Foto di Andrys Stienstra da Pixabay

Lo abbiamo detto tante volte e non ci stancheremo mai di ripeterlo. Quando muore un giornale vengono soffocate tutte le voci che parlano attraverso le sue pagine. Non importa quanto grande sia, né se copre le notizie di un intero paese o soltanto di una piccola città. Qualsiasi media racchiude i pensieri, le preoccupazioni,

le realtà di molte persone che, senza di esso, sarebbero destinate a cadere nell’oblio. Tanto più è vero quando parliamo di media etnici, media che nascono fuori dai confini nazionali e che compiono il doppio compito di informare sia sulle vicende del paese d’origine sia su quelle del luogo in cui risiedono, di difendere gli interessi della comunità che rappresentano e di diventarne la memoria. Molti e diversi sono i mezzi di comunicazione italiani all’estero. Alcuni, come il nostro, hanno una lunga storia e sono passati dal piombo all’online, altri, più giovani, hanno conosciuto solo parte di questo percorso. Tutti, assolutamente tutti, compiono una funzione fondamentale: difendere gli interessi dei connazionali, creare un trait d’union con la cultura e la lingua italiane e promuovere il Made in Italy. Lo Stato italiano è cosciente di questa importanza e, ligio anche all’articolo 21 che tutela la libertà di stampa, sostiene con contributi annuali di diversa entità le nostre testate. Sono contributi che, giustamente, richiedono una serie di controlli ma, qui risiede il problema, quei controlli spesso non si limitano, come vorrebbe la legge, a segnalare se la testata esiste davvero e poi a verificare tutta la documentazione che ne dimostra la diffusione e le spese, ma si trasforma in un giudizio sui contenuti. Quando ciò accade la libertà di stampa scompare e si stravolge la filosofia che sta all’origine del contributo. Esso, infatti, deve permettere alle nostre testate di lavorare senza pressioni e quindi di poter segnalare circostanze e situazioni particolari, di rilevare irregolarità ed aprire dibattiti su argomenti anche scomodi. Diventa dunque una lotta ad armi impari. Da una parte abbiamo un mezzo di comunicazione che per accedere al contributo dipende dai pareri delle istituzioni preposte e dall’altra quelle stesse istituzioni che a volte sono criticate per la gestione del loro lavoro. Critiche che spesso riflettono l’umore dei connazionali. Torniamo quindi al punto di partenza, i controlli sono necessari e vanno fatti, ma sulla documentazione che ognuno deve presentare, certificata, alla Presidenza del Consiglio. Qualora esistessero dubbi sulla trasparenza di essi è giusto che intervenga anche la Guardia di Finanza, ma non di più. Il valore intrinseco di un giornale può essere giudicato solo dai suoi lettori, dal rispetto di cui gode all’interno del paese in cui opera, dal giudizio che di esso hanno le associazioni di categoria là dove esse esistano. Oggi, ancora una volta dopo una minaccia poi rientrata nel 2020, il giornale nato in Uruguay Gente d’Italia rischia di perdere il contributo e quindi di chiudere lasciando senza lavoro anche tutto il suo staff. È una responsabilità importante per chi dovrà assumerla. Ci auguriamo che la valuti con attenzione e che, anche questa volta, un parere inizialmente negativo possa cambiare in nome della libertà di stampa e di opinione. (FONTE: La Voce d’Italia - Mariza Bafile)