni di residenza per espatrio
Al 1° Gennaio del 2015, risultavano espatriati dall’Italia nel corso dell’anno 2014, 101.297 italiani (che si erano cancellati dalle anagrafi dei rispettivi comuni ed erano entrati a far parte dell’AIRE – Anagrafe dei residenti all’estero).
Di questi, la parte preponderante si era stabilita in Europa (66.312), e in America Meridionale (17.345), mentre minori le quote verso il Nord America (7.793) e il resto del mondo, Africa, Asia e Oceania (9.847). Nel 2013 erano stati 94.126, mentre nel 2012, 78.941. L’aumento, in questo arco di tempo è pari al 22,1 %.
Le prime regioni per origine di questi flussi risultano essere, nel 2014:
Lombardia (18.425), Sicilia (8.765), Veneto (8.720), Lazio (7.981), Piemonte (7.414), Emilia Romagna (7.285), Campania (6.831), Toscana (5.967), Puglia (4.946), Friuli V.G. (4.831), Calabria (4.764). Seguono non numeri minori le altre regioni.
L’alternarsi in questa classifica, di regioni del nord e del sud, da conto che il fenomeno riguarda in modo abbastanza uniforme l’intero territorio nazionale e che tra le prime regioni di esodo, tornano a figurare le regioni del nord Italia, a conferma che il rapporto tra risorse umane disponibili e capacità produttive è dovunque squilibrato (negli anni della crisi è stato distrutto circa il 20% della capacità produttiva).
Complessivamente, negli ultimi 10 anni, la crescita dei nuovi esodi è stata costante e si è passati da 39.155 cancellazioni di residenza all’anno per espatri del 2004 agli oltre 100.000 nel 2014. Nello stesso lasso di tempo (10 anni) risultano quindi emigrati definitivamente all’estero circa 600.000 italiani.
Questa è la fotografia del flusso secondo i dati ISTAT/AIRE. Ma dall’inizio del decennio questi dati, pur essendo significativi nel registrare la crescita dei flussi, sono stai messi in forse quanto a reale capacità di dare conto dell’entità effettiva della nuova emigrazione.
Confrontando i dati ISTAT con quelli di alcuni istituti statistici stranieri è apparso evidente che questi dati registrano solo una parte del fenomeno e risultano decisamente sottostimati.
Gli esempi più lampanti sono quelli che risultano dagli ingressi per lavoro registrati dalla Germania e dalla Gran Bretagna, attualmente i maggiori paesi meta di questi flussi, che si riportano di seguito.
I dati forniti dallo Statistisches Bundesamt di Wiesbaden, ci dicono che gli ingressi registrati ad esempio in Germania, risultano in tutto il quinquennio, sempre tra le 3 e le 4 volte superiori al dato Istat; nel 2014, circa 5 volte in più:
ANNO |
| Emigrati | Variazione | % |
2010 |
| 24.502 |
| 100 |
2011 |
| 30.152 | 5.650 | +23% |
2012 |
| 42.167 | 12.015 | +40% |
2013 |
| 57.523 | 15.356 | +36% |
2014 |
| 70.338 | 12.815 | +22% |
(Fonte: Statistisches Bundesamt Wiesbaden – https://www.destatis.de/)
Nuova emigrazione italiana in Germania
Dati riferiti agli stabilimenti dall’Italia in Germania dal 2010 al 2014 in confronto con gli altri gruppi nazionali:
2011 30.152 (Italiani, quinto gruppo nazionale dopo polacchi, rumeni, bulgari, ungheresi: Dopo gli italiani vengono i greci con 23.779 e gli spagnoli con 20.672)
2012 42.167 (Italiani, quinto gruppo nazionale dopo polacchi, rumeni, bulgari, ungheresi: Dopo gli italiani vengono i greci con 34.109 e gli spagnoli con 29.910)
2013 57.523 (Italiani, quinto gruppo nazionale dopo polacchi, rumeni, bulgari, ungheresi: Dopo gli italiani vengono gli spagnoli con 36.511 e i greci con 33.379)
2014 70.338 (Italiani, quarto gruppo nazionale dopo polacchi, rumeni, bulgari: Dopo gli italiani vengono gli ungheresi con 56.439, croati con 43.843, spagnoli con 34.376 e i greci con 30.602)
Come si può vedere, dei paesi dell’Europa occidentale presi in esame, solo dall’Italia continua a manifestarsi una crescita consistente del flusso emigratorio anche nel 2014 (+22%), mentre parallelamente si registra una netta diminuzione da Spagna (-26%) e Grecia (-29%) oltre che dall’Ungheria, unico tra i paesi dell’est europeo che registri una riduzione dei flussi verso la Germania (mentre da Polonia, Romania e Bulgaria, continua invece la crescita). Ciò è significativo rispetto alle politiche interne applicate nei singoli paesi (nuovo “nazionalismo” ungherese) e al tempo per noi preoccupante poiché segnala che la gravità della crisi italiana, da questo punto di vista (rapporto risorse umane/capacità produttive), non è molto diversa da quella spagnola o greca, anzi potrebbe ritenersi addirittura peggiore.
