Mentre sono in corso iniziative e contatti per superare l’impasse istituzionale che perdura per il sovrapporsi dell’elezione del nuovo capo dello Stato con la formazione del governo, i parlamentari hanno iniziato a presentare disegni di legge su temi che sembrano per ciascuno meritevoli di richiamo e di attenzione.
Che si passi al più presto a confrontarsi sulle questioni concrete è certamente un bene, purché vi sia la consapevolezza del quadro generale e dei limiti in cui le iniziative si collocano. Per quanto riguarda gli italiani all’estero, l’esperienza dell’ultima legislatura ci ha messo di fronte ad un muro quasi invalicabile, il problema delle risorse. La mitizzata spending review, che doveva servire a selezionare il necessario dal superfluo e a recuperare risorse da reinvestire, alla prova dei fatti si è rivelata solo una forma più sofisticata di contenimento della spesa. Soprattutto in un Ministero come quello degli Esteri, dove la spesa per gli italiani all’estero e la cooperazione allo sviluppo sono considerati come panetti di burro dove affondare il coltello a piacimento. E’ bene, allora, parlarsi chiaro fin dall’inizio: senza affrontare preliminarmente la questione della disponibilità di risorse per le politiche emigratorie, non si arriva lontano. Si può proporre l’oro colato, ma se manca la materia per impastare si finisce per afferrare l’aria con le mani. E’ questa la ragione di fondo che mi ha indotto a presentare, come uno dei miei primi atti in questa nuova legislatura, una proposta di legge che ha lo scopo di redistribuire le risorse del Ministero degli Esteri, comunque sempre insufficienti, tra gli impieghi possibili. Finora si è tagliato soprattutto nel settore delle politiche per gli italiani all’estero e in quello della cooperazione allo sviluppo, con danni seri che sono sotto gli occhi di tutti. E’ arrivata l’ora di invertire la rotta. La mia proposta, infatti, prevede una revisione dei trattamenti economici del personale della carriera diplomatica e dei compensi comunque erogati dal Ministero degli affari esteri perché siano adeguati ai corrispondenti livelli degli altri stati membri dell’Unione Europea. In particolare, si prevede che il trattamento economico onnicomprensivo del personale degli Esteri non possa superare il trattamento annuo lordo spettante ai membri del Parlamento. Le risorse così risparmiate, non di lieve entità , dovrebbero essere destinate in pari misura al finanziamento delle politiche emigratorie e alla cooperazione allo sviluppo, oltre che all’adeguamento retributivo del personale a contratto, trattato ancora purtroppo in modo indecoroso, e al sostegno della rete diplomatico-consolare, struttura di servizio per le nostre comunità e biglietto da visita dell’Italia nel mondo. Vorrei precisare che in questa proposta non c’è alcuna sottovalutazione della delicata funzione che la nostra diplomazia esercita in ambito internazionale e, men che meno, alcun intento punitivo. Si tratta di una necessaria misura di razionalizzazione, ancorata per altro ad un parametro di riferimento indiscutibile, qual è il livello di trattamento che i nostri partner europei riservano ai loro diplomatici. In ogni caso, in un momento in cui l’esigenza di sobrietà della politica e dell’amministrazione sembra essere diventata centrale negli orientamenti della pubblica opinione e nel confronto politico, sarebbe strano, e forse incomprensibile, che essa riguardasse tutti i poteri e i rami dello stato e si arrestasse soltanto davanti a qualche inviolabile confine