Un report che narra i successi e le sconfitte di generazioni a confronto Gli interventi nel corso della tavola rotonda che ha accompagnato la presentazione del volume

ROMA – La presentazione del Rapporto Italiani nel Mondo è un appuntamento ormai atteso di in anno in anno:

e si è così giunti alla XIII edizione. A sottolineare questo aspetto è stato Don Giovanni De Robertis, Direttore generale della Fondazione Migrantes che ha spiegato: alla base della riflessione deve esserci un’inversione di tendenza, ossia riportare al centro dell’analisi il dramma dell’emigrazione che viene spesso soppiantata nell’agenda politica da quello dell’immigrazione. Dietro l’emigrazione ci sono storie e culture, piccole province non raccontate e disagio causato per esempio dal problema endemico della disoccupazione, in particolar modo di quella giovanile. Questo volume è ormai uno strumento atteso ogni anno, perché è di fatto l’unico strumento utile ad avere una fotografia completa dell’emigrazione italiana nel mondo. Oggi la vera emergenza è infatti quella dell’esodo degli italiani verso altri Paesi più che l’immigrazione. Soprattutto dovrebbe preoccupare il fatto che l’Italia stia diventando sempre meno un Paese per giovani che scelgono quindi altre destinazioni per costruire il proprio futuro. Anche gli italiani quindi emigrano, tra tante difficoltà, ed è per questa ragione che mi piace sottolineare la regola d’oro che andrebbe sempre seguita nell’approccio ai fenomeni migratori: “Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te stesso”, ha ammonito Don Giovanni De Robertis facendo riferimento al modo in cui purtroppo ci si appresta a giudicare l’immigrazione in Italia dimenticando di essere stati in passato, ossia di essere tuttora, un popolo di emigrati. Sessantaquattro autori hanno lavorato alla realizzazione di questo volume di oltre cinquecento pagine, contenente cinquanta saggi articolati in cinque sezioni: “Flussi e presenze”, “La prospettiva storica”, “Indagini, riflessioni ed esperienze contemporanee”, “Speciale neo-mobilità giovanile italiana e paesi del mondo”, Allegati socio-statistici e bibliografici”. Colpisce molto, sfogliando il libro, la foto dell’arrivo di un gruppo di orfani italiani a New York nel 1951: nell’immagine toccante c’è la principessa Pacelli, nipote di Papa Pio XII, che scende dall’aereo insieme a otto piccoli orfani di guerra italiani che diverranno figli adottivi di altrettante generose famiglie americane. Molto interessante, quale strumento per fotografare l’attualità dell’emigrazione italiana, è la sezione dedicata alle indagini. Si parte dagli italiani a Valencia, con un picco d’iscrizioni anagrafiche nel 2007 e nel 2015: una buona città per mettere su un’attività in proprio ma anche ottima per la vicinanza e per ragioni connesse alla mobilità sostenibile, alla qualità dei servizi pubblici, e alla massiccia presenza di aree verdi. Di segno opposto è l’esperienza di alcuni italiani che hanno cercato di realizzare i propri sogni a Londra, ma ora dormono in strada. Dal 2015 al 2018 la presenza di emigrati italiani segue quella di rumeni, polacchi, indiani e lituani. Waterloo Bridge, Marble Arch e l’Hyde Park Corner sono solo alcuni dei punti in cui è possibile incontrare un centinaio d’italiani in stato di povertà, tra le migliaia di persone senza fissa dimora sparse per i quartieri londinesi. A questa situazione si aggiunga l’hostile enviromnent messo in atto dal 2010 dal governo conservatore del Regno Unito contro l’immigrazione illegale e in ultimo il fantasma della Brexit. Eppure molti homeless, tra i quali anche gli italiani, si sono rimboccati le maniche re-inventandosi “cronisti di strada” o “guide turistiche”. Più tragica, per certi versi, è l’esperienza di centinaia di italiani in Australia (per lo più a Sydney e Melbourne), dove il Migration Act del 1958 prevede che tutti i cittadini non australiani illegalmente presenti sul territorio nazionale siano detenuti e successivamente espulsi. Dal 2010 al 2017 oltre quattrocento italiani sono