di Tonino D’Orazio (foto accanto) - Dal 1861 fino alla prima guerra mondiale, in 60 anni, con ondate ad ogni crisi ventennale, andarono via dall’Italia circa 15 milioni di connazionali. La stragrande maggioranza era del Mezzogiorno, ma non furono da meno i veneti, né gli allora austroungarici friulani. Dall’epoca dell’unità forzata del Paese sono state registrate più di 27 milioni di partenze. A partire dall’unificazione nel 1861, l’Italia ha conosciuto un espatrio di quasi 30 milioni di persone, compresi i non registrati. Tra le varie generazioni dell’emigrazione che si sono susseguite nei cinque continenti, attualmente si contano in circa 4.636.647, secondo il più recente Rapporto della Fondazione Migrantes (2015), gli italiani che hanno conservato la cittadinanza e sono iscritti all’Anagrafe dei residenti italiani all’estero (Aire). Cifra irrisoria rispetto agli 80 milioni di oriundi che le stime più attendibili confermano essere oggi l’entità della comunità d’origine italiana all’estero. (vedi dati e studi Filef). L’Abruzzo e il Molise, hanno oggi corregionali all’estero in numero uguale alla popolazione residente. Per esempio, un abruzzese o un molisano su due vive fuori, all’estero. Succede a quasi tutte le regioni del mezzogiorno. Questa “problematica”sconvolgente però non fa parte, nei libri di testo, della storia del nostro paese. Se la storia la fanno i vincitori, gli emigrati sono considerati perdenti. La nostra Costituzione Repubblicana e democratica, fino ad oggi, è fondata sul lavoro, ma, in concomitanza con i grandi drammi degli esodi migratori dal sud del mondo, ci troviamo anche di fronte ad un nuovo consistente esodo di giovani, e non giovani, connazionali, paragonabile a quello, finita la ricostruzione, degli anni ’60, nella quasi indifferenza del mondo politico italiano, come allora. Anzi, mentre De Gasperi invitava lavoratori appena alfabetizzati ad imparare le lingue e ad andare all’estero, possiamo dire che oggi, poiché un po’ di inglese che si studia a scuola i giovani lo conoscono, possono anche essere definiti in “apertura al mondo”, veri e propri turisti. Magari nascondendo le cause strutturali di un paese senza futuro, perché anche senza dignità del lavoro, e invitando imprenditori stranieri ad investire in Italia perché vi sono i salari più bassi d’Europa e le “intelligenze” rimaste più disponibili. Pubblicità internazionale del Ministero dello Sviluppo Economico: “I costi del lavoro in Italia sono ben al di sotto dei competitor come Francia e Germania. Inoltre, la crescita del costo del lavoro nell’ultimo triennio (2012-14) è la più bassa rispetto a quelle registrate nell’Eurozona (+1,2% contro +1,7)”. Oppure Migrantes: i giovani ” sono una generazione penalizzata dal punto di vista delle possibilità lavorative, sono i più esposti alla disoccupazione e vedono l’emigrazione non come una fuga ma come un mezzo per soddisfare ambizioni e nutrire curiosità’“. E forse poter vivere dignitosamente. Bene se fosse una libera scelta. I lavoratori non hanno mai libera scelta. Purtroppo, per esempio, non sono soltanto in più di centomila quelli che se ne sono andati dall’Italia nel 2015, come risulta dai dati disponibili, (AIRE-Istat), ma molto di più: stando ai dati forniti da altri paesi, per esempio dalla Germania e dalla Gran Bretagna, il nuovo esodo italiano in questi che sono i due paesi di massimo afflusso di connazionali, è superiore di almeno 4 volte a quello dell’Aire. Riguardo a questi due paesi infatti che in questo momento risultano essere le mete più ambite della nuova emigrazione, nel corso degli ultimi 4 anni, cioè dal 2012 al 2015, secondo i dati italiani sarebbero emigrati 43.401 italiani in Germania; secondo i dati registrati dai tedeschi, invece, (dello