di Antonella Dolci (foto accanto) Quest’anno, l’anno scorso in realtà, l’anno della pandemia, Il Lavoratore, il giornale della federazione delle Associazioni Italiane in Svezia, ha compiuto cinquant’anni. Il Lavoratore è uno dei più antichi giornali dell’emigrazione italiana in Europa ed è stato per molti anni l’unico in Svezia e in Scandinavia.

Molti giornali e riviste delle comunità emigrate nel mondo, anche molto più numerose della nostra, hanno chiuso i battenti. Ma Il Lavoratore ha resistito e non è cosa da poco.

Il Lavoratore e la SAI

Quando il primo gruppo di lavoratori italiani ingaggiati dal governo svedese giunse all’Atlas Copco di Nacka nel 1948, operai metallurgici specializzati provenienti dal Nord, soprattutto lombardi e veneti, moltissimi da Brescia, sentirono immediatamente il bisogno di avere un luogo per incontrarsi, parlare italiano, risolvere i problemi quotidiani (tra cui, di primaria importanza, procacciarsi cibo italiano: l’aglio allora si vendeva in farmacia!) ed organizzarsi per difendere i loro diritti. Esisteva, anzi vegetava, a Stoccolma, con pochissimi soci anziani e senza svolgere più nessuna attività, un’antica associazione, la SAI, Società Assistenziale Italiana, fondata nel 1909 con la fusione di due associazioni già esistenti, sull’esempio delle Società di mutuo soccorso italiane, per aiutare i connazionali in difficoltà. Durante il regime fascista avevano cambiato il nome in” Principe di Piemonte” perché al governo italiano non pareva dignitoso parlare di assistenza ma, caduto il regime, avevano ripreso il vecchio nome. Il nucleo originale, quello del 1909, era composto da mosaicisti, cantanti, suonatori di organetto, figurinai, terrazzieri, fabbricanti di figurine di gesso, gelatai, tutti mestieri nei quali gli italiani eccellevano. I nuovi arrivati presero contatto con la societá e ci fu un rispettoso passaggio di poteri, documentato da alcune lettere. La nuova SAI era composta allora da circa 300 soci e familiari ed era situata in una baracca adiacente la fabbrica precedentemente adibita a luogo di prima accoglienza per i nuovi operai provenienti dall’Italia. Su circa 150 mq c’era una ricchissima biblioteca, curata da Paolo Cabras, con più di 2000 volumi e molte riviste italiane, una cucina sufficiente ed una grande stanza di intrattenimento, per assemblee, feste danzanti e per il gioco delle carte. Anche alcuni svedesi erano suoi frequentatori abituali specie per giocare a bocce sull’unico campo esistente in Svezia. Il locale era messo gratuitamente a disposizione dall’Atlas Copco, che provvedeva anche alle spese accessorie di utenze e manutenzioni. Nella SAI erano entrati intanto anche molti altri italiani arrivati a Stoccolma che non lavoravano all’Atlas-Copco ma che cercavano contatti con connazionali e volevano agire a favore della comunità: una delle prime iniziative della SAI rinnovata fu di avere un giornale, per comunicare tra i soci e con le altre associazioni italiane che venivano nascendo. A chi venne esattamente l’idea del giornale non si sa, ma è certo che fra i principali ispiratori e poi redattori ci furono Leo Bosco (l’unico che aveva una macchina da scrivere), Carlo Barsotti, Paolo Cataruzza, Dino Stivanin, Aldo Casnici. Terminato il turno di lavoro alla Atlas-Copco, e su proposta della direzione aziendale, lo scrivevano in ciclostile nella fabbrica, a spese dell’Atlas Copco che ai suoi operai italiani ci teneva. La testata, i titoli e gran parte degli articoli erano all’inizio scritti a mano, o su qualche vecchia macchina da scrivere. I testi erano scritti fitto fitto, senza margini, per risparmiare la carta. Non c’era nessuna preoccupazione di layout o di facile leggibilità, doveva solo compiere la funzione per cui era stato creato. Anzi le funzioni, le due funzioni principali: -Difendere i diritti dei lavoratori italiani-Diffondere l’informazione necessaria.