Vale anche la pena confrontare il dato del 2014 con quelli degli anni ’60, sempre verso la Germania, (che allora erano definiti dall’accordo bilaterale sottoscritto proprio 60 anni fa, il 20 dicembre del 1955), e anche verso un altro paese, la Gran Bretagna (il primo, dell’eurozona, il secondo no) avvertendo che gli anni ’60 sono anni di ”emigrazione di massa” dall’Italia. Per quanto riguarda la Gran Bretagna, dal marzo del 2014 al marzo del 2015, secondo l’ONS inglese, vi si sono stabiliti 57.600 italiani, con un aumento del 37% rispetto all’anno precedente, quando erano stati 42.000.
Flussi di espatri Italia / Germania e Italia / Gran Bretagna dal 1960 al 1970
Anno | Germania federale | Gran Bretagna |
1960 | 100.544 | 10.118 |
1961 | 114.012 | 11.003 |
1962 | 117.427 | 8.907 |
1963 | 81.261 | 4.681 |
1964 | 75.210 | 4.979 |
1965 | 90.853 | 7.098 |
1966 | 78.343 | 7.346 |
1967 | 47.178 | 4.392 |
1968 | 51.152 | 3.777 |
1969 | 47.563 | 2.971 |
1970 | 42.849 | 2.476 |
Dati Istat
Come si vede, il numero di stabilimenti di italiani in Germania nel 2014 supera i flussi registratisi nel quadriennio 1967-1970 e si avvicina a quelli dal 1963 al 1966. La media registratasi nel decennio ’60/’70 è di 84.600. Ci siamo molto vicini.
Mentre per la Gran Bretagna siamo abbondantemente sopra, oltre 8 volte la media degli anni ’60, tanto è vero che Londra, risulterebbe essere la 6° o 7°città “italiana” in Europa.
L’Istat, come già detto, registrando il dato delle cancellazioni dalle anagrafi comunali nel 2014, fornisce una cifra di 101.297 espatri per tutto il mondo. Di questi, si sarebbero trasferiti in Germania 14.270, mentre 13.425 si sarebbero trasferiti in Gran Bretagna. La proporzione tra i dati tedeschi e quelli italiani è di 4,92, cioè quasi 5 volte in più. Quella tra i dati inglesi e italiani è di 4,3, cioè oltre 4 volte in più.
Ingressi di italiani in Germania e in Inghilterra secondo l’Istat e i rispettivi istituti di statistica locali: gli anni di indicati registrano i dati registrati negli anni precedenti: (2012, afflussi del 2011 e così via)
ANNO | GERMANIA |
| |
| GRAN BRETAGNA |
| |
|
| Dati Istat | Dati dello Statistisches Bundesamt | Differenza | Scostamento dei dati in % | Dati Istat | Dati dell’ONS (National Insurance Number) | Differenza | Scostamento dei dati in % |
2012 | 6.880 | 30.152 | 23.272 | 438 % | 5.378 | 26.000 | 20.622 | 484 % |
2013 | 10.520 | 42.167 | 31.647 | 400 % | 7.542 | 32.800 | 25.258 | 434 % |
2014 | 11.731 | 57.523 | 45.792 | 490 % | 12.933 | 42.000 | 29.067 | 324 % |
2015 | 14.270 | 70.338 | 56.068 | 492 % | 13.425 | 57.600 | 44.175 | 429 % |
Totale | 43.401 | 200.180 | 156.779 | 461 % | 39.278 | 158.400 | 119.162 | 403 % |
La tabella precedente riporta gli afflussi in quelli che sono, negli ultimi 4 anni, i due paesi di massima affluenza di italiani. Ma come si vede, nel 2015, la somma dei soli arrivi in Germania e Gran Bretagna supera di 28.000 il dato delle cancellazioni di residenza per tutti i paesi del mondo, registrato dall’Istat (101.297).
