nella delineazione e costruzione del profilo riformatore della sua organizzazione e del movimento sindacale. In un'epoca di forti collateralismi Santi ha operato con determinazione perché il valore dell'autonomia sindacale fosse assunta come determinante
del modo di essere delle organizzazioni sindacali. Santi, conseguentemente, si è oppose, vincendo la sua battaglia, alla creazione di un sindacato socialista. Scrive Santi il sindacato "è fatto di uomini, di uomini come noi, esattamente, con opinioni politiche diverse o senza opinione, l'animo aperto a suggestioni mutevoli, con timori e speranze. Uomini che talvolta marciano a passo diseguale ma che comunque vogliono andare avanti, che ogni giorno acquistano coscienza della loro condizione e della necessità di mutarla". Certo non da soli sottolinea Santi ma "pur nella nostra autonomia, con il concorso di tutte le forze socialmente avanzate ovunque esse si trovino collocate, all'opposizione ed al governo". Come non pensare al fatto che nelle regioni del nord d'Italia sono migliaia i lavoratori iscritti alla CGIL che in politica danno il loro consenso alla Lega Nord ma che per la difesa dei loro diritti seguitano a riconoscere nella CGIL lo strumento di rappresentanza verso datori di lavoro e istituzioni. Anche oggi accettare la descrizione che Santi da della composizione sociale del sindacato , di ogni sindacato, costituirebbe una premessa naturale per uno sviluppo di autonomia e unità dei lavoratori e del sindacato. "Autonomia ed unità ", non a caso, come il titolo di una mozione congressuale della CGIL che vide come primo firmatario Piero Boni un altro grande dirigente unitario, aperto, libero e combattivo. La storiografia più avvertita riconoscerà anche il forte ruolo di Santi nel proporre e nel porre in essere il Patto del Lavoro del quale fu massimo artefice Di Vittorio così come nell'azione negoziale rivolta a chiedere ai governi di centrosinistra vere riforme strutturali per tutto il periodo, tra il 1956 e il 1964, che precede l'avvio di politiche di programmazione volute dalla sinistra al governo e dalla CGIL. Santi, malato, esce dalla CGIL, in occasione del VI° Congresso dell'organizzazione sindacale nel 1965 tenutosi in Bologna. Gli anni della sua permanenza alla direzione del sindacato hanno lasciato un segno non cancellabile nella natura e nella organizzazione del suo sindacato. E tuttavia accedendo al sito dell'associazione per il centenario della CGIL dal quale si può conoscere quello che si è fatto per degnamente ricordare la vicenda del più grande sindacato italiano, non si trova quasi traccia riferibile ad una iniziativa adeguata o minima per ricordare Santi . Si è commemorato, a ragione, tanto e tanti che hanno costruito nel tempo il sindacato e tuttavia una rimozione collettiva di memoria del gruppo dirigente oppure una sorta di autocensura ha decretato la scomparsa di Santi dalla stesura della storia della CGIL. Il suo tuttavia è anche un lascito di idee che i dirigenti attuali dovrebbero avere la responsabilità di traghettare nel futuro proprio perché attuali, intrinseche ad una idea di sindacato del quale oggi il paese ha bisogno. Santi propone un'idea di sindacato che nella sua azione faccia perno sul concetto di "riformismo", ponga al centro l'uomo("l'uomo è il fine di tutte le cose"), sia uno "strumento naturale di democrazia". La democrazia per Santi va perseguita nel quadro di una "autonomia" praticata rispetto sia alle forze economiche che ai partiti politici. Scrive Santi:"L'esigenza della autonomia effettiva del sindacato, così come la sua unità , nasce dalla necessità del sindacato di non delegare ad altri quelli che sono i suoi compiti naturali. Di non soggiacere alla pressione padronale, alle esigenze politiche di questo o quel partito, di questo o quel governo. L'autonomia del sindacato trova concreta espressione nella sua politica che deve partire dalla realtà obiettiva dei rapporti di lavoro, delle esigenze dei lavoratori e della collettività popolare nazionale" […]. Una concezione "gradualistica", fondata sulla "sicura conquista di ogni giorno". Santi scrive: Il sindacato "ogni giorno direi deve conquistare qualche cosa, ecco perché dobbiamo rifuggire da sterili impazienze come da abbandoni colpevoli. Io credo nella sicura conquista di ogni giorno, credo nella necessità di trasferire nel costume, negli ordinamenti, nelle leggi, le conquiste operaie perché siano salvaguardate e diventino patrimonio civile di tutta la società nazionale. Non possiamo rinunciare per un malinteso senso di autonomia, a chiedere allo Stato quello che uno Stato democratico ha il dovere di fare nei confronti dei lavoratori". Una concezione "riformista", infine che ha un orizzonte contrattuale che tuttavia non è il vincolo esclusivo, il fine unico ed ultimo del sindacato in quanto l'azione va rivolta anche alle riforme necessarie al paese, deve incidere sulle "strutture" del paese modificandole nell'interesse dei lavoratori e nell'interesse generale, secondo i principi della giustizia sociale e della redistribuzione equa delle risorse e, si potrebbe