Dalla Lorena, nel nord est della Francia, terra di miniere e di migrazione, durante la seconda guerra mondiale migliaia di coraggiose donne italiane, con le loro famiglie, vennero deportate nei campi di concentramento Durante i festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ricordato il sacrificio e l’eroismo dei milioni di italiani e italiane che,

per necessità, sono andati a vivere in un altro Paese. Tra tante persone vorrei ricordare quelle connazionali, emigrate in Francia, che hanno perso tutto: casa, salario del marito, scuola per i figli, ogni sicurezza faticosamente conquistata. Migliaia di famiglie italiane erano emigrate in Lorena prima della guerra nelle zone minerarie lungo la Fench, affluente della Mosella, occupando le cittadine di Hayange, Sérémange, Fontoy, Knutange e altre, dove gli uomini lavoravano nelle miniere di ferro. Le donne restavano a casa, in alloggi modesti affittati agli operai dalla proprietà mineraria, dove trasmettevano ai figli lingua e tradizioni della terra natìa. Durante la crisi degli anni Trenta, però, ci furono licenziamenti in massa di stranieri, e i più numerosi furono gli italiani. Per non perdere il lavoro, molti connazionali scelsero la cittadinanza francese, convinti di essere al sicuro. Ma il 10 giugno del 1940 l’Italia, alleata alla Germania, dichiarò guerra alla Francia. Subito dopo la Germania occupò la Lorena, impadronendosi delle miniere di ferro che riconvertì alla produzione di armi da guerra. Lì vicino passava la Linea Maginot. I francesi di origine italiana vennero stigmatizzati dai tedeschi come «nemici e traditori di Italia e Germania». A settembre la Gestapo, servendosi degli elenchi degli italiani naturalizzati francesi, cominciò i rastrellamenti. A Fontoy, Hayange, Thionville e Knutange deportò famiglie intere, arrestò missionari e sacerdoti. Inviò uomini e donne a Dachau, Mathausen e Struthof, campi di concentramento nazisti da cui ben pochi fecero ritorno. Migliaia di donne italiane vennero ammassate, con altre, all’interno di camion militari, e deportate con mariti e figli in altre regioni dove vennero tenute prigioniere. In Lorena furono 280mila le famiglie colpite. Pierina Pojer, che abita ancora a Fontoy, rievoca quei momenti. «Quel mattino i vicini mi gridarono di correre: c’erano i tedeschi dall’Elvira! Con Louis e tre donne corremmo ad aiutarla. Con il marito e otto bambini venne cacciata fuori di casa dai soldati tedeschi. Lei stava stendendo la biancheria e aveva già messo sul fuoco il minestrone. Dovette svegliare tutti i bambini, vestirli, far mangiare loro qualcosa, riuscendo a raccogliere un po’ di cibo e alcuni indumenti dentro le federe dei cuscini. C’era un bambino appena nato, fecero uscire anche quello. Quando si trovò sulla porta di casa, e noi eravamo tutte là che la salutavamo, la donna si mise a gridare: “Mamma mia, in che condizioni mi trovo!”. Piangeva, e piangevamo anche noi. Entrai in cucina a cercarle un fazzoletto. Vidi che aveva già messo i piatti in tavola: non li avevano nemmeno lasciati finire la minestra. Quando la donna uscì di casa con il bambino di due mesi al collo, anche il tedesco che stava sulla porta si commosse. In seguito, vidi partire altre setto, otto famiglie caricate sui camion. Eravamo in guerra, ma non si doveva mandar via la gente in quel modo». Lungo la Fensch, miniere e fabbriche metallurgiche sono chiuse, abbandonate da tempo. Tra le case della cité minerarie, ancora oggi, le anziane si ritrovano insieme. Rammentano il passato, tenendo in vita le tante pagine eroiche della nostra storia. (Francesca Massarotto -Il Messaggero di sant’Antonio, edizione italiana per l’estero /Inform) ITALIANE NEL MONDO Dal “Messaggero di sant’Antonio”, febbraio 2012