I tre paesi che seguono quali mete principali (nell’ordine Svizzera, Francia e Argentina) hanno avuto storicamente, negli ultimi 5 anni, un peso equivalente a Germania e Gran Bretagna assieme.
Analogamente, gli 11 paesi seguenti nella classifica delle mete più ambite di emigrazione italiana (Brasile, Usa, Spagna, Belgio, Australia, Austria, Canada e Paesi Bassi e Venezuela, Irlanda e Lussemburgo), hanno un peso storico, nel quinquennio, equivalente a Germania e Gran Bretagna assieme.
Lo stesso vale per la somma di tutti i restanti ulteriori paesi del resto del mondo messi assieme.
Se dovessimo riscontrare un’analogo scostamento (approssimato per difetto) tra i dati dell’AIRE e quelli effettivi dei diversi paesi (uno scostamento intorno di 4 a 1 tra dati effettivi e dati AIRE), per avvicinarci al dato reale, dovremmo moltiplicare per 4 i dati Istat. Ciò porterebbe ad un risultato sensazionale: il flusso di emigrazione solo nel 2014 si attesterebbe intorno ai 400.000 italiani espatriati.
Considerando che, grazie agli accordi di Schengen, la facilità di movimento all’interno della EU è stata fino ad ora nettamente favorevole rispetto a quella verso altri paesi, siamo dell’idea che questo rapporto può valere per tutti i paesi comunitari ove è in vigore l’accordo di Schengen, ma non per quelli extraeuropei.
Si tratta in ogni caso, di una materia interessante di approfondimento per la statistica nel tempo della globalizzazione, che imporrebbe una permanente comparazione tra dati italiani e dati forniti dai paesi di arrivo.
In attesa di avere delle conferme scientifiche definitive, potremmo dare per accettabile o più vicino alla realtà, che gli espatriati nel quinquennio 2010-2015 sia dato dai dati Aire (cancellazioni di residenza), moltiplicato per 2,5/3. Il che porterebbe il flusso di espatri nel corso del 2014 in un range tra a 250 e 300mila e, nel complesso del quinquennio, tra 800.000 e 1 milione di persone.
Nel 2014, ci sarebbe anche un’inversione di tendenza rispetto all’immigrazione, poiché il numero degli emigrati supererebbe quello degli immigrati. (Vedi serie storiche: ISTAT: http://demo.istat.it/altridati/trasferimenti/index.html)
CONCLUSIONI
LA CRISI ITALIANA E LA NUOVA EMIGRAZIONE
La NUOVA EMIGRAZIONE può essere considerata come una della più significative manifestazioni della crisi attuale del paese (e anche degli altri paesi del sud Europa). E allo stesso tempo una delle manifestazioni più preoccupanti delle proiezione declinante dell’Italia nello scenario internazionale. Ed è forse (una valutazione che lasciamo agli storici) la conferma di una caratteristica strutturale dell’ incapacità di valorizzazione del proprio capitale umano, del nostro paese.
Per i seguenti motivi:
a)- medio-alta scolarizzazione della nuova emigrazione (oltre il 60% risulta diplomato o laureato)
b)- la nuova emigrazione si sviluppa in uno scenario globale di flessione e di crisi economica e non di sviluppo, come avvenuto nei periodi 1900-1915 o 1945-1970.
c)- la nuova emigrazione si sviluppa in uno scenario di flessione demografica del paese (accanto ad una parallela flessione che riguarda anche gran parte dei paesi che costituiscono meta di arrivo degli italiani) e non, come avvenuto dei periodi precedenti, di crescita e surplus demografico.
L’impressione è che quindi ci si trovi di fronte ad una nuova tipologia di migrazione che potrebbe essere definita “estrattiva” o di drenaggio di risorse, analogamente a quanto si definisce con questo termine, lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali nei paesi periferici, ripreso negli ultimi decenni, da parte del grande capitale multinazionale che trova la sua collocazione solo in alcuni paesi guida, e in contrasto con ipotesi alternative di sviluppo che compendiano la possibilità di una crescita sostenibile dal punto di vista sociale ed ecologico. Cioè di un equilibrio tra risorse disponibili ed paesi/aree/continenti. Ovviamente, questo è un discorso che riguarda sia la nostra nuova emigrazione che l’immigrazione terzomondiale verso l’Italia e l’Europa.
