Signora Presidente, le scrivo da semplice cittadina italiana che vive negli Stati Uniti. Ho letto con attenzione il suo discorso, che non ho potuto ascoltare dal vivo, per problemi di fuso. Un discorso appassionato, il suo, ed estremamente chiaro per quanto riguarda le intenzioni su cui si basa il programma, che la sua compagine di governo intende realizzare.
Un lungo discorso, che ha toccato le criticità da affrontare e le ricchezze di ogni genere del Bel Paese. Un discorso, però, nel quale lei ha dedicato soltanto poco più di 3 righe alla presenza di 6 milioni e mezzo di cittadini italiani fuori dai confini – pari alla ventunesima Regione, con una popolazione seconda soltanto alla Lombardia – affiancata dai 150 milioni circa di italici, come li chiama il Presidente Bassetti. Lei ha detto, infatti: “Aggiungo che tornare a puntare sul valore strategico dell’italianità vuol dire anche promuovere la lingua italiana all’estero e valorizzare il legame con le comunità italiane presenti in ogni parte del mondo, che sono parte integrante della nostra comunità nazionale”. Magna pars di questo enorme mondo di emigrati italiani si riconosce nella definizione che lei stessa dà di sé, con grande umiltà: “Rappresento ciò che gli inglesi chiamerebbero l’underdog. Lo sfavorito, per semplificare, che per affermarsi deve stravolgere tutti i pronostici”. Noi vogliamo essere trattati davvero come parte integrante della nostra comunità nazionale, con piena parità di diritti e di doveri. Ai doveri adempiamo, con grande rispetto. A molti diritti aneliamo ancora senza risposte. Primo fra tutti quello di coloro che, cittadini jure sanguinis nati in Italia, si sono visti strappare la cittadinanza in virtù della legge 555/1912, all’atto della propria naturalizzazione, spesso obbligata, nel Paese in cui avevano preso dimora. La legge 91/1992, che sancisce il diritto alla doppia cittadinanza, ha tuttavia creato un vulnus sanabile soltanto con una nuova legge. A coloro che avevano perso la cittadinanza ha concesso una finestra di soli 5 anni per presentare la domanda di riacquisto, mentre non stabilisce alcuna scadenza per il riconoscimento della cittadinanza italiana a chi dimostra, con documentazione non sempre del tutto attendibile, di discendere da un italiano, magari emigrato prima dell’Unità d’Italia. In merito alla nostra splendida lingua, ricordo che i delegati e le delegate che parteciparono alla Prima Conferenza Nazionale dei Giovani italiani nel mondo – alla quale lei, Signora Presidente, intervenne come Ministro della Gioventù – dichiararono nel loro documento: “Lingua è identità”. Ma con gli scarsi finanziamenti, le complicazioni procedurali e i ritardi nell’erogazione dei fondi agli enti gestori dei corsi, la bellissima dichiarazione dei giovani d’allora, e di quelli che li hanno seguiti, è ormai pressoché priva di significato. A questo si affianca l’esigenza improrogabile di porre mano a una nuova legge di vero sostegno alla stampa italiana all’estero, in tutte le possibili forme che i media dell’informazione, anche audiovisiva, hanno assunto negli ultimi decenni. Passando ad altro tema, lei dice ancora, giustamente: “Dobbiamo riuscire a porre fine a quella beffa per cui il Sud esporta manodopera, intelligenze e capitali che sono invece fondamentali proprio in quelle regioni dalle quali vanno via”. E non soltanto da quelle, suggeriamo noi. L’Italia sta invecchiando anche perché un numero crescente di giovani, spesso, ma non sempre, plurilaureati, cerca di realizzare il proprio progetto di vita all’estero. Lei dice: “…l’Italia, che il 17 marzo di 161 anni fa è stata unificata dai giovani eroi del Risorgimento… oggi, come allora, è dall’entusiasmo e dal coraggio dei suoi giovani che può essere risollevata”. Purché, diciamo noi, si costruisca un circolo virtuoso che consenta ai nostri giovani, fuggiti alla ricerca di uno spazio vitale, di rientrare alle stesse condizioni trovate all’estero, se lo vogliono, oppure di rimanere all’estero, se lo preferiscono, per costruire una circolarità di rete con i loro omologhi anche non italiani. Questo servirà all’internazionalizzazione dell’Italia, che deve, come lei dice: “… puntare su quei settori nei quali può contare su un vantaggio competitivo. Penso al marchio, fatto di moda, lusso, design, fino all’alta tecnologia”, tutti àmbiti nei quali la presenza del Sistema Italia nel mondo è stata rafforzata, appunto, dalla rete capillare delle nostre presenze e dall’italianizzazione dei gusti altrui, che i nostri expat hanno determinato. Per concretare tutto questo e molto altro, che ci permetteremo man mano di sottoporre alla sua attenzione, la preghiamo di voler nominare un Vice Ministro o un sottosegretario agli esteri che abbia una profonda conoscenza sia del mondo dell’emigrazione che della politica italiana, per esperienza diretta. Siamo certi che, anche in questo caso, lei vorrà applicare il lodo che precetta di non confermare le stesse persone a cariche già ricoperte. Eletti e candidati di Fratelli d’Italia nel mondo avevano fatto campagne elettorali incentrate sulla promessa di un “Ministero” (meglio sarebbe stato dire correttamente un Ministro senza portafoglio) per gli italiani all’estero. Lei ha preferito non inserire questa figura fra i Ministri del suo Governo. Siamo certi che la sua decisione sia stata accompagnata dalla ferma volontà di scegliere un forte Vice Ministro o sottosegretario con delega per gli italiani all’estero al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Un Vice Ministro o un sottosegretario, insomma, che abbia le capacità, la cultura politica parlamentare, l‘esperienza associativa a livello mondiale e la modestia, fondamentali per affrontare tutte le istanze degli italiani fuori d’Italia, quelle comuni a tutte le realtà e quelle specifiche alle diverse aree continentali, con la visione e la sensibilità necessarie a rispettare e sanare ognuna di esse, una dopo l’altra. Il partito, che lei ha guidato alla vittoria, discende in linea retta da due precursori che hanno sempre avuto a cuore le sorti degli emigrati: il Movimento Sociale Italiano e Alleanza Nazionale, con la figura di Mirko Tremaglia, che si è distinta nella battaglia per ottenere l’esercizio del diritto di voto in loco con rappresentanza diretta degli italiani all’estero. Questo ha bisogno di essere protetto con la piena applicazione dei requisiti per il voto, elencati all’articolo 48 della nostra meravigliosa Costituzione: “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto°. Ma bisogna anche tornare alla normalità del suffragio universale per l’elezione dei Comitati degli Italiani all’estero, con il ripudio dell’opzione inversa, nonché riformare le leggi istitutive degli stessi Com.It.Es. e del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero. Il CGIE, congelato in una limitatissima “ordinaria amministrazione” da quasi un anno, attende che lei, Signora Presidente, firmi al più presto il decreto di nomina dei Consiglieri di nomina governativa, per essere completato, potersi insediare e ricominciare il proprio lavoro di sintesi degli input, che provengono da Com.It.Es. e associazioni, e raccordo con il Governo e il Parlamento. Attendiamo con ansia questo suo atto ufficiale e auspichiamo che lei trovi rapidamente il tempo richiesto per emanare il decreto che consacra l’agibilità di questo organismo. La ringrazio profondamente dell’attenzione che spero potrà e vorrà dedicare a questa lettera aperta e le auguro fervidamente e sinceramente Buon Lavoro. Silvana Mangione Una dei 6 milioni e mezzo (e più) di cittadini italiani nel mondo.