La rappresentanza degli italiani all’estero ad un bivio Tre sono i livelli del sistema di rappresentanza degli italiani all’estero; tre virgola tre è invece la percentuale degli italiani residenti in Brasile che si è iscritta per votare alle ultime elezioni dei Comites (Comitati degli Italiani all’Estero). E’ da questo numero “perfetto”, il 3 appunto,

che dobbiamo ripartire, parafrasando il bellissimo film di Massimo Troisi del quale abbiamo festeggiato proprio quest’anno i quaranta anni dalla sua prima uscita nelle sale italiane. Sì, perché dietro a quella apparente perfezione – anche dei livelli di rappresentanza democratica delle nostre collettività nel mondo – si nasconde una crisi strisciante che rischia di divenire sempre più evidente se non di esplodere nei prossimi anni. Una crisi fatta di tanti elementi, le cui responsabilità non possono certamente venire addebitate ad uno solo dei soggetti coinvolti: Ministero degli Esteri (responsabile, tramite la sua rete diplomatico-consolare, delle elezioni e dell’organizzazione del sistema); rappresentanti eletti (i protagonisti del sistema, ai quali gli elettori conferiscono un mandato); cittadini italiani iscritti all’AIRE (i residenti all’estero, sempre più distanti e disinteressati dalla partecipazione attiva a questi organismi). Nel corso della mia esperienza parlamentare mi è capitato più di una volta di incontrare delegazioni di colleghi stranieri e di spiegare loro come l’Italia abbia costruito nel corso degli anni un rapporto solido e virtuoso con i suoi emigrati sparsi in tutti gli angoli del pianeta; una relazione importante e strategica, della quale i tre livelli di rappresentanza politica costituiscono probabilmente la parte più importante e dinamica. Ancora una volta l’Italia si dimostra innovativa ed esemplare in campo legislativo e democratico ma, ancora una volta, ad una bellissima e lungimirante intuizione non sono seguite politiche attive e comportamenti collettivi in grado di dare sostanza e prospettiva a questo progetto. Autoreferenzialità, assistenzialismo, eccesso di burocrazia, scarsezza di risorse, esasperazione dei conflitti, disinteresse e affarismo: sono solo alcuni dei vizi che nel tempo sono nati intorno ad un sistema che rischia di non essere più virtuoso ma vizioso. Purtroppo questa deriva affatto democratica e molto fisiologica (nel senso peggiore, quello che in Sudamerica si applica al ritorcersi della politica in sé stessa) è stata in questi anni – soprattutto in alcuni Paese - funzionale ad organizzazioni ed apparati para-politici che hanno sfruttato la massa (grande solo numericamente) degli italo-discendenti per consolidare e perpetuare nel tempo un vero e proprio sistema di affari e potere. Tutto ciò ha spesso frustrato il legittimo e auspicabile desiderio di partecipazione delle diverse generazioni di italiani che vivono all’estero, che vorrebbero declinare la loro italianità in maniera virtuosa attraverso un sistema efficiente fatto di relazioni culturali, sociali ed economiche all’altezza di una presenza italiana che in Paesi come il Brasile continua ad essere sinonimo di eccellenza e qualità. Se non vogliamo azzerare tutto, e ripartire da zero come provocatoriamente chiedeva l’amico Lello al protagonista di “Ricomincio da tre”, dobbiamo salvare i valori e lo spirito che erano alla base delle iniziative legislative e della riforma costituzionale che hanno determinato la costruzione del sistema di rappresentanza degli italiani nel mondo che noi oggi conosciamo: Comitati degli italiani all’estero, Consiglio Generale degli Italiani all’Estero e parlamentari eletti all’estero. Ma perché ciò accada è necessario armarsi di coraggio e determinazione ed uscire da quella gabbia fatta di prudenza , miopia ed ipocrisia che troppe volte in questi anni ha impedito di intervenire in maniera coraggiosa ed efficace per riformare questo sistema. Interventi tardivi o palliativi sarebbero inutili, o forse dannosi.