Il fatto che paesi come la Germania stiano sviluppando un piano di acquisizione di risorse umane dal resto del mondo per contenere la propria flessione demografica (- 10milioni previsti per il 2050), così come altri paesi sviluppati o in via di sviluppo stanno facendo o cercando di fare, configura il fenomeno della nuova emigrazione italiana entro scenari anche teorici in parte diversi da quelli su cui storicamente abbiamo ragionato:
appare sempre più difficile sostenere un’idea di emigrazione come risorsa che può alimentare (attraverso le rimesse o la crescita di competenze di ritorno) i paesi erogatori e allo stesso tempo ridurre le tensioni sociali ed economiche causate da una sovrappopolazione rispetto alla capacità di assorbimento delle rispettive economie di partenza dei flussi.
Sembrerebbe più adeguata una lettura dei nuovi flussi, come flussi aspirati (o accaparrati) dai paesi più forti, visto che il circuito di valorizzazione capitalistica li esige parallelamente allo sviluppo tecnologico che sono in grado di attivare più e meglio di noi. Vi sarebbe anche da riflettere sulla possibilità che lo sviluppo tecnologico e l’automazione, necessitino, dal punto di vista della valorizzazione capitalistica, non di una riduzione, ma di un aumento delle risorse umane qualificate a disposizione. Per questo la nuova emigrazione è caratterizzata da alti livelli di scolarizzazione e di competenze. (come peraltro definito in modo cristallino dalla Legge sull’immigrazione approvata in Germania all’inizio del 2.000, che regola i flussi di ingresso in base alla qualità della risorsa immigrazione). Cosa riconfermata in occasione dell'”apertura” all’ingresso dei profughi siriani in quanto portatori di livelli di scolarizzazione e di competenze abbastanza elevate.
Allo stesso tempo, si può dire, per quanto ci riguarda, che nell’ambito di una crisi che ha distrutto oltre il 20% del potenziale industriale del Paese, ci troviamo di fronte ad uno scenario analogo a quello di un dopoguerra, con esuberi di risorse umane rispetto al potenziale industriale attivo, pur in presenza di un deficit demografico.
Dal punto di vista dei paesi accettori, questo accaparramento, soddisfa non solo l’esigenza a breve termine del sistema economico dei paesi di arrivo, ma risulta indispensabile, a lungo termine, anche per contenere il proprio deficit demografico. In questo senso, la mercificazione del lavoro, raggiunge i suoi più avanzati livelli e si coniuga con la progettazione di società del futuro ad alta o meno alta competenza diffusa.
Il che equivale a dire che il posizionamento internazionale di paesi che fino ad ora erano relativamente collocati su livelli simili, pur con differenziazioni importanti, può bruscamente e definitivamente variare in direzione di una ricollocazione nei livelli medio-bassi della divisione internazionale del lavoro (per l’Italia).
Nei paesi di partenza, se questo trend si consolida, inevitabilmente, ci si troverà di fronte, a medio termine, a ricadute negative: peggioramento dell’equilibrio demografico e carenza di competenze di medio-alto livello per lo sviluppo.
La proiezione dello Svimez riguardo al meridione a metà secolo (con una riduzione di 4,5 milioni di popolazione al 2050), in mancanza di politiche alternative, può riguardare anche buona parte del resto del paese ed è, in modo inquietante, parallelo alla previsione dei 10milioni di ingressi progettati dalla Germania nello stesso periodo. Vi è da rilevare, a questo proposito, che gli ingressi in Germania, negli ultimi anni, non provengono da paesi extraeuropei (Asia o Africa), ma in parte preponderante dai paesi europei limitrofi (dell’est e del sud Europa: Polonia, Romania, Bulgaria, Ungheria, Italia, Spagna Croazia e Portogallo).
La nuova emigrazione, può costituire, da questo punto di vista, un nuovo Eldorado per i paesi di arrivo e un grande problema nazionale per quelli di partenza; non si tratta solo di una questione di natura politica o morale, è piuttosto un’indicazione di assoluta evidenza degli scenari attuali e di quelli che possono presentarsi a medio-lungo termine.
