Presentato alla Camera il rapporto sull’emigrazione italiana nel Regno Unito “Talented Italians in the UK” Talento imprenditoriale, professionalità e meritocrazia: queste le parole maggiormente emerse dallo studio; tuttavia non ci sono solo storie di successo da raccontare, c’è per esempio il dramma degli homeless e dei detenuti tra i nostri connazionali emigrati

ROMA – E’ stato il parlamentare del Partito Democratico, eletto nella ripartizione Europa, Massimo Ungaro ad introdurre la presentazione del rapporto sulla migrazione degli italiani nel Regno Unito, tenutasi mercoledì 28 novembre nella sala stampa di Montecitorio. “Da questo studio, condotto in un contesto d’incertezza, - ha esordito Ungaro - è emerso un messaggio importante: ossia che le persone che emigrano devono essere viste come una risorsa al di là dei numeri. Ne è la dimostrazione il fatto che, se nell’emigrazione c’è una perdita per l’Italia, dall’altro lato c’è un guadagno per il Regno Unito. Siamo ai livelli degli anni ’60 e ’70, come esodo giovanile, e dobbiamo ragionare su come cambiare il sistema: tutto questo per far diventare l’emigrazione una scelta e non una necessità e per attuare di conseguenza delle politiche finalizzate anche al rientro, non solo dei cosiddetti cervelli in fuga ma di tanti cuori e braccia che hanno lasciato l’Italia”. Ungaro ha anche citato la legge sul controesodo ed ha auspicato contromisure da parte del Governo italiano nel caso in cui l’accordo sulla Brexit, tra Regno Unito e Unione Europea, non dovesse andare come previsto. Su questo punto è giunta la precisazione di Pierluigi Puglia, direttore della comunicazione dell’Ambasciata britannica a Roma, sottolineando come l’accordo raggiunto a Bruxelles il 25 novembre abbia segnato un passo importante. “Ci auguriamo che il voto previsto per l’11 dicembre a Londra vada nel senso di un’approvazione di questo accordo. Come sta sostenendo anche il Primo Ministro Theresa May, cambieranno i principi di gestione dei flussi migratori e non ci saranno più criteri meramente geografici bensì legati alle competenze e al valore aggiunto delle persone che arrivano. Questo confermerà un riconoscimento del talento e andrà sicuramente a favore degli italiani. Inoltre stiamo informando le persone già presenti nell’UK sui diritti acquisiti, per rassicurarle in questo clima di incertezza creatosi all’indomani del referendum sulla Brexit”, ha spiegato Puglia ricordando anche l’apertura del canale podcast ‘My Great Britain’ dedicato a far conoscere il lato positivo dell’emigrazione. Che l’emigrazione sia legata a storie di talenti e di successo lo hanno confermato Brunello Rosa e Flavio Mondello, come esponenti di un’associazione che prende le mosse dal premio ‘Talented Young Italian Awards’ nel Regno Unito: un riconoscimento che la Camera di Commercio italiana nell’UK attribuisce da cinque anni ai giovani ‘under 40’ distintisi nelle diverse attività professionali, con un vincitore all’anno per ciascuna categoria: finanza e servizi, media e comunicazione, ricerca e innovazione, industria e commercio. “Dopo qualche anno abbiamo deciso di unirci in un’associazione per non disperdere questo patrimonio e per fare sistema. Tra di noi non ci sono solo vincitori di questo premio ma anche giovani ricercatori, medici e scienziati nonché associazioni culturali. Per farne parte occorre essere un italiano di talento, riconosciuto come tale da un ente validatore e aver contribuito allo sviluppo dei rapporti tra Italia e UK. La competenza è un valore: pertanto noi facciamo una costante mappatura d’iniziative simili alla nostra, ma anche una promozione di attività di mentoring; a questo aggiungiamo un tavolo permanente di consultazione e una produzione di papers su temi rilevanti dei quali oggi presentiamo il primo studio”, ha spiegato Brunello Rosa. Si parla di cifre enormi, legate ai flussi migratori in uscita, e di una perdita per l’Italia stimata in miliardi di euro che andrebbero a rappresentare l’1% circa del prodotto interno lordo nazionale. Per Flavio Mondello i numeri non devono far riflettere solo sul costo in termini economici ma anche su quelli umani e culturali: “è come se ogni anno avessimo una città come Livorno che scompare dall’Italia”, ha voluto precisare il relatore invitando ad analizzare alcune delle motivazione che portano ad emigrare. Ci sono naturalmente motivazioni economiche e non economiche, identificate nella burocrazia; certamente poi l’aspetto economico, seguito alla crisi del 2011, è quello rilevante e per fortuna non abbiamo in Europa questioni umanitarie che spingono i popoli a migrare, come invece avviene in altri continenti. Quindi bisogna fissare l’attenzione su due categorie: una microeconomica, con aspetti connessi al migrante in quanto singola persona, e una macroeconomica, comprendente la mancanza d’attrattività dell’Italia”, ha precisato Mondello ricordando come un migrante che si inserisce nel contesto lavorativo di un altro Paese rappresenti un beneficio, a prescindere dal livello di competenze professionali. L’errore grave sarebbe, per il Senatore Raffaele Fantetti di Forza Italia, eletto nella ripartizione Europa, quello di considerare l’emigrazione italiana come un qualcosa legato alla storia e al passato mentre è più