Difendere i diritti

Era, all’inizio, un giornale dal tono molto bellicoso e non mancavano i motivi. I primi lavoratori italiani arrivati negli anni Quaranta/Cinquanta avevano contratti biennali, dato che si contava che sarebbero tornati in patria. Al lasciare la Svezia gli avrebbero restituito le tasse preliminari versate (anni di lavoro, in conseguenza, che non sarebbero stati computati per la pensione). Una prima battaglia, quindi, che si prolungò per diversi anni, fu quella per ottenere una convenzione di sicurezza sociale. Alle trattative per la nuova convenzione avevano partecipato, oltre alle autorità competenti italiane e svedesi, anche i rappresentanti della FAIS, guidati e consigliati da Enrico Vercellino, della CGIL, invitato appositamente dalla FAIS. E poiché pareva che le trattative non finissero mai e la firma venisse sempre rimandata, venne organizzato verso la metà degli anni Settanta dai lavoratori dell’Atlas-Copco, in occasione della visita in Svezia dell’allora Ministro degli Esteri Aldo Moro, uno sciopero di tre minuti, alla riuscita del quale contribuí Il Lavoratore con un’edizione speciale di 4000 esemplari, sempre a spese dell’Atlas Copco. Anche in relazione alle autorità italiane mancava qualsiasi forma di rappresentanza istituzionale della comunità emigrata; gli italiani quindi, nei loro rapporti con la Cancelleria consolare e l’Ambasciata, erano in balia del maggiore o minore impegno dei singoli funzionari. Molti ricordano, non senza simpatia peraltro, un console famoso che ai concittadini che volevano registrare in Italia il matrimonio con donne svedesi sconsigliava di farlo nella convinzione che “non sarebbe durato”. E da qui la lotta per creare i “Comitati consolari”, poi Co.em.it, poi Comites. Per votare in Italia si doveva andare in treno: e allora battaglia per ottenere viaggi a prezzo ridotto o gratuito per gli elettori. La casa in Italia era considerata seconda casa e quindi le tasse erano elevate: battaglia per ottenere che fosse considerata prima casa. Battaglia per ottenere il passaporto gratuito per andare in Italia. E molte altre.

Diffondere l’informazione necessaria

Poco a poco si erano creati altri circoli italiani nelle città svedesi dove c’erano industrie o cantieri che avevano bisogno di manodopera italiana: Eskilstuna, Örebro, Hallstahammar, Göteborg. Non c’era, tra queste comunità sparse, nessuna comunicazione e la creazione di un giornale mirava appunto a crearla. Il giornale non veniva spedito ma durante gli incontri tra i vari circoli, che erano frequenti, veniva dato ai presenti un pacco di esemplari da distribuire poi agli altri soci. E`forse difficile, per chi è arrivato in Svezia negli ultimi anni, concepire com’era il livello dell’informazione, o meglio della carenza di informazione, negli anni Sessanta -Settanta in Svezia. I giornali italiani si potevano comprare solo in qualche edicola specializzata in alcune città (a Stoccolma alla Stazione Centrale) e arrivavano con un giorno o due di ritardo. Gli abbonamenti erano carissimi e i giornali allora erano solo cartacei. Non c’era ancora la possibilità di vedere la televisione italiana, più tardi arrivarono le antenne paraboliche e molti connazionali le istallarono sui loro balconi e sui tetti dei villini, ma non tutti i programmi erano accessibili all’estero. Quanto alla televisione e alla radio svedese, i canali televisivi erano solo due e nei notiziari poco spazio era dedicato al mondo fuori dalla Svezia e praticamente nessuno all’Europa meridionale: Francia, Spagna, Portogallo, Grecia, Italia. E non era ancora apparsa Internet.