Immaginario e caratteristiche della Nuova Emigrazione
Si può aggiungere un’altra considerazione riferita alla tipologia e, diciamo così, all’immaginario di questi nuovi migranti; da quello che sappiamo, questi giovani o relativamente giovani migranti non pensano a rientrare; non pensano neanche a costruirsi la casa in Italia, a prescindere dal grado di nostalgia che come ogni migrante provano; sono molto realisti: hanno molti dubbi che il nostro paese possa riproporre loro condizioni di lavoro e di vita dignitose o soddisfacenti a breve o medio termine.
Se è così, si può essere certi che le agognate rimesse per contribuire al pareggio delle partite correnti e quindi alla diminuzione del debito, non vi saranno, o saranno molto irrisorie; difficilmente vi saranno le opportunità di sviluppo immobiliare finanziate nel dopoguerra in molte aree arretrate del paese, dai capitali degli emigrati.
Sembra che la nuova emigrazione costituisca, per l’Italia, una sorta di “vuoto a perdere”. Che però è costata tantissimo al paese in termini di investimenti del paese e delle famiglie. Nell’ordine di parecchie decine di miliardi, ad oggi. Se i dati delle proiezioni da noi indicate sono corrette, di tratterebbe già oggi di oltre 100 miliardi. Se il flusso continuerà in modo analogo nel prossimo decennio questo esborso di capitale umano sarà calcolabile nell’ordine di diverse centinaia di miliardi di Euro e questo travaso andrà a produrre PIL aggiuntivo ed ulteriore in altri paesi. Si tratta cioè dell’alimentazione di uno spread ben peggiore di quello determinato dagli effetti dei movimenti globali di capitali verso i paesi centrali. E a sua volta, riducendo le opportunità di investimento, esso è destinato a costituire un volano ulteriormente negativo anche per il primo.
Prospettive e proposte
Lo scorso autunno la Filef ha ricordato il 40nnale della morte di Carlo Levi. Abbiamo recuperato in questa occasione diversi documenti, in particolare un discorso tenuto a Grassano nel 1970, il paese del suo confino negli anni 30, durante il fascismo.
In questo discorso, Levi ricorda l’espressione di Francesco Saverio Nitti, pronunciata verso il 1905 o 1906, in cui l’allora presidente del Consiglio italiano, ricordando le condizioni di vita nel meridione, dice che negli anni seguenti all’Unità d’Italia, in effetti, non vi erano molte alternative: “o si diventava briganti o emigranti”. L’espressione è nota. Meno nota la chiarificazione che ne fa Levi:
Levi sostiene che il brigantaggio, con tutti i suoi limiti e le sue ambiguità, era purtuttavia una rivolta sociale determinata dalla speranza di un mutamento. Una rivolta sociale che però fallì. Restò quindi aperta, per le plebi meridionali, solo la possibilità –stavolta individuale- di emigrare. Cioè la possibilità di cercare Fortuna. La Fortuna è una dea che tocca i singoli, non le comunità, la Fortuna non è sociale. E’ l’alternativa individuale ad una sconfitta sociale.
Questa riflessione mi ha fatto molta impressione. Per l’oggi e per ciò che può accadere: la nuova emigrazione è in effetti, il prodotto di un fallimento; sociale e politico.
E’ l’incapacità di valorizzazione di un bene prezioso – e scarso – su cui si è investito, non di un bene in sovrappiù demografico, e forse rimpiazzabile, come poteva ritenersi nel dopoguerra da un paese sconfitto (“imparate una lingua e andate all’estero”).
Per dirla in modo più chiaro, forse non siamo del tutto coscienti che vi è già stata una sconfitta sociale e politica che è al tempo stesso la sconfitta del paese nella sua interezza. Questa sconfitta, che probabilmente terrà il paese sotto scacco per molto tempo, è quella per la quale non risulta possibile fare gli investimenti sul capitale umano di cui il paese dispone. Ciò che corrisponde ad una accettazione indiretta (e allo stesso tempo celata e oscurata) del proprio declino.
Nella nuova divisione internazionale del lavoro e del controllo delle risorse endogene di cui si dispone, le decisioni politiche che assumerà il paese saranno determinanti. Lasciare andare milioni di persone, in questo momento, significa accettare il ruolo subalterno che qualcuno (le elite globali e le frazioni globalizzata del capitalismo nazionale) ha disegnato per noi, con l’abbaglio che possediamo alcuni settori “fuori mercato” che nessuno ci toglierà mai: beni culturali, turismo, gastronomia, design, ecc..
