Le priorità del Comitato devono essere quelle degli italiani nel mondo. Dobbiamo superare ogni dubbio sulla regolarità dell’esercizio in loco del diritto di voto. Gli italiani all’estero non possono essere il capro espiatorio dei ritardi nelle riforme. Governo e maggioranza intendono rilanciare la politica a favore delle comunità italiane nel mondo con una pessima riforma della rappresentanza.

Una riforma che dovrebbe comunque essere affrontata dopo la riforma della legge base sulle norme organizzative del voto all’estero, cioè la 459 del 2001. Non sono queste le priorità per gli italiani nel mondo. Non nel momento in cui la rete consolare soffre delle conseguenze di tagli e riduzioni di personale. Non quando si procede alla chiusura di Consolati o quando si prepara una nuova serie di misure tese a ridimensionare la nostra presenza nel mondo. Non quando si annuncia una manovra economica correttiva di quaranta miliardi di euro con altri possibili tagli al Ministero degli affari esteri, quindi alla cooperazione e solidarietà internazionale, alla nostra presenza nel mondo, alla politica estera ed ai capitoli di bilancio per le comunità italiane nel mondo. Non quando non sono state messe in cantiere riforme sulla promozione di lingua e cultura nel mondo ma si sono ridotti gli stanziamenti del 50%. Non quando non sono stati affrontati i temi del riacquisto della cittadinanza o del riconoscimento della cittadinanza per le donne coniugatesi prima dell’entrata in vigore della Costituzione. Non quando si ritarda la soluzione del tema dei diritti sindacali del personale a contratto o non si affronta definitivamente la questione delle detrazioni fiscali per carichi di famiglia. Non quando tutte le questioni attinenti alla sicurezza sociale scompaiono dall’azione del Governo: dalla ratifica di accordi internazionali agli interventi per gli indigenti, dalla soluzione del problema degli indebiti alla migliore articolazione della verifica di esistenza in vita fino ai pagamenti delle pensioni all’estero. Non quando, infine, si continueranno a perpetuare discriminazioni nei confronti degli italiani all’estero, come sull’esclusione dall’esonero ICI per i residenti all’estero. Credo possa essere utile un confronto con il Governo su questi temi prioritari. Affrontando anche il tema della riforma delle norme che regolano l’esercizio in loco del diritto di voto, stabilite dalla legge 459 del 2001. Non a caso si torna a evocare la riforma dell’esercizio in loco del diritto di voto ora che è in corso una consultazione referendaria rispetto alla quale abbiamo tutti delle legittime preoccupazioni. La preoccupazione che il voto degli italiani all'estero, sul quesito nucleare, da un lato corra il rischio di non essere riconosciuto valido per via della riformulazione del quesito da parte della corte di cassazione e dall'altro che comunque un’eventuale possibile bassa partecipazione al voto possa portare al mancato raggiungimento del quorum. Preoccupazioni vere ma poste male. Innanzitutto gli iscritti AIRE sono conteggiati nel quorum indipendentemente dalla loro effettiva partecipazione al voto. Ciò significa che anche una bassa partecipazione al voto è meglio di nessuna partecipazione. Secondariamente perché davanti ad un Governo ed una maggioranza che creano situazioni gravissime adottando il nucleare con poco dibattito e norme mascherate, poi votano contro l’accorpamento del referendum con le elezioni amministrative, poi approvano una moratoria nel bel mezzo di un referendum popolare sul tema, se in questa grande confusione, si pensa che la strada maestra possa essere quella di strumentalizzare il risultato referendario a danno dei residenti all’estero, si commetterebbe un grave errore. Possiamo e dobbiamo discutere di riformare la 459 del 2001. Dovremmo farlo anche prima di affrontare il tema della riforma della rappresentanza. Possiamo discutere anche di riforme costituzionali e di una diversa impostazione normativa anche della rappresentanza, includendo in queste riflessioni anche il tema della partecipazione al voto su questioni profondamente legate alla appartenenza ad un territorio, come avviene per i referendum. La esclusione dal quorum, oggi, sarebbe invece un brutto segnale politico ed una pessima soluzione, per una questione che va affrontata in altro modo e in altri momenti. (On. Marco Fedi)