Non è giusto rimanere insensibili al dramma dei pensionati italiani rientrati in Italia dal Venezuela dopo una vita di duro lavoro e sacrifici ai quali da più di un anno il Paese sud americano ha sospeso il pagamento delle pensioni. Continuo a ricevere segnalazioni da persone anziane disperate perché non hanno i soldi per sopravvivere e perché l’Italia si rifiuta di riconoscere il loro stato e di concedere le prestazioni assistenziali. Ho presentato nei mesi scorsi un’interrogazione parlamentare, ho contattato numerose autorità ed ho ora scritto al vice ministro Mario Giro per sollecitare una iniziativa del Governo. Al vice ministro ho spiegato nella mia lettera l’urgenza di un intervento risolutivo. L’ho innanzitutto ringraziato per essersi dimostrato molto sensibile al problema dei pensionati italiani residenti in Venezuela contribuendo con il Suo intervento in maniera determinante al ripristino del pagamento delle loro prestazioni non contributive (trattamento minimo e maggiorazioni sociali) con l’introduzione dell’utilizzo del cambio parallelo ai fini valutari. Gli ho chiesto quindi di valutare altresì l’opportunità di aiutare i nostri connazionali rientrati in Italia dal Venezuela che non sono molti, sono meno di 1.000. Cosa si può fare? Ho premesso di essere consapevole della difficoltà di convincere le autorità competenti venezuelane a ripristinare i pagamenti delle pensioni venezuelane all’estero (in tutto il mondo si calcola che siano quasi 25.000 le pensioni sospese) e così a rispettare anche i dettami della Convenzione bilaterale di sicurezza sociale stipulata con l’Italia (che prevede l’esportabilità delle prestazioni), ma ho sottolineato di ritenere giusto e necessario valutare l’opportunità di concedere ai titolari di pensione in convenzione con il Venezuela residenti in Italia che non percepiscono più il pro-rata venezuelano, un’eventuale integrazione al minimo sul pro-rata pensionistico italiano comprensivo delle maggiorazioni sociali, o l’assegno sociale se ne ricorrono i presupposti (visto che molti di loro non hanno alcun reddito), per consentire loro di percepire un reddito minimo di sopravvivenza. Giova sottolineare che visto l’esiguo numero degli interessati i costi di un intervento statale sarebbero assolutamente sostenibili. Un ostacolo da superare è la condotta dell’Inps che continua a prendere in considerazione ai fini della concessione e del calcolo delle prestazioni non contributive il pro-rata venezuelano che sappiamo invece essere puramente teorico e non reale (nel senso che all’Inps risulta riconosciuto dal Venezuela ancorché non pagato). L’Inps è al corrente della situazione ma applica un formalismo crudele, ancorché proceduralmente corretto (infatti le autorità consolari venezuelane in Italia sembra non vogliano attestare ufficialmente la sospensione dei pagamenti delle pensioni venezuelane in Italia). Basterebbe una “delibera” del Ministero del Lavoro o dello stesso Istituto previdenziale italiano che riconosca la situazione di fatto. In alternativa si potrebbe applicare il sistema del cambio parallelo, come è stato fatto per i pensionati italiani residenti in Venezuela, anche per le pensioni venezuelane (non) erogate in Italia in modo che gli importi delle stesse risultino più bassi per consentire così la concessione delle integrazioni e delle maggiorazioni sul pro-rata italiano. Insomma se ci fosse la sensibilità e la volontà politica – peraltro già dimostrata dal Governo per i pensionati italiani in Venezuela - il problema sarebbe risolvibile efficacemente e rapidamente. Ora attendo una risposta positiva del vice ministro e comunque continuerò a monitorare il problema sensibilizzando tutte le autorità competenti.