LE MANIFESTAZIONI E I SIMBOLI DELLA COMUNITÀ ITALO-STATUNITENSE APPARTENGONO ALLA STORIA DEL PAESE
Con il rispetto che si deve ad organismi democratici, ho già espresso la mia contrarietà verso la decisione della municipalità di Los Angeles e di altre città degli Stati Uniti di abolire il Columbus Day e di sostituirlo con una ricorrenza dedicata alle popolazioni native d’America. Vorrei tornare sulla questione non per esprimere un diverso parere, ma solo per motivarne in modo meno emotivo le ragioni. Partendo, tuttavia, da un punto di assoluta chiarezza. Considero giuste e sostenibili la riconsiderazione storica e la solidarietà umana ed etica verso le popolazioni originarie d’America, che subirono un processo di colonizzazione realizzato attraverso l’annientamento fisico, l’appropriazione violenta dei loro beni comuni e la loro emarginazione. Un popolo è veramente forte e moderno se sa guardare con occhi trasparenti alla propria storia e costruire il suo futuro sulla verità e sulla giustizia. Dal punto di vista storiografico, è normale che la stessa figura di Cristoforo Colombo sia considerata con equilibrio e nello stesso tempo con spirito critico, evitando la retorica assolutoria dello “scopritore” che si è protratta per secoli ma anche la recente e univoca assimilazione, senza appello, al “persecutore” di indigeni. Con altrettanta forza e chiarezza voglio dire, però, che le manifestazioni di orgoglio etnico, come i Columbus Day, e i simboli che in tempi moderni hanno arricchito tante realtà urbane degli Stati Uniti e di altri paesi delle Americhe, come le statue, le stele, ecc., non hanno nulla a che vedere con la storia della colonizzazione, ma appartengono al modo come questi Paesi si sono strutturati nei tempi moderni, attraverso le immigrazioni e la partecipazione al loro sviluppo di componenti etniche, sociali e culturali diverse. Essi appartengono, insomma, alla vicenda storica e sociale di ciascuna di queste componenti, ma, nel loro insieme, alla storia di ogni singolo Paese. Nessuno di essi sarebbe oggi quello che è senza il contributo di milioni di persone richiamate dalle esigenze della modernizzazione e dello sviluppo. E poiché i Columbus Day sono gli incontri e le manifestazioni di orgoglio degli italiani, è necessario ricordare che gli italiani con la colonizzazione delle Americhe non hanno mai avuto nulla a che fare, né in tempi lontani né in quelli moderni. Semmai, quando essi sono arrivati come emigranti, sono stati collocati agli ultimi posti della scala sociale e l’hanno potuta gradualmente risalire a prezzo di molti sacrifici e con il loro lavoro. Solo nei primi decenni del Novecento, sono state una decina le proposte di legge presentate al Congresso statunitense nelle quali si chiedeva di chiudere loro le porte in faccia, spesso per nemmeno troppo sottintese motivazioni razziali. Rendere il giusto riconoscimento alle popolazioni originarie cancellando i simboli pubblici di una comunità che ha contribuito a rendere grande e moderno il Paese significa cercare di sanare un’ingiustizia con un’altra ingiustizia. Se si persegue questa strada si rischia di fare un’operazione aberrante sul piano storico, sociale ed etico, alla quale non sento di prestarmi né oggi né domani. Anche perché, in fin dei conti, non sono solo in gioco la dignità e il rispetto che si devono alla comunità italiana, ma il modello stesso di società che si vuole consegnare alle nuove generazioni, soprattutto in questa fase di roventi contrasti sulle migrazioni. Per quanto mi riguarda, non ho dubbi che questa società debba aver fatto i conti con il proprio passato, ma che debba dimostrarsi anche inclusiva, capace di riconoscere e rispettare le differenze, essere nei fatti, e non solo nelle frasi di circostanza, multietnica e interculturale.