Mentre si attende che l’Inps si pronunci sulla compatibilità del diritto europeo con il principio di inesportabilità all’estero dell’Assegno unico, la Consulta si è pronunciata invece (Sentenza n. 67/2022) in maniera chiara e inequivocabile sul fatto che i cittadini non europei,
soggiornanti di lungo periodo e con permesso unico di lavoro, non possono essere trattati in modo diverso dai cittadini italiani nell'accedere al beneficio dell'assegno per il nucleo familiare anche se i congiunti risiedono nel Paese di origine. Alcune direttive europee, citate dalla Corte Costituzionale, si sostanziano nella previsione dell’obbligo di non differenziare il trattamento del cittadino di Paese terzo rispetto a quello riservato ai cittadini degli Stati in cui essi operano legalmente. Si tratta di un obbligo imposto appunto dalle direttive europee (in particolare la n.109 del 2003) richiamate in modo chiaro, preciso e incondizionato, e come tale dotato di effetto diretto. Si tratta di un obbligo, nella prospettiva del primato del Diritto dell’Unione, cui corrisponde il diritto del cittadino di paese terzo – titolare di permesso di lungo soggiorno o titolare di un permesso unico di soggiorno e di lavoro – a ricevere le prestazioni sociali alle stesse condizioni previste per i cittadini dello Stato membro. La parità di trattamento fra i destinatari dell’Anf deve essere garantita dai giudici i quali dovranno applicare il diritto europeo “architrave su cui poggia la comunità di corti nazionali, tenute insieme da convergenti diritti e obblighi”. Un principio già evidenziato anche ai fini del riconoscimento del bonus bebè e dell’assegno di maternità. Si presume ora che per la fase operativa, arriveranno indicazioni specifiche da parte dell’INPS, al fine di garantire l’applicazione del diritto agli ANF senza differenziazioni basate su nazionalità e residenza. Giova ricordare che la Sentenza arriva contestualmente all’abolizione dell’Anf per i figli che come è noto è stato sostituito dall’Assegno unico al quale hanno comunque diritto i residenti e domiciliati in Italia anche se stranieri che siano di uno Stato membro dell’Unione europea titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero siano cittadini di uno Stato non appartenente all’Unione europea in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o siano titolari di permesso unico di lavoro autorizzato a svolgere un'attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi o siano titolari di permesso di soggiorno per motivi di ricerca autorizzato a soggiornare in Italia per un periodo superiore a sei mesi. Esclusi tuttavia dalla possibilità di accedere all’Assegno unico sono i cittadini italiani i quali risiedono all’estero, e che purtuttavia pagano le tasse in Italia, a meno che un giudice nazionale non sollevi una questione di legittimità costituzionale invocando il Diritto europeo e censurando l’inesportabilità dell’AUU visto che può non essere considerato una prestazione assistenziale avendo sostituito in realtà prestazioni economiche a sostegno della famiglia di carattere fiscale, assistenziale e previdenziale. Anche l’Inps, come abbiamo detto in premessa, ha espresso i propri dubbi e soprattutto le proprie incertezze: infatti nella Circolare n. 34 del 28 febbraio scorso ha indicato (paragrafo 6) che per quanto riguarda i riflessi dell’introduzione dell’assegno unico (e dell’abolizione dell’Anf per i figli) sulla normativa comunitaria e in regime di accordi bilaterali di sicurezza sociale “verranno fornite successive istruzioni”. Staremo a vedere (ma non a “guardare” visto che ci stiamo battendo affinchè assegni e detrazioni familiari siano mantenuti per gli aventi diritto residenti all’estero). Angela Schirò (deputata PD estero) e Fabio Porta (senatore PD estero)