In epoca moderna, dalla scoperta dell’America alla rivoluzione francese, i siciliani che vanno via dalla Sicilia sono prigionieri di guerra catturati durante le guerre corsare e portati a forza in Nord Africa.
Tra la fine del Quattrocento e il Seicento alcune migliaia di siciliani di Palermo, Messina e Trapani si spingono anche nell’Andalusia atlantica e, da lì, nelle Americhe e nelle isole caraibiche appena scoperte. Tra il 1881 e il 1939 migliaia di isolani, soprattutto da Trapani e Palermo, attraversano il Canale di Sicilia per approdare in Tunisia, attorno alla penisola di Capo Bon. È una emigrazione proletaria composta da piccoli e medi proprietari terrieri specializzati nel settore del vino che godono di una certa modernizzazione dopo l’occupazione francese del Paese. Anche la fine dei Fasci Siciliani, intorno al 1893, porta numerosi siciliani oltreoceano: gli agricoltori vanno in Sud America in cerca di campi da coltivare; i braccianti non specializzati, invece, raggiungono il Nord America attratti da stipendi più alti e più stabili. Dei 2 milioni di siciliani emigrati dal 1860 a oggi, ben 700 mila fanno le valigie tra il 1961 e il 1971. Quello che è accaduto nel corso del Novecento è ben documentato. Sono numerosi, infatti, i musei locali siciliani che raccontano l’emigrazione dal proprio territorio: attraverso storie, documenti, lettere e oggetti si analizza la storia locale. Il flusso migratorio siciliano continua oggi con migliaia di giovani costretti a lasciare l’Isola. Storie di sacrifici, di talento e successi: tra i tanti siciliani che hanno lasciato l’Isola citiamo il fotografo messinese Santi Visalli che ha fotografato 6 presidenti USA e l’ingegnere della Nasa Filippo Pagano di Terrasini che ha insegnato a volare a Neil Armstrong. (dal rapporto migrantes 2017) Toscana