È una pietra miliare del diritto sociale comunitario la recente sentenza della Corte di Giustizia europea che ha praticamente affermato che le prestazioni sociali – come ad esempio le detrazioni per carichi familiari e l’assegno al nucleo familiare (ANF) – non possono essere ridotti se i figli del soggetto avente diritto sono all’estero.
La sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 16 giugno 2022 potrà avere importanti conseguenze sui diritti alle prestazioni familiari di persone che vivono in Italia ma che hanno i figli residenti all’estero per i quali la nuova normativa sull’Assegno unico universale ha negato dal 1° marzo u.s. il diritto alle detrazioni e all’Anf per i figli a carico di età inferiore ai 21 anni. La sentenza, riferita alla Causa n. C-328/2020, ha affrontato ciò che è stato considerato un inadempimento da parte della Repubblica d’Austria in materia di libera circolazione dei lavoratori e di parità di trattamento in merito alle prestazioni familiari. In sintesi, la Corte ha ritenuto illegittimo il comportamento della Repubblica d’Austria che aveva introdotto, per i lavoratori i cui figli risiedono in modo permanente in un altro Stato membro, un meccanismo di riduzione degli assegni familiari e del credito d’imposta per figli a carico (proprio le prestazioni che l’Italia sta negando ai soggetti residenti in Italia ma con figli residenti all’estero) venendo meno così agli obblighi ad essa incombenti in forza del Regolamento CE n. 883 relativo al Coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale e del Regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione. La Corte di Giustizia ha stabilito pertanto, in sintesi, che gli assegni familiari e il credito d’imposta per figli a carico devono essere conformi, in particolare, all’articolo 7 del regolamento n. 883/2004, il quale prevede che, a meno che detto regolamento non disponga diversamente, siffatte prestazioni «non sono soggette ad alcuna riduzione, modifica, sospensione, soppressione o confisca per il fatto che il beneficiario o i familiari risiedono in uno Stato membro diverso da quello in cui si trova l’istituzione debitrice». A tal riguardo, occorre ricordare che l’articolo 67 del regolamento n. 883/2004 sancisce il principio in virtù del quale una persona ha diritto alle prestazioni familiari per i familiari che risiedano in uno Stato membro diverso da quello competente a erogare tali prestazioni, come se essi risiedessero in quest’ultimo Stato membro (sentenza del 22 ottobre 2015, Trapkowski, C 378/14, EU:C:2015:720, punto 35). Inoltre, la Corte ha dichiarato in più occasioni che gli articoli 7 e 67 del regolamento n. 883/2004 mirano a impedire che uno Stato membro possa subordinare la concessione o l’importo delle prestazioni familiari alla residenza dei familiari del lavoratore nello Stato membro che eroga le prestazioni (v., segnatamente, sentenza del 25 novembre 2021, Finanzamt Österreich (Assegni familiari per cooperanti), C 372/20, EU:C:2021:962, punto 76). Ora alla luce di questa importante sentenza cosa farà il Governo italiano che ha sospeso dal 1° marzo u.s. l’erogazione delle prestazioni familiari ai soggetti residenti in Italia ma con figli iscritti all’Aire o comunque residenti all’estero? Si ricorderà che noi avevamo già denunciato il comportamento del Governo italiano e segnalato la possibilità che la nuova legge sull’Assegno unico fosse in contrasto (con riferimento all’esportabilità delle prestazioni familiari) con il diritto comunitario. La Corte di Giustizia europea ci ha dato ragione anche se limitatamente ai diritti dei lavoratori i quali svolgono la loro attività lavorativa in Italia e hanno i familiari residenti nell’ambito dei Paesi dell’Unione Europea (purtroppo non ci sono invece ancora novità in merito ai diritti negati ai cittadini italiani residenti all’estero ai quali sono state sospese le prestazioni familiari, anche se questa Sentenza apre nuove possibilità). Resta ora da valutare se alla luce di questa importante sentenza possa essere ancora avvalorata la tesi sostenuta dall’Inps nella circolare n. 23/2022 in base alla quale il diritto all’Assegno unico debba essere vincolato al fatto che i figli aventi potenziale diritto debbano far parte dello stesso nucleo ISEE del genitore, cioè debbano essere conviventi. Tesi che ha escluso dalla concessione delle prestazioni familiari i cittadini residenti in Italia ma con figli in un altro Stato europeo. Si ricorderà tuttavia che lo stesso Inps aveva sollevato dei dubbi sulle misure restrittive adottate ed aveva rimandato l’orientamento definitivo ad ulteriori valutazioni. Ora questa sentenza si spera avrà degli effetti concreti a tutela dei diritti di tanti lavoratori.