La firma del trattato del Quirinale tra Italia e Francia è certamente un evento importante e nuovo per le prospettive dell’Europa e per tutti noi. Esso si colloca nel solco della migliore tradizione europeistica ed è una leva per sostenere ed accelerare i processi di transizione in campi ormai vitali, come quello ambientale,

dello sviluppo delle tecnologie e della costruzione di una difesa comune. “Vogliamo disegnare noi stessi il nostro destino,” – ha dichiarato Draghi – “non vogliamo che altri lo facciano per noi”. Giusto così, sapendo che una scelta così profonda di autodeterminazione e di progettazione del futuro comporta un altrettanto forte impegno di democrazia e di partecipazione popolare. Comporta, senza girarci intorno, il superamento delle ancora operanti resistenze sovranistiche, per loro natura statiche, chiuse e legate a valori del passato. Nei discorsi ufficiali sono stati evocati diversi padri nobili di questo europeismo audace e innovatore. Io vorrei evocarne uno, anzi tanti, non ricordati: i milioni di emigrati che in virtù degli accordi di lavoro tra i soci fondatori dell’Europa unita, si sono sparsi nelle società del continente, le hanno ricostruite dopo la guerra e avviate verso lo sviluppo, facendo fermentare in esse il senso di un destino comune. Per questo, ho colto con speranza il fatto che tra gli obiettivi dell’accordo ci sia anche quello della creazione di un livello di gestione e di responsabilità comune per la gestione dei migranti, la nuova frontiera della unità sociale e morale dell’Europa. Proprio di quell’Europa che ha conosciuto i suoi migliori momenti di sviluppo e dinamismo quando è stata aperta e solidale. Infine, l’Accordo nasce quasi programmaticamente dalla necessità di superare i vecchi “patti di stabilità”, che hanno creato, con le loro restrizioni e i loro vincoli, più problemi di quanti non ne abbiano risolto. La scelta solidaristica fatta per fronteggiare la pandemia deve diventare la base di una nuova prospettiva, quella di un’Europa autonoma, attenta alle persone e rispettosa dei diritti umani e capace di fare con dignità il suo cammino nel concerto internazionale.