Il Lavoratore e la FAIS

Verso la seconda metà degli anni Settanta, con la costituzione di una federazione di associazioni italiane, Il Lavoratore divenne il giornale della federazione. In una delle riunioni della FAIS (che allora si chiamava Giunta delle associazioni italiane in Svezia, ma il nome fu cambiato dato che Giunta si chiamava anche la dittatura dei colonnelli in Grecia) Paolo Cataruzza si assunse l’incarico di redigere e far uscire regolarmente Il Lavoratore; Carlo Barsotti ebbe l’idea di aggiungere la citazione di Gramsci come sottotitolo. Per molti anni è uscito con frequenza mensile e ha costituito un’importante fonte di informazioni. Man mano venne dato spazio crescente alla cultura, all’arte, allo sport, alla cucina. Era stampato in 2000 esemplari e un numero consistente era inviato in Italia, a diversi enti ed autoritá ma anche a emigrati ritornati in patria che non volevano perdere il contatto con la Svezia. A partire dagli anni Settanta il governo svedese ha incoraggiato e sostenuto la creazione delle organizzazioni etniche degli immigrati e i loro giornali dato che questi costituivano un prezioso canale di informazioni sulle riforme e le leggi che li riguardavano. Sul Lavoratore venivano pubblicate, spesso a pagamento, informazioni relative alle elezioni, alle operazioni di voto, agli accordi bilaterali che la Svezia stringeva con l’Italia, a nuove leggi o disposizioni che interessavano gli immigrati in diversi campi come ad esempio l’insegnamento della lingua madre, la separazione fra Stato e Chiesa, ecc. ecc. Nel frattempo anche la Presidenza del Consiglio italiana iniziò, verso la metá degli anni Settanta, a sovvenzionare la stampa italiana all’estero. Con il passar degli anni Il Lavoratore ha migliorato la qualità della stampa ed il layout, è passato dal ciclostile al computer, ha introdotto le foto (moltissime fornite da diverse agenzie di stampa italiane o dall’ANSA) e il colore, ha aumentato il numero delle interviste e dei servizi di attualità ( anche qui, grazie all’aiuto di numerose agenzie di stampa italiane che inviavano articoli e foto) ed è anche riuscito, con molta difficoltà, ad ottenere una certa pubblicità, più che altro in relazione a trasporti o a prodotti alimentari italiani. Un grande aiuto, prima che esistesse Internet, la redazione del giornale lo ricevette dalla LO: un corso pratico su come fare il layout di una pagina, variare le dimensioni dei titoli, applicare ombreggiature, insomma tutto il lavoro di taglia e incolla che era richiesto nelle tipografie prima che esistesse In Design o Foto Shop. Si sono susseguiti dall’81 ai nostri giorni, una gran numero di direttori e redattori che tutti hanno dato un’impronta particolare al giornale, a seconda delle loro convinzioni ideologiche e dei loro interessi culturali: nominandoli si rischia di dimenticarne qualcheduno ma non possiamo non ricordare almeno Angelo Taiani e Guido Zeccola, scomparso di recente, per il loro eccezionale impegno culturale. E se non altro per la durata, oltre venti anni, Antonella Dolci.

Il futuro

La comunità italiana in Svezia, ora, ha accesso a tutta l’informazione dall’Italia che desidera. Si possono seguire le trasmissioni televisive e radiofoniche in diretta, si può leggere tutta la stampa italiana che ci interessa su Internet, si possono ottenere informazioni dirette a basso costo da familiari ed amici via Whats App o FB. Il problema ora semmai è un altro, quello di selezionare l’informazione e denunciare le fandonie. Viviamo in una società profondamente cambiata, in un mondo dell’informazione a distanze stellari dal mondo di 50 anni fa. Tocca quindi ai giornali e alle riviste dell’emigrazione compiere una funzione completamente diversa. Forse è un bene che il cinquantenario de Il Lavoratore coincida con la necessità di una riflessione su quale possa essere questa nuova funzione, e che mentre rendiamo omaggio al vecchio giornale, diamo il benvenuto al nuovo che dovrà nascere.