stati portati in centri di detenzione per immigrati irregolari. Esistono poi coloro che ce l’hanno fatta nei rispettivi campi lavorativi: non devono far notizia necessariamente solo quelli che sono divenuti famosi come il giovane vincitore del “Nobel per la Matematica”, Alessio Figalli, che oggi insegna al Politecnico di Zurigo oppure come il direttore del laboratorio scientifico del Metropolitan Museum of Art di New York, il piemontese Marco Leona considerato uno “scienziato del bello”; meritano attenzione anche gli emigrati come Vittoria e Pasquale che gestiscono una “panzerotteria” di successo in Smith Street a Brooklyn, esportando tutto il gusto dello street food all’italiana. La presentazione del volume è stata accompagnata dalla proiezione di un breve video a cura di Vincenzo Morgante, Direttore di TV 2000. Nel video si narra l’emigrazione a New York o a Londra, dove spesso ci si ingegna nelle specialità culinarie delle regioni d’origine. Sono storie di giovani ma anche di genitori che non trovano ragioni per chiedere ai figli di tornare, pur vivendo lontani da loro, ma sapendo che in Italia non avrebbero alcun futuro. E’ un pensiero costante e ricorrente in molti genitori quello di tornare a casa e trovare la stanza del figlio vuota. Ma per tanti di loro la consolazione è quella di aver contribuito a portare fuori dall’Italia i propri figli affinché realizzino i loro sogni. Germania, Svizzera, Francia o Sudamerica sono solamente alcune delle mete scelte dai nostri emigrati perché, come dice il Professor Toni Ricciardi, “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sull’emigrazione”: dunque la mobilità è parte della storia italiana e viaggiare deve diventare sinonimo di diritto all’esistenza e alla ricerca della felicità in quello spazio condiviso di un’unica e sola terra che è di tutti. “Questo volume non è l’ennesima pubblicazione ma l’opportunità per quanti si occupano di questi temi di conoscerli in maniera approfondita. C’è generalmente un approccio culturalmente scarso soprattutto da parte del mondo dell’informazione. Ci preoccupiamo troppo degli arrivi e poco delle partenze”, ha commentato Morgante al quale ha fatto eco la Dottoressa Delfina Licata, curatrice del Rapporto Italiani nel Mondo 2018. “La lettura dati va fatta in maniera tecnico-redazionale: lo scopo è infatti quello di andare oltre il dato arrivando alle persone. La transnazionalità è anche parlare della mobilità italiana in senso cosmopolita avendo al contempo una visione biunivoca attraverso il riscontro dall’estero: dei sessantaquattro autori, la metà ha collaborato dall’estero. Dobbiamo restituire la narrazione di un Paese e di una società, al di là dei dati statistici. Per questo affermo che si tratta di un’edizione matura, densa di temi e pensata in funzione della neo-mobilità. Ho sempre pensato che viaggiare e partire non siano un male perché vuol dire crescere; ma la partenza deve essere circolare, per poter scegliere di tornare, necessita del possesso di una cassetta degli attrezzi per prepararsi alla mobilità. Abbiamo esempi di chi ce l’ha fatta e di chi purtroppo ha fallito: dal cinema asiatico di Bollywood al Metropolitan Museum di New York fino ai call center precari portoghesi e ai connazionali con problemi in Australia perché non regolarmente presenti”, ha commentato Licata. Per tornare alle problematiche dei fenomeni migratori, ha voluto esporre il proprio punto di vista anche il Piergiorgio Sciacqua, Vicepresidente nazionale del Movimento Cristiano Lavoratori e membro della Commissione scientifica Rapporto Italiani nel Mondo. “Sotto ai ponti di Londra spesso dormono nostri connazionali che non hanno realizzato il loro sogno e che finiscono per non avere alcuna identità ossia ombre: un dramma che la cultura della Brexit ha contribuito ad acutizzare. Tanti italiani sono costretti a vivere di elemosina o a bussare alle porte delle associazioni di volontariato. Spesso c’è anche bisogno di consigli legali, accanto alla necessità primaria di cibo o vestiti. A Londra almeno