aggiungere oggi delle opportunità . Oggi che i lavoratori sono costretti a prendere atto del bassissimo livello di unità d'azione fra le organizzazioni sindacali ci si accorge anche di quanto insufficiente sia l'autonomia delle stesse al punto che affiancamenti o sostegni, più o meno organici, a forze politiche e schieramenti elettorali, purtroppo sono andati di pari passo con la sempre più ridotta capacità di condizionare i decisori istituzionali, ai vari livelli. Santi è profondamente convinto del valore della Costituzione e dell'articolo cardine, l'art.1 con il quale la stessa si apre. Santi scrive: "la Costituzione afferma nel suo articolo fondamentale che l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Cosa stupendamente bella in teoria che vuol dire, in teoria, che il lavoro - e i lavoratori dunque - sono la base delle nostre strutture economiche sociali e giuridiche, che gli interessi dei lavoratori sono prevalenti nei confronti di quelli delle forze sociali con le quali il lavoro si trova in una naturale posizione di antagonismo. Ciò vuol dire che chi attenta al lavoro, ai suoi diritti, ai suoi interessi, alla dignità dei lavoratori, attenta alle basi stesse del nostro ordinamento democratico". Una cultura politica revisionista intervenuta in diversi ambiti, ritiene quest'articolo conseguenza del presunto orientamento comunista, sovietizzante in sede costituente e sarebbe pronto a sostituirlo ponendo come centrale non il lavoro ma 'l'Impresa" . Un rinvio al commento alla Costituzione scritto da N. Bobbio come testo per le scuole italiane, eviterebbe agli interessati revisionisti di spararle così grosse sul citato art. 1. Oggi , tuttavia, c'è da chiedersi quali forze politiche hanno voglia o sono oggi in grado di argomentare a sostegno della difesa dell'art.1 della Costituzione riprendendo le ragioni avanzate da Fernando Santi? Quanti nei sindacati, parimenti, sono oggi disposti a motivare in eguale modo il suo mantenimento? Fernando Santi è stato un socialista, segretario della Federazione giovanile socialista dopo la scissione comunista del1921, dirigente di rilievo del PSI e parlamentare per quattro legislature. Santi aveva fatta propria la cultura socialista preesistente al fascismo, riformatrice, pragmatica, non massimalista o ideologizzata così come l'aveva conosciuta nella grande scuola delle lotte sociali democratiche a partire da quelle del parmense e della sua Emilia-Romagna. L'aveva praticata ancora nel 1924, in pieno fascismo con la piattaforma rivendicativa dell'ultimo sciopero degli autoferrotranvieri che aveva organizzato in Torino ed aveva seguitato, più tardi , nel territorio liberato della Repubblica di Val d'Ossola, organizzando il sindacato. Dice Santi, non a caso: "credo nella autonomia del sindacato in qualsiasi tipo di società civile, anche nella società socialista".Quelle idee di "riforma" che erano state rielaborate in seguito anche dagli azionisti in chiave tecnocratica e che ritorneranno anche con Riccardo Lombardi, Santi le afferma nel sindacato e nel partito. Lombardi e più tardi Giolitti delineano la loro idea di società per la cui trasformazione fondamentale è il ruolo regolatore dello stato, Santi, sindacalista, nei suoi scritti pone l'accento piuttosto sul valore dell'autonomia, sul fatto che le riforme devono maturare e crescere dalla società civile, devono essere capaci di suscitare, mentre le si prospetta, un vero e proprio agire di senso collettivo. Attraverso i corpi intermedi, soprattutto attraverso i sindacati, tale domanda di riforme deve poter arrivare a quell'istituzione che, sola in una democrazia rappresentativa, è legittimata ad attuarle, cioè al Parlamento. Oggi vediamo correre seri rischi di divenire mera sovrastruttura quel Parlamento, che Garibaldi affermava essere la sede più alta della rappresentatività , ridotto com'è a locale nel quale maggioranze parlamentari legiferano anche a prescindere da quello che la società italiana chiede e di cui avrebbe bisogno. L'opposizione parlamentare non svolge un ruolo né propositivo alternativo e di controllo, né di assunzione di corresponsabilità come avviene nelle grandi coalizioni parlamentari. La responsabilità delle OO:SS in questo quadro è grande in termini, di obbligata sostituzione del ruolo di altri soggetti collettivi. L'autonomo agire di un movimento sindacale a guida unitaria darebbe più forza al sindacato in una fase nella quale ricadono sulle sue spalle pesi che altri non sono in grado di sostenere o che hanno deciso di non sostenere. I parlamenti hanno ancora un ruolo importante come è importante che la loro vita sia scandita da regole democratiche rispettose della Costituzione. Non è in fondo così vero che nell'epoca delle globalizzazioni i decisori nella sfera politica non siano più i parlamenti ma i mercati internazionali se poi per affrontare le conseguenze della recente crisi dei sistemi finanziari si è fatto di nuovo ricorso alle decisioni dei governi e dei parlamenti nazionali ed ai soldi di tutti i cittadini. Nella CGIL con Fernando Santi e poi successivamente, per un periodo lunghissimo, le