di Fabio Savelli - 23 feb 2022 Prima il fenomeno, poi le analisi. La cartolina sulle emigrazioni dei giovani italiani restituisce nell’ultimo decennio un significativo aumento delle cancellazioni anagrafiche nel nostro Paese e un volume di ingressi che non bilancia le uscite (980 mila espatri e 400 mila rimpatri).
Di conseguenza i saldi migratori con l’estero sono negativi, soprattutto a partire dal 2015, con una media di 69 mila unità in meno all’anno. Nel 2020, primo anno pandemico il saldo migratorio con l’estero è negativo per 65.190 unità, registra l’ultimo rapporto Istat sui fenomeni migratori. I dati del 2021 non sono ancora disponibili. Nonostante la pandemia la tendenza non si è arrestata: nel 2020 il flusso più consistente di cancellazioni per trasferimento all’estero di cittadini italiani si è registrato nel nord-ovest (36 mila, +10% rispetto al 2019), seguito dal Nord-est (27 mila, +2%); in aumento le emigrazioni in partenza dal Centro (20 mila, +4%), mentre diminuiscono i flussi dal Mezzogiorno (39 mila, -13% rispetto al 2019). Lo studio di Redazione Economia Eppure c’è una grande voglia di controesodo innescata probabilmente anche da considerazioni di carattere emotivo. Un’interessante analisi de Lavoce.info segnala come il Covid abbia modificato piani e prospettive degli expat negli ultimi due anni. Sarebbero 600 mila quelli che rientrerebbero in patria se ci fossero le condizioni giuste. Molti, quasi tutti, sono millennials laureati, emigrati per lavoro e non per scelta. La Corte dei Conti nel suo Referto sul sistema universitario del 2021 ha evidenziato come che in otto anni, dal 2013 a oggi, c’è stato un aumento del 41,8% dei trasferimenti per lavoro. Il costo economico di questo esodo di massa secondo l’ex ministro del Tesoro, Giovanni Tria, intervistato da 7 del Corriere della Sera «è di 14 miliardi all’anno, l’1% del Pil». Quello umano e sociale non è quantificabile. Ma, visto che il Covid ha mischiato tutte le carte, e forse non è vero che l’erba dei vicini sia sempre più verde, sarebbe in corso un piccolo controesodo degli expat che però, se ci fossero le condizioni sarebbe ancora più evidente. Favorito in parte anche dagli aiuti e detrazioni fiscali introdotte dal Decreto Crescita rivisto e aggiornato più volte. innovazione di Barbara Millucci A livello globale il fenomeno, scrive Lavoce.info, si lega alla “Great Resignation”: le grandi dimissioni stanno portando all’aumento di lavoratori e lavoratrici – tendenzialmente tra i 30 e i 45 anni – che decidono di lasciare il proprio impiego per intraprendere un percorso professionale che sia più in linea con i propri valori e le priorità riscoperte durante la pandemia. L’Associazione ChEUropa che redatto lo studio, realizzato da Attilio di Battista e Marco Valenziano, ha raccolto informazioni su 1.262 italiani all’estero, in maggioranza espatriati negli ultimi 15 anni, di età compresa tra i 26 e i 35 anni e in possesso di una laurea. La rilevazione è avvenuta nel corso dell’estate 2020, alla fine del primo lockdown. L’ampiezza del campione consente di estrapolare informazioni sul totale di coloro che sono emigrati negli ultimi 15 anni e che risiedono ancora all’estero – una popolazione che ammonta a circa un milione di persone – e di creare profili specifici sulla base del livello di studio, età, genere, background socio-economico e altro ancora. Il questionario si è concentrato sulle motivazioni della partenza, la situazione lavorativa attuale, le prospettive future e come queste sono state cambiate dalla pandemia. Circa il 23 per cento degli intervistati ha dichiarato di aver considerato o accelerato i piani per il ritorno a seguito dei cambiamenti portati dal Covid nella propria vita, con un picco tra le donne (27 per cento). Si può stimare che circa 260 mila persone hanno preso più seriamente in considerazione l’idea di tornare in Italia a seguito del Covid. Circa 70 mila di loro stanno già cercando di farlo in modo attivo. di Irene consigliere Una delle associazioni più attive è Controesodo, che rappresenta circa 12mila persone rientrate in Italia grazie alle agevolazioni per lavoratori e docenti/ricercatori. Parliamo di chi all’estero aveva un lavoro ad alto valore aggiunto e per cinque anni ha avuto uno sconto fiscale importante per tornare in Italia, fino al 90% se si trasferiva al Sud. Per i super-ricercatori ma anche il personale sanitario rientrati dopo il 2019 è stata concessa una proroga dell’esenzione fiscale (che cosa prevede la normativa) per altri cinque anni se compra casa o fa figli. Entrambe le scelte di vita vengono considerate sinonimo di stabilità e quindi il legislatore giustamente tende a valorizzarle perché significa che quei super cervelli resteranno con tutta probabilità nel nostro Paese arricchendolo di competenze.