attuale che mai con un boom registratosi negli ultimi anni. Secondo l’analisi di Delfina Licata, coordinatrice del Rapporto Italiani nel Mondo della Migrantes, è fondamentale, quando si parla di mobilità, l’atteggiamento verso una visione transnazionale quanto più ampia possibile. “L’emigrazione è complessa, ancor più nel caso del Regno Unito. Oggi esiste una precarietà anche nella mobilità, con uno spostamento continuo, e quella che potremmo definire una ‘mobilità stabilmente in movimento’. Tra i migranti sono in aumento anche gli adulti e gli anziani, che si aggiungono alla neomobilità dei giovani. L’UK attrae moltissimi giovani: oltre un 20% ha meno di diciotto anni e ciò significa che partono anche interi nuclei familiari. Abbiamo domandato per esempio a una laureata il perché si preferisca fare la commessa a Londra piuttosto che in una qualsiasi città italiana. La risposta è stata racchiusa in una parola: meritocrazia. Nel Regno Unito si è pagati e rispettati a livello retributivo e identificativo, a prescindere dal lavoro svolto, in modo maggiore rispetto all’Italia. Lì abbiamo addirittura cinquemila famiglie bengalesi, con cittadinanza italiana, che sono andate via dall’Italia e ora sono impiegate nella ristorazione, nel piccolo commercio, nei ‘mini cab’ e nel settore delle tecnologie. Ci sono anche casi di fallimento migratorio legato spesso alla mancanza di un accompagnamento: chi parte non ha spesso la cassetta degli attrezzi, a cominciare dalla conoscenza della lingua locale”, ha evidenziato Licata. Giovanna La Salvia, giornalista di 9 Colonne, ha parlato del contributo fornito dalle agenzia stampa impegnate nel raccontare l’emigrazione degli italiani e la loro vita all’estero. “Negli ultimi anni abbiamo cercato di andare oltre i numeri, oltre le tendenze e le polemiche per puntare invece l’attenzione ai protagonisti dell’emigrazione raccogliendo le loro testimonianze. Lo scorso anno abbiamo realizzato una web serie, con il contributo del Maeci, dal titolo ‘Cartoline dell’altra Italia: gli italiani e la Brexit’. Le parole più utilizzate durante le interviste sono state: incertezza, preoccupazione, timore, rabbia, e confusione. Coloro che emigrano sono persone molto coraggiose che mettono in gioco l’emotività. Alla domanda sulla volontà di tornare, molti ragazzi hanno risposto in modo affermativo sebbene bloccati nella pratica dall’incognita di una prospettiva lavorativa incerta in Italia. Credo che sia necessario ottimizzare le misure per consentire un rientro di queste persone. Anche noi come stampa abbiamo una responsabilità: quella di dare voce agli italiani all’estero. Riguardo al titolo del report, preferisco il termine ‘opportunità’ rispetto a ‘maledizione’ nel riferirmi al fenomeno dell’emigrazione”, ha sottolineato a La Salvia. La dottoressa Francesca Marchese (in collegamento dall’UK), che si è occupata da vicino nel Regno Unito della vicenda degli homeless e dei detenuti, ha spiegato come il filo rosso che unisce tutte queste storie di disagio sia la mancanza di una rete di sostegno: sono andata a guardare la situazione degli italiani per capire chi li aiuta per evitare che i nuovi arrivati finiscano in queste situazioni. La Chiesa italiana è al primo posto nell’opera di aiuto anche dei detenuti e degli ex detenuti. Il Guardian ha dedicato un articolo proprio su questo tema. C’è poi il progetto ‘Benvenuti a bordo’ della Chiesa italiana per fornire gli strumenti agli arrivati ed anche la Comunità di Sant’Egidio locale è molto attiva: incontra ogni sabato a Victoria e a Kensington molti homeless. “Noi crediamo che queste siano zone ricche ma non è così: in tutta Londra una persona ogni cinquantadue è senza fissa dimora e nel quartiere di Kensington ce n’è addirittura una ogni ventinove: gli italiani senza casa sono almeno un centinaio. Gli homeless ricevono una busta di cibo ogni sabato e vengono accolti una volta al mese per una cena sociale dalla Comunità di Sant’Egidio: sono aiuti dal punto di vista emotivo e non solo materiale. E’ facile finire per strada a Londra soprattutto per chi ha una conoscenza bassa della lingua, che non consente neanche di fare l’idraulico: spesso si perdono i benefit e si finisce a fare i lavapiatti a nero nei ristoranti. Inoltre il costo della vita è molto alto e ciò crea un disagio abitativo anche in quelle famiglie dove si lavora. Per finire, molti italiani condannati nel Regno Unito preferiscono ritornare a scontare la pena in Italia, perché la situazione carceraria e le misure alternative sono migliori da noi”, ha illustrato Marchese. Hanno concluso l’incontro Marta Bavasso e Domenico Meliti in veste di rappresentanti della Camera di Commercio italiana nel Regno Unito. “Cerchiamo di essere come un ponte relazionale tra l’Italia e l’UK con quei progetti come il già menzionato ‘Talented Italian Awards’. Vorrei che l’Italia generasse il giusto appeal per attrarre studenti e lavoratori stranieri, affinché inseriscano l’Italia come tappa nelle loro attività”, ha commentato Bavasso. Per Meliti bisogna “evidenziare anche il problema relativo alle cosiddette ‘low skills’ collegato però alla questione della mancata parificazione di tutti quei titoli di studio che non vengono accettati nel Regno Unito”. (Simone Sperduto - Inform)