Al Ministro dell’Interno e al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale

Premesso che:

- Il Ministero dell’Interno – Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, in data 6 ottobre 2021, inviava ai Prefetti e, tramite loro, ai Sindaci dei Comuni italiani,

una circolare sulle istanze di riconoscimento della cittadinanza italiana jure sanguinis avanzate da discendenti di italiani emigrati in Brasile nella seconda metà del XIX secolo;

- In tale circolare si fa riferimento a un complesso e coordinato lavoro di ricerca tra il Ministero dell’Interno, quello degli affari esteri e della cooperazione internazionale e l’Avvocatura dello Stato che avrebbe portato a evidenziare gli effetti innovativi di due sentenze emesse dalla Corte di appello di Roma, nelle quali si dichiara la perdita tacita della cittadinanza italiana da parte di connazionali che risiedevano in Brasile nel periodo della così detta Grande Naturalizzazione Brasiliana del 1889-1891, con conseguente interruzione della linea di trasmissione della cittadinanza ai discendenti;

- Da tali presupposti giurisprudenziali la circolare, in parallelo con analoghe indicazioni fornite dal MAECI ai funzionari di stato civile operanti nella reste consolare all’estero, fa discendere conseguenze operative di notevole portata per gli interessati, dal momento che dispone di accantonare le pratiche di riconoscimento della cittadinanza jure sanguinis, in vista di un imprecisato approfondimento giurisprudenziale e di un’eventuale sentenza della Corte Costituzionale, nei casi in cui si vanti la discendenza da un italiano presente in Brasile nel periodo della Grande Naturalizzazione;

Considerato che:

- Risulta sorprendente la solerzia con la quale in una fase di ancora iniziale formazione di un orientamento giurisprudenziale e ad appena qualche mese dall’emanazione di due sole sentenze si sia pensato di farne ricadere gli esiti sull’azione amministrativa, che dovrebbe avere come presupposto unicamente il dettato delle leggi vigenti e la prassi interpretativa consolidata per decenni; una solerzia, per altro, mancata in casi ben più chiari e definiti, come, ad esempio, quello della sentenza n. 4466 del 25 febbraio 2009 con la quale la Corte Suprema di Cassazione, alla luce anche di precedenti pronunciamenti della Corte Costituzionale, ha riconosciuto lo status di cittadino italiano anche ai figli di donne che hanno perduto la cittadinanza a seguito di matrimonio con stranieri, anche se contratto antecedentemente al 1° gennaio 1948;

- Il trasferimento sul piano amministrativo dei contenuti delle recenti sentenze della Corte d’Appello di Roma, oltre che intempestivo e di dubbia correttezza nei rapporti tra i poteri dello Stato, rischia di essere anche incauto per la complessità della materia in discussione e per la solidità delle posizioni, emerse sia in dottrina che in altre sentenze, che portano a ritenere che la perdita della cittadinanza italiana a seguito delle disposizioni collegate alla così detta Grande Naturalizzazione Brasiliana poteva dirsi perfezionata solo con l’effettiva e concreta accettazione di una nuova cittadinanza straniera, nonché in presenza di una chiara volontà espressa ai fini della rinuncia alla cittadinanza di origine: condizioni che per la quasi totalità degli italiani residenti in Brasile in quel periodo non si sono verificate;

- I tempi di definizione delle pratiche di riconoscimento di cittadinanza, nei consolati sudamericani, come è noto, sono di fatto già dilatati al punto da mettere in dubbio la certezza del diritto del cittadino di avere una risposta in tempi certi dalla Pubblica Amministrazione, sicché una indicazione di accantonamento potrebbe significare concretamente la vanificazione di una legittima attesa;

Per sapere:

- se i Ministri interpellati, ognuno per la parte di sua competenza, non intendano ritirare le indicazioni di accantonamento delle istanze di riconoscimento della cittadinanza italiana jure sanguinis, avanzate da discendenti di italiani emigrati in Brasile nella seconda metà del XIX secolo, e ripristinare l’ordinario criterio cronologico di trattazione delle pratiche, almeno fin quando il legislatore – e solo lui – non intenda dare una diversa normazione alla materia. -