ELIMINARE LO SFRUTTAMENTO DEI LAVORATORI 

di Luca M. Esposito (NOMIT AUSTRALIA) “Le situazioni di sfruttamento di un sostanziale numero di lavoratori temporanei migranti sono inaccettabili”, eppure sono una costante del panorama del mondo del lavoro in Australia.

Così scrive, nero su bianco, il professore della Melbourne University Allan Fels, chairman della Migrant Workers’ Taskforce, istituita dal governo federale, a seguito del dilagare di casi di sfruttamento sul posto di lavoro che hanno colpito gli stranieri da poco arrivati in Australia. Lo sfruttamento dei lavoratori migranti temporanei va quindi completamente eradicato, si legge nel rapporto pubblicato a fine marzo, “non solo perché sta creando sempre più “preoccupazione nella comunità australiana”, ma anche perché, come sottolinea Fels, sta “danneggiando la reputazione” della nazione e “potrebbe avere un impatto negativo sul mercato del lavoro e sull’economia nella loro interezza”. Le situazioni di sfruttamento infatti “non danneggiano solo i lavoratori migranti”, spiega con chiarezza Fels, ma anche le imprese, “che hanno meno accesso alla forza lavoro e subiscono una concorrenza sleale sui prezzi dei prodotti”. Per capire quanto l’intera nazione sia messa in pericolo da chi approfitta dei lavoratori migranti, basta dare un’occhiata ai numeri. Escludendo i cittadini neozelandesi, il 6% della forza lavoro presente in Australia è costituita di lavoratori migranti temporanei e di questi almeno il 50% è preda di situazioni di sfruttamento, che nella maggior parte dei casi consiste in un salario inferiore a quanto dovrebbe spettare. In cifre assolute si sta parlando di quasi 900mila persone, un numero che cresce costantemente dal 2008 e che è molto più ampio di quello dei migranti permanenti (190mila), su cui la politica concentra sempre il proprio dibattito. E mentre la classe dirigente fa finta di non vedere, la migrazione temporanea ha un peso significativo sul benessere del Paese: nel 2018 il settore dell’istruzione internazionale aveva un valore di 35 miliardi di dollari, la quarta più grande industria in assoluto della nazione e la prima nel settore dei servizi, mentre nel 2016 gli working holiday makers hanno contribuito al settore del turismo australiano per 3,3 miliardi di dollari. Studenti e Whm costituiscono assieme il 70% dei lavoratori migranti temporanei del Paese, e sono anche i più vulnerabili, ma senza il loro apporto, si legge nello studio, un settore come quello dell’agricoltura nelle aree regionali, rischierebbe il collasso per mancanza di manodopera. Proprio per questo, il Rapporto curato da Fels e dal suo team si è concentrato in particolare su queste due categorie di lavoratori temporanei: gli studenti internazionali e gli working holiday makers. Il primo problema da risolvere, si legge tra le raccomandazioni, ben 22 indirizzate al governo, è quello dell’informazione. Chi arriva in Australia su base temporanea, “ha poca conoscenza dei propri diritti sul posto di lavoro, è giovane ed inesperto, potrebbe avere poca conoscenza della lingua inglese. Questo potrebbe renderli particolarmente vulnerabili a pratiche di sfruttamento”. Sebbene l’Australia abbia un buon sistema legislativo a protezione dei lavoratori, ammette Fels, è necessario creare strutture informative più efficaci dirette esclusivamente a queste categorie, ma è anche importante rendere più adeguate le agenzie di controllo, dal Fair Work Ombusdman allo stesso Australian Border Force, perché la risposta da parte delle istituzioni deve essere decisa e soprattutto supportare chi è pronto a denunciare situazioni di sfruttamento. Sono passi che l’Australia deve fare e deve fare subito. Perché questa deriva, spiega Fels, “è già andata avanti troppo a lungo”. L’Australia, ammonisce il professore, “si vanta di essere un Paese dove i principi di equità e giustizia sono alla base della nostra economia e delle nostre relazioni sociali”. “Tuttavia – conclude – lo sfruttamento dei lavoratori migranti temporanei è un esplicito ripudio di questi principi”.