Cos’è stata realmente l’emigrazione siciliana verso gli Stati Uniti d’America dalla fine dell’ottocento alla fondazione dello Stato totalitario ? Quali ragioni hanno motivato un esodo biblico sicuramente senza precedenti ?
Quali costi umani hanno pagato milioni di uomini e donne, ma anche bambini, nel tentativo di costruirsi un futuro meno incerto rispetto a quello che li aspettava nella loro terra d’origine ? Quali ricadute, positive o negative, ha avuto sull’isola questo fenomeno epocale ? Le risposte a queste domande le ritroviamo nel breve saggio-memoria “Ti la scordi la Merica”, di Calogero Pumilia, pubblicato dalla Aulino, una piccola casa editrice di Sciacca. Per raccontarci questa storia, Pumilia parte dalle esperienze della sua famiglia, vissuta a Caltabellotta nell’agrigentino, che di quelle vicende è stata protagonista.
Il volume, molto documentato, nato come tesi di laurea, è integrato da numerosi grafici che consentono, anche se riferiti al comune di Caltabellotta considerato un campione, di avere una puntuale informazione (età, sesso, cultura, professionalità etc.) sulla realtà complessiva del movimento migratorio. Insomma, un lavoro di notevole pregio ma, anche, uno spaccato umano dove emergono figure perfino mitiche come la dolce, ma forte e lungimirante, nonna Titì, struggente memoria dell’autore. Non è solo, dunque, una fredda ricerca su un aspetto non ancora abbastanza indagato della storia del nostro Paese, ma un appassionato e umano racconto dedicato ai nonni dell’autore che, nonostante sacrifici e privazioni, come molti degli emigrati siciliani “non avevano realizzato il sogno americano”. Ma torniamo alle nostre domande iniziali. L’emigrazione siciliana, diretta negli anni in questione quasi esclusivamente verso il “Nuovo mondo”, è fenomeno abbastanza complesso che richiama letture diverse che, sicuramente, vanno al di là delle narrazioni ideologiche di cui certa storiografia, soprattutto d’orientamento marxista, che per molto tempo sono state prevalenti. Ridurre, infatti il fenomeno all’essere “costretti ad andare via”, espulsi da una terra avara dominata da rapporti sociali che non lasciavano speranze alle masse diseredate, appare infatti insufficiente a comprenderne le ragioni e significa tralasciare la forza attrattiva che rappresentava l’America e il suo impressionante sviluppo socio-economico sulla realtà siciliana. Partendo da questa presa d’atto è evidente la risposta che Pumilia, confortato dalla nuova storiografia, dà alla seconda domanda. L’emigrazione siciliana è indubbio che trae origine dalle terribili condizioni in cui vivevano la grande maggioranza della popolazione. Peggioramento seguito al fallimento e alla repressione dei Fasci siciliani, un movimento quest’ultimo nato dal crescere del disagio delle condizioni economiche sociali delle popolazioni rurali effetto della grande depressione che aveva interrotto il ciclo espansivo dell’economia siciliana.
Infatti, il crollo dei prezzi dei prodotti locali, la guerra commerciale con la Francia e gli effetti catastrofici dell’arrivo della fillossera, avevano ulteriormente aggravato le già terribili condizioni socio-economiche dei contadini siciliani. Ma, giustamente sottolinea Pumilia, non meno importante è stato anche il ruolo di quanti, fiutando il business, si sono dati da fare per accrescere l’attrattiva verso il “Nuovo mondo”, dipingendolo a tinte rosa e costruendo, così, il mito dell’eldorado americano. Ruolo esercitato attraverso agenti che le compagnie di navigazione, in un tempo in cui le informazioni non correvano come nel presente, sguinzagliavano sul territorio e che cercavano di convincere contadini, piccoli artigiani, gente senza arte ne parte e qualche avventuriero che la “Merica” avrebbe finalmente risolto ogni problema. E qui la terza domanda e la conseguente risposta. I costi umani furono altissimi. Viaggi disastrosi che fecero molte vittime, vincoli drammatici al momento dell’arrivo, non sempre facile inserimento nel mondo del lavoro e, in ogni caso, pagato a condizioni di sfruttamento inenarrabili. Situazioni che per la maggioranza degli immigrati in Usa mortificarono le aspirazioni a realizzare quell’agognato sogno americano e che costrinsero alcuni a fare ritorno nella terra d’origine. Inoltre “coloro che rimasero nel Nuovo mondo, scrive Pumilia, non diventarono mai del tutto americani e coltivarono sempre la nostalgia del loro paese.” Infine, anche le ricadute soprattutto positive della stessa emigrazione. L’emigrazione, e la cosa è ampiamente indagata, ridusse la pressione demografica e consentì di elevare le remunerazioni di tanti contadini, braccianti e proletari. Inoltre le rimesse, ben presto divenute consistenti, migliorarono i consumi e le condizioni di vita generali delle popolazioni siciliane. Molti ebbero la possibilità, e fra questi anche parenti dell’autore, di potere finalmente accedere al possesso dell’ambito “pezzo di terra”. Tuttavia, lamenta l’autore, la storia sarebbe potuta essere diversa, non furono infatti colte le opportunità che il possesso del denaro offriva agli stessi emigranti, quelle somme, “vennero indirizzate in investimenti scarsamente produttivi e spesso antieconomici”. Un libro, dunque interessante, originale nel suo taglio, che a nostro giudizio sarebbe poco giusto che passasse inosservato. (Pasquale Hamel)