Statistisches Bundesamt) ve ne sono arrivati 200.180. Analogamente, in Gran Bretagna, sarebbero stati, secondo l’Istat, 39.278; mentre per gli inglesi, (dello National Insurance Number) sono stati 158.400. Sulla base di questi dati è sostenibile la stima che l’entità della nuova emigrazione italiana si aggiri, negli ultimi anni, tra le 250.000 e le 300.000 unità all’anno. Nell’ipotesi più contenuta, ciò corrisponde al flusso di espatri medio che si registrò dal 1965 al 1970 che fu complessivamente di 1.078.000 (mentre nel quinquennio 1960-1964 furono invece 1.556.000, cioè circa 300mila all’anno). L’emorragia silenziosa è in continuo aumento. Abbiamo di fronte le contraddizioni, le incoerenze della politica e delle istituzioni, le insufficienze e gli errori di un sistema paese che mentre da dieci anni ambisce a rilanciare la crescita, lascia tranquillamente defluire le migliori competenze e energie giovanili della nuova emigrazione verso altri lidi, ad arricchire altri paesi. Con il rischio concreto che la perdita sia definitiva e permanente. Non c’è ritorno se il tessuto di partenza rimane uguale se non peggiore. L’impoverimento del Mezzogiorno continua ferocemente e inesorabilmente. Ma dal rapporto 2015 (Migrantes) le regioni che più perdono oggi sono Lombardia e Veneto. Dati Migrantes (rapporto 2016). Su 107.529 espatriati nell’anno 2015, i maschi sono in leggera maggioranza, oltre 60 mila (56,1%). L’analisi per classi di età mostra che la fascia 18-34 anni è la più rappresentata (36,7%) seguita dai 35-49 anni (25,8%). I minori sono il 20,7% (di cui 13.807 mila hanno meno di 10 anni) mentre il 6,2% ha più di 65 anni (di questi 637 hanno più di 85 anni e 1.999 sono tra i 75 e gli 84 anni). Inoltre dagli ultimi dati la percentuale degli oltre cinquantenni che lasciano il paese è pari a quella dei giovani 18-34 anni. Il fatto che sia costituito in maggioranza da uomini lascia presupporre che siano di nuovo i “padri di famiglia” che ripartono a cercare un lavoro che non si trova più in Italia, data l’età di “rottamazione” dovuta anche dal jobs act. La storia ci dice che il ricongiungimento familiare, prima o poi, è ineluttabile. Da qui l’ultima sparata del colonnello francese Hollande presentando una nuova legge per impedire questo ricongiungimento e rincorrere la Le Pen. Inoltre, nei dati, già il 20% è rappresentato da minori, cioè un altro pezzo del futuro a medio termine. Anche gli anziani che, in mancanza di prospettive di vita dignitosa e affettiva, senza futuro diritti sanitari, li raggiungeranno. (cfr l’Inps con l’aumento del numero delle pensioni pagate all’estero e l’impossibilità per milioni di accedere alle costose visite specialistiche). Stranamente sembra esserci quella regola per cui la natura ha orrore del vuoto. Quello lasciato si sta riempiendo diversamente. Basta sommare il 7% di italiani, spesso qualificati, andati all’estero in questi ultimi anni e l’8% degli immigrati approdati in Italia. Si tratta di un’enorme risorsa di relazioni e competenze umane, internazionali e interculturali, che attende di essere innescata e che può costituire uno degli elementi di forza per il nostro paese, e le nostre regioni, laddove la Politica operi con intelligenza e lungimiranza. Purtroppo i due elementi sembrano divaricarsi e la struttura politico-economica li ha abbandonati completamente in una assente capacità programmatica di considerare i due fenomeni una risorsa per il nostro paese e le nostre regioni. Sono uno straordinario patrimonio umano e necessitano che vi sia la capacità di ascolto e di cooperazione, in termini di politica economica, perché oggi sembriamo capire solo questa, di investimenti. Questo però necessita lungimiranza, meno mediocrità e che vi siano dei veri statisti.