Da questo punto di vista, la ipotizzata sostituzione di lavoro e di popolazione proveniente da altri paesi extraeuropei, a riempire il buco che si va creando, è una questione che crea una certa inquietudine e su cui è opportuno riflettere con molta attenzione, al di là delle espressioni xeonofobe e razziste:
da una parte saremo sempre più, come già siamo, punto di primo arrivo della gioventù africana e medio-orientale, dall’altra, erogatori di altra gioventù più o meno autoctona.
Se vi fosse consapevolezza di ciò che sta accadendo, ammesso che per un lungo periodo il paese non avrà le risorse per valorizzare il proprio capitale umano, allora sarebbe più lungimirante finalizzare ed orientare i nuovi flussi di emigrazione verso destinazioni diverse da quelle prevalenti, utilizzando “l’occasione” negativa e costruendo, ad esempio, politiche di cooperazione internazionale verso paesi in via di sviluppo o che necessitano di risorse umane di un determinato livello di competenze.
In questo modo, almeno, si tratterebbe di un investimento a lungo termine, verso aree emergenti che potrebbero essere legate in prospettiva al nostro paese, alimentando lo sviluppo di queste aree e contribuendo a ridurre il divario nord-sud, riducendo la pressione immigratoria e trasformando l’emigrazione, da ambito di accaparramento di risorse per i paesi più forti (Nord Europa, Nord America), in fattore di sviluppo cooperativo e a lungo termine con i paesi più deboli. L’America Latina e l’Africa, dovrebbero diventare, in questo caso, le nostre mete di arrivo.
Parallelamente, l’investimento che andrebbe fatto sul versante immigrazione, insieme ad adeguate politiche di integrazione, che però non risolvono in sé la questione, dovrebbe contemplare politiche di formazione e riqualificazione tali da poter riconvertire parte dell’immigrazione in agente e attore di sviluppo per i paesi di provenienza alimentando i settori di sviluppo autoctono e mirando, in primis, all’autosufficienza alimentare ed energetica.
Se in questa fase non siamo in grado di gestire adeguatamente la dinamica geopolitica internazionale in termini di COMPETIZIONE, potremmo tentare rimediare almeno parzialmente, in termini di COOPERAZIONE. E potremmo in parte farlo coniugando il diritto ad emigrare, con il diritto a non emigrare per forza, o ad emigrare dove conviene di più al paese.
In questo senso, almeno, troverebbero un ragione d’essere, gli investimenti in capitale umano già fatti e quelli da fare.
L’altra questione che ci riguarda come organizzazioni sociali e sindacali è quella di non far saltare definitivamente i ponti con la nuova emigrazione che se ne è andata e che se ne sta andando. Oltre al potenziale economico, la nuova emigrazione, proprio per la scelta che fa, rappresenta un forte potenziale critico sul piano sociale e politico che è per noi e per il paese un grande patrimonio.
Su questo piano, sarebbe decisivo strutturare una serie di misure di accompagnamento e di primo orientamento sia alla partenza che all’arrivo nei diversi paesi, che può essere facilmente organizzata attraverso le reti di servizio e associative di cui si dispone sia in Italia che all’estero.
La rete Fiei ed altre reti associative hanno già iniziato questo lavoro di orientamento. Ma questi nuovi servizi alla nuova emigrazione dovrebbero essere parte di un programma di interventi unitario e coerente che miri a tenerci vicina la migliore gioventù che abbandona il paese. Su un progetto integrato di questo tipo è tra l’altro possibile attivare finanziamenti comunitari e quelli regionali (magari evitando di sprecare miliardi di risorse comunitarie).
Infine vi è da tener presente che la messa in discussione di Schengen, derivante dal recente accordo sul Brexit, ma i cui sintomi erano già presenti nell’incedere delle pratiche di espulsioni di cittadini comunitari messi in atto già da parecchi anni da diversi paesi (Belgio, Germania), e che hanno già riguardato migliaia di cittadini italiani in Europa, configurano la necessità di servizi di assistenza e tutela anche in questo nuovo ambito.
I processi di “de-globalizzazione” in atto e di ridefinizione del rapporto tra sovranità dei singoli paesi e sovranità comunitaria, riguarderanno anche, in un modo o nell’altro, i 2,5 milioni di italiani nel nord Europa e certamente le condizioni della nuova emigrazione, anche sul piano delle prestazioni sociali e previdenziali.
C’è insomma una vasto campo di riflessione e di attività su cui misurarsi.(Rodolfo Ricci)