Delle nuove mobilità o, come forse è più giusto dire, dei nuovi emigrati italiani si parla ormai piuttosto spesso sui giornali e nei convegni, ma non sono molti gli sforzi che si fanno per conoscere le esperienze reali di quelli che partono e per aiutarli ad affrontare le situazioni concrete che essi possono incontrare. Tanto più se si tratta di giovani che o per ragioni di studio e di professionalizzazione o per una ricerca di lavoro all’estero in realtà si ritrovano soli a confrontarsi con realtà e relazioni sociali diverse da quelle cui sono abituati. In Australia, ad esempio, negli ultimi anni vi è stato un notevole incremento degli arrivi di italiani, sospinti dalla crisi occupazionale che l’talia da anni sta attraversando. Nonostante le distanze, sono stati attirati e in qualche modo favoriti anche da alcune misure del Governo australiano, come quelle relative alla vacanze-lavoro per le quali è possibile ottenere un visto di 12 mesi, addirittura prorogabile se l’esperienza di lavoro si realizza in alcune aree del paese e in particolari settori. A settembre 2013, gli italiani presenti in Australia con un visto temporaneo ammontavano a 18.600, di cui 16.000 concessi a giovani dai 18 ai 30 anni per vacanze-lavoro, con un incremento complessivo del 116% rispetto a due anni prima. Spesso, le presenze temporanee sono solo il prologo di permanenze di lunga durata o addirittura permanenti. In ogni caso, il numero dei giovani che negli ultimi anni sono arrivati nel Paese (oltre 20.000) è superiore a quello registrato nel 50-51, durante la maggiore ondata registrata storicamente. Queste nuove possibilità, tuttavia, non sempre sono coerenti con la precedente legislazione e con i sistemi prefigurati dagli accordi bilaterali. Ad esempio, la copertura sanitaria necessaria a chiunque, italiano o australiano, voglia recarsi nell’altro Paese, in base all’accordo di reciprocità tra l'Italia e l’Australia in materia di assistenza sanitaria, firmato a Roma il 9 gennaio 1986 e ratificato un paio d’anni più tardi, dura solo sei mesi. Di fatto, in sostanza, può accadere che la permanenza duri un anno e la copertura sanitaria appena sei mesi, con la conseguenza che se una qualche occorrenza intervenisse nel periodo scoperto, l’interessato dovrebbe ricorrere a costose assicurazioni private o mettere direttamente mano al portafoglio. Non si tratta purtroppo di ipotesi astratte, ma di casi effettivamente accaduti, con tutte le conseguenze che si possono immaginare. Per questa ragione, in un’interrogazione al Ministro degli Esteri e a quello della Sanità, ho chiesto di portare il periodo di copertura sanitaria da 6 a 12 mesi, in modo da far combaciare i termini delle diverse disposizioni. Nell’accordo bilaterale è prevista la formazione di una Commissione che dovrebbe monitorare l’applicazione dell’accordo ed eventualmente favorirne anche le modifiche migliorative. In ogni caso, come dico nell’interrogazione, basterebbe avere forse uno scambio di lettere d’intenti tra le parti per poter arrivare al più presto ad una giusta soluzione. Le nuove mobilità sono un bel modo di descrivere alcune esperienze migratorie, ma dietro le parole vi sono le persone in carne e ossa e dietro le persone vi sono nuovi bisogni. E’ tempo, dunque, che si passi dalle descrizioni sociologiche alle tutele concrete dei nuovi protagonisti delle mobilità e che le pubbliche istituzioni facciano seriamente la loro parte. (On. Marco FEDI)