In un’altra giornata purtroppo amara per gli italiani all’estero – quella della conversione in legge del decreto che ha sancito il rinvio delle elezioni per il rinnovo dei COMITES e del CGIE – qualche motivo di conforto viene dall’accoglimento da parte del Governo di alcuni ordini del giorno presentati da deputati del PD.

Tra questi, uno da me presentato assieme agli altri colleghi della Circoscrizione Estero, con il quale si impegna il Governo a rimuovere, per via normativa o amministrativa, gli ostacoli che finora hanno impedito il pieno riconoscimento dello status di cittadina alla donna che abbia perduto la cittadinanza italiana contro la sua volontà per il solo fatto di avere sposato uno straniero. La legge di conversione, in realtà, tocca la materia elettorale dal momento che delega al Governo il compito di organizzare i seggi presso i consolati e di sperimentare il voto con modalità elettronica. Ma la madre di tutte le battaglie resta, come sanno tutti quelli che conoscono la situazione, la precisione degli elenchi degli elettori. Ebbene, ci sono elementi di fluidità di questi elenchi che non possono essere più sopportati. Una persistente criticità è data dagli arretrati di centinaia di migliaia di domande di riconoscimento di cittadinanza, che giacciono presso i consolati soprattutto dell’America meridionale e presso il Ministero dell’Interno per i successori degli abitanti dell’ex Impero austro-ungarico. Una situazione non meno delicata e insostenibile è quella riguardante i successori delle donne che hanno perduto la cittadinanza italiana per il fatto di avere sposato uno straniero e che, invece, una sentenza della Corte di cassazione – la n. 4466 del 25 febbraio 2009 – ha riconosciuto cittadine di pieno diritto e soggetti capaci di trasmettere la cittadinanza, anche quando il matrimonio sia avvenuto prima dell’entrata in vigore della Costituzione. Non è più possibile sopportare una situazione in cui una donna, per vedersi riconosciuto un suo sacrosanto diritto, debba andare incontro a un lungo e costoso procedimento giudiziario e non possa rivolgersi invece all’amministrazione dello stato per arrivare alle stesse conclusioni. Il mio ordine del giorno, accolto dal Governo, oltre a richiedere l’assorbimento delle richieste di cittadinanza, impegna a trovare subito una soluzione procedurale per affermare, lo ripeto, un indiscutibile diritto. In uno Stato civile, come l’Italia dovrebbe essere, è possibile che si tardi tanto ad affermare un principio di uguaglianza dei cittadini e di parità tra uomo e donna, dal quale dipende anche il riconoscimento di un diritto primario come quello di voto? Visto che in questo caso non vi sono oneri da sopportare, spero che questo Governo consideri l’impegno che ha preso non come una promessa estiva, ma come una seria decisione di superare finalmente un intollerabile ritardo.