venti persone al giorno, e non sono tutti turisti derubati, vanno a chiedere aiuto al consolato italiano: nel Regno Unito con il permesso di soggiorno non si scherza. In Australia, come si è già accennato, si rischia di andare addirittura in carcere se scade il visto. A Strasburgo, che è la capitale d’Europa, ad oggi non c’è un consolato italiano, che è invece a duecento chilometri. Il filo conduttore di tutte queste realtà sparse per il mondo può essere racchiuso attorno a un termine base che è ‘lavoro’. Di lavoro, purtroppo, non si parla quasi più nel dibattito pubblico e politico”, ha evidenziato Sciacqua. “In tredici anni sono cambiate tante cose e in peggio, sul tema della mobilità: - ha sottolineato Monsignor Guerino Di Tora, Presidente della Fondazione Migrantes - parlo dell’immigrazione in Italia e dell’emigrazione dall’Italia. Siamo abituati a vedere le carrette del mare dall’Africa dimenticando che l’Italia agli inizi del ‘900 era luogo di partenza verso la Francia, il Belgio, gli Usa e l’Argentina. Il nostro è sempre è stato un Paese di emigrati, con tutti gli aspetti positivi e negativi che questo comporta. Abbiamo in assoluto un rapporto distorto con il tema della mobilità: basti pensare che passiamo mediamente meno di due minuti al giorno sui siti d’informazione, da quel che risulta dai dati audiweb, mentre sui social media il tempo è addirittura di pochi secondi con utenti che commentano un articolo avendo letto soltanto il titolo. Viviamo nel tempo della ‘malinformazione’ che è una semplificazione della realtà, con una lettura emotiva che costruisce una realtà altra e distante da ciò che è vero”. Per Silvana Mangione, Vicesegretario del Cgie per i Paesi Anglofoni extraeuropei , il concetto centrale e quello di conoscenza accompagnato dall’idea di flessibilità. “Quando parlo di conoscenza intendo la conoscenza di quello che sono veramente la storia e l’attualità dell’emigrazione italiana, non attraverso gli stereotipi, ma attraverso la vera ricchezza di tutto quello che potremmo ancora costruire se ci fosse un dialogo aperto. Alla luce di questo ritengo sia necessario ricominciare a insegnare l’emigrazione nelle scuole affinché esista una circolarità anche nella conoscenza e negli affetti: una circolarità delle culture. Non siamo noi all’estero ‘il diverso’ così come non lo sono gli stranieri che arrivano in Italia. Siamo tutti una stessa entità nella globalizzazione e nel localismo. Occorre anche la flessibilità per evitare gli stereotipi e per comprendere le diverse realtà: una cosa infatti è la presenza degli italiani in Europa, altra cosa è quella in Sud America e nei Paesi anglofoni extraeuropei come Australia, Usa e Canada. Dal dialogo all’insegnamento della lingua e alla formazione del pensiero: non esiste un modello prevaricante e sarebbe anzi un errore gravissimo”, ha evidenziato Mangione ribadendo l’importanza della presenza fisica dei consolati e invitando altresì a monitorare la situazione delicata che c’è in Sudafrica. Per il Gianluca Lodetti (Cgie- Inas) “serve valutare attentamente le nuove dinamiche su tipologie di emigrazione diverse, mettendo sempre il lavoro al centro”. In questo senso dunque la mobilità circolare deve essere accompagnata da politiche attive e da strumenti che guardino alle persone esaltando le loro potenzialità anche da emigrati. Cosa spinge giovani a emigrare? “I giovani non emigrano solo per ragioni economiche ma vanno all’estero per la disillusione profonda verso un Paese che non rappresenta le idealità che possono contribuire alla loro crescita, anche morale ed etico oltre che lavorativa. Le politiche giovanili devono contribuire ad evitare lo sfaldamento della coesione sociale del Paese. Sotto questo aspetto la politica ha una grande responsabilità”, è stato il commento di Lodetti. Ma si è parlato anche delle necessità di sostenere attivamente le proposte della Conferenza Stato-Regioni sulle questioni migratorie e si è ribadita l’opportunità dell’inserimento della storia dell’emigrazione tra le materie d’insegnamento