di Roberto Guaglianone (foto accanto) -L’occidente è stato costruito sul razzismo. L’idea di razza è stata creata per mantenere le gerarchie. La disuguaglianza tra gli uomini non è un caso. Il progresso dell’occidente non sarebbe stato possibile senza la schiavitù,
il genocidio e il colonialismo” (Kehinde Andrews, professore di sociologia).
Se è vero che, come tante tesi antropologiche sostengono, le migrazioni umane sono connaturate alla storia, dall’homo erectus in avanti, quello che connota gli spostamenti di ingenti masse di persone negli ultimi due secoli sono le impressionanti disuguaglianze che hanno provocato una profonda frattura in seno all’umanità.
Le migrazioni come paradigma delle diseguaglianze
Immaginiamo la fasi di uno spostamento, dalla sua pianificazione alla partenza, dal viaggio all’approdo: a ben pensarci, ogni fase contiene in sé, paradigmaticamente, gli elementi di fondo delle disuguaglianze. Vediamoli, partendo da un presupposto di complessità: non tutte le migrazioni da Nord (siano esse verso Sud o verso lo stesso Nord, sempre più frequenti per ricerca lavoro) sono per “affari” o “turismo”, così come non tutte (ma ormai la stragrande maggioranza) di quelle da Sud (sia verso Sud, con una direttrice campagna-città o da un luogo di conflitto verso un luogo di pace”, sia verso Nord) siano catalogabili all’interno del variegato mondo delle “migrazioni forzate”. Ci concentreremo comunque, sulle migrazioni che partono dalla zona Sud del pianeta.
Immaginare un viaggio
Le disuguaglianze principali sono, in questa fase, almeno tre:
a) la possibilità di accesso al viaggio, ancora potenzialmente negata a quei tre miliardi di esseri umani che vivono – per intenderci – sotto la soglia dei due dollari USA al giorno. Le tariffe per una migrazione verso l’Occidente, il cui proibizionismo migratorio appalta alle criminalità, raggiungono il triplo del costo di un biglietto per un mezzo di trasporto ordinario (aereo, nave): ecco perché sono spesso intere famiglie, clan familiari o villaggi a dover sostenere la partenza del “più abile” dei propri figli.
b) la qualità del viaggio, che è ovviamente conseguente alle tariffe versate a intermediari, passatori, doganieri, ecc.. Il rischio della vita è elevatissimo: se infatti conosciamo le tragiche cifre dei morti nel mare Mediterraneo (quasi 5000 solo lo scorso anno), molti di più sono – per restare sulla rotta africana) – i morti nel deserto del Sahara (info: http://nuovidesaparecidos.net).
c) la pianificazione del viaggio, infine, è impossibile in caso di deflagrazione improvvisa di un conflitto, ma – anche quando si può effettuare in qualche modo – è sempre soggetta a improvvise modificazioni, dovute alla precarietà delle “promesse” dei trafficanti.
Fare un viaggio
Le politiche dei visti incarnano nient’altro che la negazione della libertà di circolazione delle persone, a fronte dell’illimitata possibilità di circolazione dei capitali e delle merci. L’aeroporto è il luogo per eccellenza dove si evidenziano le diseguaglianze tra esseri umani. Il “Muslim ban”, firmato da Donald Trump, altro non è che l’ulteriore restrizione, con esplicite motivazioni discriminatorie, di quanto già normalmente previsto in tutte le “zone sterili” previste presso il settore degli arrivi di ogni aeroporto internazionale. E’ questo il luogo fisico dove si concentrano tutte le restrizioni alla libera circolazione: la targa “Non UE citizens”, nella nostra area, ne è l’emblema. E stiamo parlando della modalità meno pericolosa di viaggiare da Sud a Nord…e del punto d’approdo. Deserti, mari, campi minati, distese di neve, “cacciatori di migranti”, sono le minacce più frequenti per la vita stessa di chi deve affrontare un viaggio che, in direzione inversa, si può compiere in assoluta sicurezza ed economicità, rapidità e garanzia di ingresso nello Stato di destinazione. Il proibizionismo migratorio alimenta a sua volta la conquista di interi territori da parte delle economie criminali che hanno diritto di vita e di morte su intere comunità e che hanno investito nella migrazione pianificata; contemporaneamente, alimenta il flusso di valuta pregiata dal Nord per il pagamento degli interessi usurari sulla tariffa del viaggio, magari ottenuta a prezzo della prostituzione forzata che, a sua volta, getta interi territori del Nord del mondo in mani mafiose. Aumentando ulteriormente le disuguaglianze tra le diverse aree del pianeta così come all’interno degli stessi Paesi.
Alla fine del viaggio
Disuguali alla partenza, in viaggio e all’arrivo…ma è alla fine del viaggio che assistiamo alla cristallizzazione delle disuguaglianze. Su almeno tre versanti:
a) le politiche di soggiorno, spesso interconnesse (il caos italiano su tutti) a quelle del lavoro (“perdi il lavoro, perdi il permesso”); le sempre più stringenti politiche di ricongiunzione familiare che oggi sono il principale fattore di immigrazione legale nei Paesi occidentali; il tentativo di stringere sempre di più le maglie delle politiche di asilo nei territori di approdo delle persone in fuga da vicende belliche, ma anche ambientali, sempre più feroci;
b) l’accesso ai diritti sociali e civili, ancor prima che politici, che prevedono norme apertamente discriminanti verso i “non residenti”, dai livelli comunali a quelli regionali e nazionali, per l’accesso all’alloggio, in taluni casi al lavoro e alla previdenza sociale, in altri alle prestazioni sanitarie e addirittura scolastiche;
c) le stesse politiche di “rimpatrio volontario assistito” sono al momento ispirate, in area europea, a logiche di “monetizzazione del rientro forzato”, se è vero che solo pochissimi Paesi prevedono formule davvero incentivanti e che nemmeno le stesse agenzie internazionali garantiscono più. Pochi sono gli esempi virtuosi, che aiutano il migrante sprovvisto di mezzi a rientrare nel proprio Paese, una volta accertato il “fallimento” del proprio progetto migratorio.
Migrazioni e disuguaglianze: queste ultime le si trova ovunque, in qualsiasi luogo e momento del viaggio. Al punto che verrebbe quasi da affermare che il razzismo, come l’abbiamo conosciuto un tempo, non è nemmeno più necessario, con il suo logoro armamentario di luoghi comuni e sopraffazione. Se non fosse che, ora come allora, vi sono luoghi, anzi non-luoghi (per dirla alla Dal Lago) fisici dove tutto si cristallizza: sono i centri di detenzione (e, deportazione) per cittadini e cittadine stranieri. La mappa europea di questi non-luoghi – in continuo aggiornamento così come le loro sempre più creative denominazioni – è in continua espansione. Vi sono detenute persone colpevoli di un semplice reato amministrativo, la non ottemperanza alle norme sul soggiorno.
E stanno lì, nella loro mortifera immobilità, a testimoniare le disuguaglianze portate con sé dai viaggiatori delle migrazioni.
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 27 di Gennaio-Febbraio 2017 “Il deserto delle diseguaglianze“