ROMA - Dalla fine dell’800 a oggi sono circa 30 milioni gli italiani che hanno lasciato il nostro Paese. E, infatti, sono tra i 60 e gli 80 milioni i loro discendenti sparsi nel mondo, specialmente in Sud America. E, ad oggi, ci sono molti di questi ultimi che stanno facendo il percorso inverso rispetto ai loro avi,
richiedendo la cittadinanza italiana. E di questo fenomeno di “ritorno” ne ha parlato, durante l’ultima puntata del podcast del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, realizzato in collaborazione con l’Ansa, Maria Clelia Pagliaro, Capo dell’Ufficio Cittadinanza alla Farnesina. “La materia della cittadinanza è stata disciplinata per la prima volta in maniera organica nel 1912, ed è rimasta in vigore per 80 anni, fino al 1992”, ha detto Pagliaro. Questa legge “garantisce la conservazione del legame dei nostri emigrati con il paese di origine”, anche in caso di altre cittadinanze acquisite. E al giorno d’oggi, per richiederla, bisogna dimostrare la parentela con il cittadino emigrato “in linea retta”. In poche parole, per ottenere la cittadinanza deve essere provata la “mancanza di rinuncia”. Ma per richiederla, ha spiegato ancora la funzionaria della Farnesina, le istanze di riconoscimento di discendenza richiede un “procedimento lungo”. Si tratta infatti di “termini che prevedono 730 giorni dalla presentazione dell’istanza” e inoltre presenta “aspetti di particolare complessità, perché si deve procedere alla ricostruzione della linea d’ascendenza dei richiedenti e dare luogo ad attività istruttorie dagli esiti non scontati perché si devono valutare avvenimenti lontani nel tempo”. Ma, “qual è l’interesse dell’Italia a riconoscere questi discenti italiani come cittadini?”, si è chiesta Pagliaro. Simbolicamente, concedere la cittadinanza ai discendenti “è molto forte”, perché sono persone che “vogliono mantenere molto saldi i legami con il loro luogo d’origine”. E, secondo lei, questa può risultare una “felice contaminazione tra comunità” che “può avere effetti positivi”. Questo perché “le nuove generazioni di italiani all’estero desiderano accreditarsi come eredi della cultura dei propri avi, con un sentimento di curiosità e attaccamento ai luoghi della memoria e a un passato che è ancora presente”. Nell’ultimo periodo, inoltre, si è registrato un nuovo boom di iscritti all’AIRE dai paesi latino-americani. E questo, sempre secondo Pagliaro, “perché l’Italia è ancora vista come la madre patria a cui fare riferimento in circostanze di particolari difficoltà, non solo da un punto di vista economico, ma anche sociale e politico. Un porto sicuro che è ancora pronto ad accogliere i propri cittadini”. (aise)