distinzioni e le divisioni tra "socialista" e "comunista", avevano toni ed accenti differenti da quelli fuori dal sindacato fra i militanti dei due partiti. Si pensi agli orientamenti assunti dalla CGIL sul Piano del Lavoro, al giudizio sulla programmazione economica dei governi di centrosinistra, alla costruzione dell'Europa, all'uscita dalla Federazione Sindacale Mondiale (F.S.M.) , al taglio ed ai contenuti profondamente unitari dei temi e delle mozioni congressuali . Oggi le componenti esistono ancora , si chiamano con altri nomi,sono il riflesso marcato di appartenenze di partito e sono molto attive nella definizione degli assetti dei gruppi dirigenti, ma molto meno nella prospettazione di idee forti da mettere a disposizione di un dibattito interno unitario. Vi è stato, qualche anno fa, un breve periodo nel quale, contraddicendone la storia, dall'interno della CGIL venne addirittura avanzata l'idea di costituirsi in partito dei lavoratori. Il ruolo del sindacato, al contrario, dovrebbe essere quello di corpo intermedio, produttore di forme di legittimità che integrano ed allargano le forme di una "statualità " che sta perdendo sempre più peso attaccata com'è da forze di governo che, al nord ed ora anche al sud, la delegittimano continuamente preferendole un autonomismo oltre la Costituzione o una secessione. C'è anche in questi ultimi anni una carenza di laicità , uno squilibrio nelle relazioni fra Stato e Chiesa Cattolica, una inosservanza del principio "libera Chiesa in libero Stato" , una secolarizzazione accelerata di comportamenti della Chiesa -apparato, un continuo "do ut des" che produrrà gravi, irreparabili danni e divisioni alla Chiesa non meno che all'Italia. Il sindacato invece - scrive Santi - "per la somma degli interessi particolari e generali che rappresenta, per i fini che si propone di giustizia sociale e di difesa della personalità umana, per il suo operare nell'ambito della legalità istituzionale, è un'autentica forza democratica, garanzia di libertà ". La forza di un sindacato unitario darebbe a sua volta forza ad una coesione nazionale costituzionalmente possibile ma che oggi appare irresponsabilmente compromessa , bloccherebbe gabbie salariali respinte nel 1969, l'anno della morte di Santi, riporterebbe le forze politiche su un terreno di responsabilità verso l'interesse generale, oggi tra le cose meno tenute presenti nella legislazione attuale. Le riforme devono essere decise dal Parlamento ma per evitare che si seguiti equivocando nell'attribuzione del termine "riforme" a provvedimenti che tali non sono, quello che il governo attuale chiama il riformismo e che oggi è l'effetto di indirizzi "octroyès", deve ritornare ad essere un riformismo che deciso nel Parlamento, non potrà che essere "dall'alto" ma che va costruito attraverso lo stimolo proveniente da una serie di corpi intermedi, e tra questi del sindacato italiano. I punti di connessione tra il livello legislativo-parlamentare e quello di base non lo possono garantire né le primarie "all'italiana" impensate all'epoca di Santi né i partiti liquidi né il "caudillismo" anch'esso "all'Italiana" che, malgrado la lezione di Gino Germani al riguardo, seguita a sedurre molti che vedono nel populismo la scorciatoia per uscire dagli eccessi di una occupazione del potere da parte di incontrollate burocrazie dei partiti. Le OO.SS, non dovrebbero confidare, separatamente o insieme, sull'affiancamento ai "partiti amici" o, come diceva Santi, delegare il proprio ruolo ai partiti.. Essi dovrebbero smettere di porsi, fra di loro, sul terreno concorrenziale ma discutere, e non solo nei gruppi dirigenti, e facendo esprimere gli iscritti, con un governo unitario delle regole,delle modalità Solo tornando ad essere sindacato autonomo "protagonista sociale", come affermato dalla CGIL al congresso di Bari, è possibile dare concretezza alle idee di Fernando Santi. Non è infatti da considerare inattuale l'idea di un sindacato inteso oltre che soggetto contrattuale come soggetto impegnato a suscitare la partecipazione alla democrazia ed alla cittadinanza (anche dei molti immigrati), per questo aperto ad accoglierli. anche nei livelli di responsabilità , insieme a figure sociali nuove (come è accaduto con i precari), risultato delle trasformazioni di quelle "strutture" economiche sul cui governo abbiamo poco inciso e su quelle sociali, culturali e mentali, che a 40 anni dalla morte di Santi mostrano tutta la loro attualità . Con la prossima stagione dei congressi sindacali non è possibile escludere che possano accentuarsi gli elementi di criticità e che l'occasione della scelta dei gruppi dirigenti possa divenire il terreno di scontri di persone, in grado di vulnerare il ruolo insostituibile dei sindacati. Per il bene dei lavoratori e nell'interesse generale dei cittadini è auspicabile che l'appello di Fernando Santi all'unità del suo sindacato, del movimento sindacale e dei lavoratori possa essere raccolto da tutti coloro che hanno un ruolo da svolgere in tale possibile, necessaria prospettiva. (di Rino Giuliani Vicepresidente dell'Istituto F. Santi)