(Roma - 15 febbraio 2023) - È noto che i dipendenti pubblici sono esclusi dal campo di applicazione di quasi tutte le convenzioni bilaterali di sicurezza sociale e quindi se emigrano all’estero per lavoro non potranno – se dovesse essere necessario per perfezionare un diritto previdenziale –

totalizzare i contributi versati in Italia con quelli versati nel Paese di emigrazione. Solo recentemente l’Italia ha iniziato, negli ultimissimi e rarissimi accordi bilaterali di sicurezza sociale stipulati, ad includere anche i dipendenti pubblici (vedere ad esempio la convenzione con Israele del 2015) nel campo di applicazione soggettivo. È bene rilevare che si tratta di un problema che riguarda solo i Paesi extracomunitari in quanto l’Unione Europea già nel lontano 1998 con il Regolamento n. 1606 fece approvare dagli Stati membri una modifica dei regolamenti comunitari di sicurezza sociale che introdusse appunto l’estensione della normativa stabilita da tali regolamenti ai dipendenti pubblici e ai liberi professionisti. Questa disparità di trattamento, palesemente ingiusta e intollerabile, esiste quindi da venticinque anni nonostante le proteste dei diretti interessati e le iniziative (scarse) della politica. Da tempo ricevo segnalazioni di lavoratori residenti all’estero i quali hanno versato nei regimi pubblici in Italia numerosi anni di contribuzione che non sono tuttavia sufficienti a far maturare un diritto pensionistico autonomo in Italia e allo stesso tempo non sono utili per attivare il meccanismo della totalizzazione con i contributi versati nel Paese di emigrazione. Sono infatti decine di migliaia i nostri connazionali i quali dopo aver lavorato in Italia alle dipendenze dello Stato o di un ente locale sono emigrati all’estero (e magari rientrati poi in Italia) e non possono usufruire del meccanismo della totalizzazione previsto dalle convenzioni di sicurezza sociale che consente di maturare un diritto a prestazione italiana (o estera) quando i contributi versati in Italia (o all’estero) non raggiungono l’anzianità contributiva minima prevista. Le ultime segnalazioni mi sono giunte da un gruppo di docenti universitari italiani i quali insegnano in Brasile all’ Universidade Federal Fluminense di Rio de Janeiro preoccupati per i loro futuri diritti e che per denunciare il problema e sensibilizzare il Governo italiano hanno scritto ai Ministeri degli Affari esteri, dell’Economia e delle Finanze e dell’Università evidenziando come l’esclusione dei dipendenti pubblici e dei liberi professionisti dall’accordo in vigore sia un deterrente alla mobilità e allo scambio scientifico tra i due Paesi, ma finora non hanno ottenuto riscontri positivi alle loro rivendicazioni. Abbiamo a che fare con una discriminazione alla quale lo Stato italiano, ritengo, deve assolutamente porre rimedio, nonostante i costi che ciò potrebbe comportare; discriminazione ancor più penalizzante oggi in un periodo in cui le mobilità dei lavoratori da un Paese all’altro e dall’Italia all’estero sono riprese con maggior frequenza. Purtroppo considerato che non è giuridicamente possibile introdurre una legge nazionale ad hoc per ovviare al problema perché le convenzioni bilaterali sono strumenti giuridici internazionali concordati dai soli Paesi contraenti con accordi bilaterali specifici e sovranazionali che devono essere approvati dai Parlamenti dei rispettivi Paesi, l’unica soluzione è la modifica delle singole convenzioni bilaterali. Nel caso del Brasile sono necessari interventi politici anche da parte di noi parlamentari eletti nella Circoscrizione estero per sollecitare il Governo italiano e i Ministeri competenti a riprendere i negoziati – iniziati e poi abbandonati – per il rinnovo della convenzione tra i due Paesi (convenzione oramai obsoleta per svariati motivi). Nel prosieguo della legislatura non lascerò nulla di intentato affinché il problema sia messo in evidenza presso il Governo e i Ministeri competenti al fine di realizzare un rinnovo dell’accordo di sicurezza sociale con il Brasile che contempli, oltre al necessario aggiornamento normativo, anche la copertura previdenziale dei dipendenti pubblici e dei liberi professionisti attualmente esclusi.