E' scomparso ieri a Pescara all’età di 91 anni, Luigi Sandirocco, dirigente CGIL, comunista, presidente della FILEF, già vicesegretario del CGIE. Aveva aderito al PCI nel bel mezzo della seconda guerra mondiale, durante la lunga prigionia a nord di Mosca, giovane sottufficiale sul fronte russo, dove era stato inviato per punizione per aver “eccessivamente familiarizzato” con le truppe (italiane) durante l’attacco alla Francia (che Mussolini aveva deciso per sedere al tavolo dei vincitori in quella che doveva essere una blitz krieg, una guerra lampo...)

Non era concepibile né ovviamente consentito che ufficiali o sottufficiali parlassero o sedessero assieme ai soldati. E Sandirocco, per aver giocato a carte con i soldati semplici, doveva essere punito con l’invio sul fronte orientale. Durante la battaglia di Mosca viene fatto prigioniero con altre decine di migliaia di italiani mandati al macello nella campagna di Russia. Era la disfatta dell’Armir. In una lunga marcia a piedi di oltre 400 km nel gelo dell’inverno raggiunge il campo di prigionia. Durante la marcia, raccontava Gigetto, a centinaia morirono per la fatica, si lasciavano cadere sulla pista, si addormentavano assiderati. Lui si considerava un sopravvissuto grazie ad un buon paio di scarponi. E ad una grande voglia di tornare a casa. Del campo di prigionia ricordava la stupefacente e quasi misteriosa solidarietà e correttezza dei russi. La penuria di cibo: mangiavamo di tutto e i topi erano tra le cose più ricercate. Le infermiere russe curavano con i prigionieri senza risparmiarsi e morivano come mosche per le infezioni e le malattie contagiose che contraevano. Dopo alcuni mesi giunsero nel campo D’Onofrio e altri dirigenti comunisti italiani rifugiati in Russia, che visitavano i prigionieri in terra sovietica. Si discuteva sui motivi della guerra, della natura del fascismo, della necessità della ricostruzione di un’Italia democratica; una vera scuola di formazione sociale e politica che lo portò ad aderire, come altri, al PCI. Dopo gli anni di prigionia, torna in Abruzzo, nella sua Marsica, ed è a capo delle lotte per l'occupazione e per la distribuzione delle terre del Fucino (mega proprietà dei principi Torlonia) ai contadini; viene imprigionato questa volta dai carabinieri, ma dopo qualche mese liberato a seguito della mobilitazione contadina che reclama Sandirocco come proprio leader. La battaglia per la terra viene vinta all’inizio degli anni ’50 e il bacino del Fucino si trasforma in un grande centro di sviluppo agricolo per l’arretrato Abruzzo. In quegli anni è dirigente della CGIL, poi, per molti anni Sindaco di Luco dei Marsi, quindi consigliere regionale e successivamente, negli anni '80, Deputato del PCI per due legislature. Da sempre a fianco dei lavoratori emigrati che in massa lasciavano l’Abruzzo (tra cui suoi familiari in Argentina), nell’ultimo terzo della sua vita si è impegnato con grande energia per le ragioni di tutti i cittadini migranti; ha presieduto la FILEF, organizzazione fondata da Carlo Levi, Paolo Cinanni, Renato Guttuso. Tra i fondatori della CNE (Consulta Nazionale dell’Emigrazione), vice segretario del CGIE (Consiglio generale degli italiani all’estero). E’ stato fondatore e componente della FIEI (Federazione Italiana Emigrazione ed Immigrazione). Componente della Presidenza della seconda Conferenza dell’emigrazione del 1988, durante la quale ho avuto la fortuna di conoscerlo, a Strasburgo, e della Prima conferenza degli italiani nel mondo (2000). E’ stato uno dei primi convinti fautori, a sinistra, del voto all’estero, considerato come diritto inalienabile e dovuto a chi aveva dovuto lasciare l’Italia, non per scelta o per gioco, ma suo malgrado e quasi sempre forzato dalle “sfavorevoli congiunture” nazionali. Un tragitto di impegno sociale, civile e politico unico, quello di Giggetto. Ma soprattutto umano, di un’umanità fatta di apertura, di curiosità, di interesse, di convivialità, soprattutto verso le nuove generazioni. A dispetto della sua età, Luigi Sandirocco ha mantenuto fino alla fine un’anima giovanile e aperta, pragmatica, mai ideologica. Ricordo che nell’ultima parte della sua stagione parlamentare si era avvicinato alla corrente migliorista del PCI. Suppongo anche per la sua avversione ad atteggiamenti che riteneva dogmatici. Ma successivamente colse con crescente fastidio la nuova ideologia di “normalità amministrativa” a cui si riducevano in buona parte quelle posizioni. “La storia non è finita e non finisce” diceva. Nel 2006, a Porto Alegre, ascoltammo insieme il discorso di Ingnacio Luis Da Silva detto Lula, all’interno del Gigantino e quello di Hugo Chavez, da fuori dal Palasport in cui era impossibile entrare per la ressa: mi disse, sorprendendomi, che questi erano i due nuovi leader della sinistra mondiale e che il baricentro politico del mondo si spostava a sud. Negli ultimi anni confessava di non avere più particolari sentimenti per la politica politicante e viveva con una certa lontananza e distacco il dibattito asfittico a sinistra. D’altra parte, la formazione e gli interessi di Gigetto erano vasti e la sua curiosità illimitata. La sua biblioteca prediligeva la letteratura e ogni settimana consumava un nuovo libro di poesie o di racconti, un nuovo romanzo. A lungo è stato membro della giuria del Flaiano. E tuttavia nel suo modus non vi è mai stata saccenza o atteggiamento elitario. Gigetto ha amato la vita concreta, quella popolare, fatta anche di sapori e di odori, di arguzia e di ironia, di generosità e di simpatia, un bene complesso e multiforme, superiore ad ogni nome, ad ogni idea, ad ogni visione parziale. Qualcosa che può chiamarsi intelligenza. E la sua interpretazione dell’impegno politico aveva a che fare con questa complessità e con questa attenzione alla gente in una sorta di rigorosa apertura al nuovo e alla tradizione allo stesso tempo. Penso che questo approccio alla vita, si sia consolidato sotto le aurore boreali russe, o lungo le marce coatte di trasferimento nella neve e nella lunga permanenza nei campi, quando aveva poco più di vent'anni. Rispetto a quel vissuto, ogni cosa che può sembrare decisiva riassume facilmente la giusta dimensione relativa. Oppure, l’incipit di questa scelta è ancora precedente, e riguarda, immagino, la sua adolescenza, trascorsa tra l’Abruzzo e Spoleto, dove, orfano di padre, aveva avuto la possibilità di frequentare il liceo, in un seminario, nella seconda metà degli anni ’30 del ‘900. Sia come sia, è stato davvero un privilegio conoscere e condividere un pezzo di strada con Luigi Sandirocco, colloquiare e discutere con lui. Alla fine c’era sempre una cordiale fraternità fatta di comprensione e condivisione di un buon piatto e di un bicchiere di vino. Cose così semplici e così antiche. E così essenziali e straordinarie da poter di nuovo augurare al futuro di tutti noi. Un abbraccio da parte mia e di tutte le organizzazioni della Filef a Carla e Luigi, i suoi figli, e alla moglie Pupetta. Rodolfo Ricci (Coordinatore nazionale FILEF e segr. FIEI)