Firmato nel 1995 da Italia e Canada, approvato dal Parlamento canadese l’anno dopo, il nuovo accordo italo-canadese di sicurezza sociale avrebbe dovuto sostituire il precedente Accordo, firmato nel 1977 ed entrato in vigore nel 1979. Nel mese di luglio del 2000 il Senato della Repubblica aveva approvato il Disegno di Legge per la ratifica e l’esecuzione del nuovo Accordo e lo aveva trasmesso alla Camera.

Nel dicembre 2000 la III Commissionedella Camera dei Deputati aveva espresso parere favorevole. Da allora l’accordo è scomparso dai radar di Governi e Parlamenti ed è stato rintracciato solo nelle mie interrogazioni, nelle mie lettere e nei miei comunicati (tutti inutili). Il nuovo Accordo era nato dall’esigenza di valutare l’evoluzione intervenuta negli anni nelle legislazioni dei due Paesi, di migliorare lo standard di protezione dei lavoratori, e di elaborare tecniche e procedure tese a garantire una più rapida erogazione delle prestazioni previdenziali. L’Accordo non solo avrebbe confermato e consolidato i benefici già previsti dall’Accordo del 1977, ma ne avrebbe previsti altri che avrebbero reso più ampia ed equa la tutela sociale. Ho ripetutamente interrogato i Ministeri degli Esteri, del Lavoro e dell’Economia, sui motivi per cui l’importante accordo di sicurezza sociale firmato nel 1995 dai due Paesi contraenti e già da tempo ratificato dal Parlamento canadese – un accordo che introduce misure migliorative rispetto a quello attualmente in vigore e i cui costi sono molto limitati – non viene inserito nell’agenda dei lavori del Parlamento italiano (si ricorda che deve essere il Governo a presentare il Disegno di legge per l’approvazione del Parlamento). I vari Governi da me interrogati si sono sempre detti consapevoli che il nuovo accordo riveste grande importanza per la collettività italiana in Canada ma hanno altresì sempre sostenuto che le difficoltà di bilancio non hanno consentito e non consentono di perfezionare l’iter di ratifica. Il nuovo accordo di sicurezza sociale italo-canadese avrebbe previsto – secondo le stime degli enti competenti (Ministeri e Inps) – un onere finanziario il cui ammontare è pari rispettivamente ad Euro 530.000 per il primo anno ed Euro 727.000 per il secondo. In effetti io ho sempre sottolineato che non si tratta di oneri proibitivi e che comunque potrebbero essere oneri sovrastimati visto che dal 1995 l’integrazione al trattamento minimo è praticamente inesportabile all’estero e anche la maggiorazione sociale non è erogata in Paesi ad alto reddito. Insomma i benefici previdenziali e procedurali (la totalizzazione multipla, le deroghe territoriali per i lavoratori distaccati, il miglior coordinamento per le pensioni di invalidità, le migliori procedure di collaborazione amministrativa fra le parti, ecc.) avrebbero di gran lunga superato gli oneri finanziari. E allora, mi sono sempre chiesto senza trovare una risposta logica, a cosa è dovuta questa “reticenza” da parte di Governo e Parlamento italiani nell’approvare l’accordo e nell’onorare gli impegni presi con il Canada e gli italiani ivi residenti. Cosa deve pensare lo Stato canadese di questa incomprensibile e lunga inadempienza da parte dell’Italia? Pensate che ora sono passati quasi 20 anni dalla firma del “nuovo” accordo che oramai nuovo non è. Sia nella legislazione canadese che in quella italiana sono state introdotte modifiche e riforme che dovrebbero essere recepite nel testo dell’accordo per chiarire meglio la sua applicabilità. Sono state investite importanti somme per predisporre l’accordo, sono stati fatti incontri e negoziati sia in Canada che in Italia, sono stati fatti viaggi di intere delegazioni ministeriali e istituzionali, sono state attivate strutture e competenze per rinnovare l’accordo. Ma è stato tutto uno scherzo. Si tratta di un’ulteriore ignominia e mi dispiace che i miei sforzi non sono serviti a nulla, ma mi dispiace ancor più (e questo vale anche per gli altri accordi da stipulare e da rinnovare) che sulla questione si sia steso un velo impietoso da parte di tutti. (On. Gino Bucchino)