scolastico. Non è mancato neppure l’invito a rafforzare gli interventi sul fronte di una nostra eccellenza, quella dell’enogastronomia italiana nel mondo, nonché sul potenziale turismo di ritorno che potrebbe riguardare tutti quei piccoli borghi abbandonati. Per Ilaria Del Bianco, Presidente Unaie e consigliera del Cgie, è fondamentale la sensibilizzazione politica rispetto alle Regioni. “Dobbiamo risollevare la consapevolezza degli emigrati rispetto alla loro appartenenza regionale. Percepiamo la mancanza di finanziamenti su questo tema come una mancanza di sensibilità e di volontà politica. L’associazionismo e l’emigrazione rappresentano un enorme potenziale da usare in sinergia per il turismo di ritorno e per la promozione culturale della lingua italiana. Vogliamo un rinnovamento e vogliamo che si continui a sostenere la stampa italiana all’estero”. Maurizio Tomasi, Presidente dell’Associazione Trentini nel Mondo, ha invitato a non discriminare gli emigrati di oggi rispetto a quelli di ieri: “perché noi emigrati di una volta eravamo considerati gentiluomini e quelli di adesso no?”, si è domandato indirizzando il quesito alla platea. Sul tema dell’associazionismo è intervenuto anche Roberto Volpini (Acli). “Dobbiamo rileggere le pagine del Professor Toni Ricciardi e riconsiderare il vecchio associazionismo alla luce delle prospettive future dell’emigrazione italiana”, ha incalzato Volpini evidenziando i numeri importanti del mondo dell’associazionismo con oltre cento associazioni che ruotano attorno alla Federazione Acli Internazionali e alla Rete Mondiale Acli. “Quale sarà l’impegno dell’attuale Governo sull’associazionismo?”, ha quindi rivolto la domanda Volpini che ha trovato la risposta di. Ricardo Merlo, Sottosegretario agli Esteri con delega agli italiani nel mondo. Credo che il primo passo di questo Governo per dare riconoscimento all’associazionismo sia stato già fatto ed è coinciso con l’inserimento di un esponente che viene proprio dall’associazionismo di volontariato – ha replicato Merlo riferendosi alla propria persona – e in secondo luogo si lavorerà per rafforzare il rapporto con i Comites”. Le parole espresse da Merlo sono state condivise dalla Rita Blasioli Costa, Consigliera del Cgie per il Brasile. “Spesso abbiamo una mobilità non dettata dalla scelta. Occorre riflettere anche sull’ aspetto psicologico che interviene nel cambiamento derivante dall’avventurarsi verso un altro Paese: non sempre le aspettative arrivano a pieno compimento. Poco si conosce, assai spesso, delle istituzioni già esistenti ed operanti in aiuto di chi emigra. Dobbiamo dire a chi si avventura che ci siamo anche noi, come contesto che ha già condiviso queste esperienze. Occorre quindi un’informazione che sia costante e seria”, ha commentato Costa. Per Eugenio Marino (Pd) “il Rapporto Italiani nel Mondo è andato molto oltre ed è diventato uno strumento: tuttavia più che un generico rapporto degli italiani nel mondo dovrebbe essere considerato come un rapporto tra tutti gli italici e il mondo. Quindi dovrebbe essere una testimonianza di come si diventa italiani pur non essendo mai stati in Italia: c’è infatti chi acquisisce la cittadinanza pur stando in Paesi lontani dal nostro. Oggi assistiamo ad un universo di italicità diffusa”, ha incalzato Marino sottolineando l’importanza della stampa per gli italiani all’estero. Hanno concluso la tavola rotonda la senatrice Francesca Alderisi (Fi) e la deputata Angela Schirò (Pd). Temo, avendo fatto per venti anni attività televisiva sulla questione dei nostri emigrati, che il rischio sia quello di restringere queste problematiche ai soli addetti ai lavori”, ha affermato Alderisi. Schirò ha invece invitato a non abbassare i riflettori su quanto accade in Paesi a noi più prossimi, in Europa, come per esempio la Germania. “Lì il numero di ragazzi italiani laureati è basso a causa di una scuola troppo selettiva che ostacola questi nostri connazionali nell’arrivare al traguardo personale oppure anche al successo”. (Simone Sperduto-Inform)