Vi propongo una mia riflessione ospitata sul sito del Centro Studi di Politica Internazionale (CeSPI) sulla missione in Cile e sulle prospettive di quel Paese all'indomani dell'insediamento ufficiale del nuovo Presidente Gabriel Boric. (foto accanto con Sereni)
Tutto è cominciato nel 2019, con l’estallido social”: nei giorni scorsi ho sentito questa frase da molte delle persone che ho incontrato in Cile in occasione del “cambio de mando” e dell’insediamento del Presidente Gabriel Boric.
E in effetti è quello che in qualche misura ho potuto anche personalmente constatare, essendomi recata a Santiago agli inizi di novembre del 2019 nel pieno di una mobilitazione popolare di dimensioni straordinarie, senza leaders, molto eterogenea nelle motivazioni e nelle richieste, non priva di frange violente… In quel momento nessuno di noi poteva prevedere l’esito di quella protesta, che esprimeva sia un profondo malessere sociale sia una grande sfiducia verso le istituzioni, la politica e i partiti tradizionali. Quando, poche settimane dopo, in Parlamento si creeranno le condizioni per un processo che porterà ad avviare un percorso per una nuova Costituzione in molti - me compresa - hanno guardato con ammirazione e grande interesse a un Paese che era riuscito a incanalare quella rabbia e quella protesta confusa quanto radicale verso una soluzione istituzionale. E molti in questi giorni hanno ricordato quanto fu determinante il coraggio con cui Boric, contro l’opinione del Frente Amplio, prese posizione a favore dell’accordo parlamentare che rese possibile il processo costituente. Quella intuizione si è rivelata nei fatti giusta. Una maggioranza davvero ampia dei cittadini infatti con il Plebiscito si pronunciò a favore di una nuova Costituzione. Il risultato dell’elezione della Convenzione Costituente d’altro canto rese evidente da un lato la crisi dei partiti tradizionali, sia della destra sia del centrosinistra, dall’altro la difficoltà e necessità di dare voce a un fenomeno di mobilitazione plurale e frantumato come l’estallido social. Le regole per eleggere quella Convenzione hanno portato a una rappresentanza di genere paritaria e a una presenza inedita per quantità e varietà di indipendenti e di popoli originari. Ancora oggi - alla luce del complesso lavoro ancora in corso per la nuova Costituzione su cui tornerò - è difficile individuare una chiara maggioranza e dinamica “politica” all’interno della Convenzione. Nei mesi e nei passaggi successivi non sono mancate altre significative novità. La vittoria di Boric sul candidato comunista Jadue alle primarie, la difficoltà del centrosinistra della Concertacion a interloquire con le soggettività più vicine all’estallido social, la divisione del campo conservatore, infine il risultato del primo turno delle presidenziali con Kast che prevale sulla candidatura più moderata del conservatore Sichel e con Boric che arriva secondo a poca distanza dal candidato di estrema destra. È a questo punto che ancora una volta Gabriel Boric dimostra una notevole abilità e qualità politica. Senza rinunciare agli obiettivi e alle parole d’ordine essenziali della sua piattaforma iniziale, infatti, nel passaggio dal primo al secondo turno il suo orizzonte si allarga, i toni diventano più rassicuranti e inclusivi e ciò farà sì che venga eletto come il Presidente più giovane e più votato che il Cile abbia mai avuto. Questa straordinaria vittoria tuttavia non gli consegna una maggioranza parlamentare. I partiti della sua coalizione al primo turno non sono sufficienti, senza considerare tra l’altro le insidie legate alla pluralità di correnti al loro interno. Con la composizione del Governo, il Presidente eletto Boric include così esponenti di una parte della Concertacion - PPD e Partito socialista - ma anche questo non garantisce al nuovo Gabinetto una navigazione tranquilla in Parlamento, in particolare al Senato dove i partiti di destra hanno la metà dei seggi. Appare perciò abbastanza evidente come sia tuttora aperto il tema di un dialogo anche con altre forze e in particolare con la Democrazia Cristiana, che fin qui ha espresso un atteggiamento pragmatico e disponibile. Vincere la prova del governo e rispondere alle tante domande che salgono dalla società cilena dopo mesi di turbolenza sociale e dopo la pandemia del Covid19 si presenta dunque tutt’altro che semplice. Impossibile però non vedere la differenza tra le facce sorridenti dei cittadini, delle ragazze e dei ragazzi che ascoltavano e acclamavano il Presidente Boric nella piazza di fronte alla Moneda e quelle piene di rancore e paura che attraversavano Piazza Italia e le vie del centro della capitale poco più di due anni fa. La speranza ha preso il posto della rabbia, la voglia di cambiamento evocata al tempo dell’estallido social oggi comincia ad essere incarnata e interpretata dal nuovo Presidente. Il discorso con cui Gabriel Boric ha salutato la folla di fronte alla Moneda è stato coinvolgente e insieme onesto, sincero. Non ha certo deluso le aspettative di chi chiede un Cile nuovo, più giusto, femminista, ambientalista, inclusivo, capace di riconoscere le diverse identità dei popoli originari. Ma al tempo stesso non ha nascosto la complessità della sfida che ha di fronte, in qualche misura indicando un metodo: ascoltare tutti, includere, essere aperti al confronto tra le diverse opinioni, cercare di unire. Ho visto e ascoltato un giovane convinto che il Cile possa e debba vivere una stagione di riforme profonde, animato dalla radicalità e dalla voglia di innovazione che ci si aspetta dalle giovani generazioni ma anche dalla consapevolezza di poter sbagliare e di dover essere pronto a correggere la rotta. In molti tra coloro che ho incontrato - esponenti del mondo della cultura, dell’accademia, della politica di vario orientamento - hanno usato questa espressione “se andrà bene a Boric, andrà bene al Paese”. E in molti hanno segnalato che oggi il Cile ha bisogno di tranquillità, di serenità, non di una nuova polarizzazione e divisione. Insomma davanti al Presidente Boric e al suo Gabinetto, composto da tante donne e da tanti giovani come lui, le difficoltà e le sfide non mancano ma c’è anche una apertura di credito e una fiducia che in questo momento appaiono persino più larghe della maggioranza che lo ha eletto. Tra le prove più impegnative e difficili c’è da considerare la conclusione della Convenzione costituente che deve finire i suoi lavori entro il 4 luglio per consegnare un nuovo testo a un Plebiscito popolare finale. Ad oggi l’eterogeneità dei membri della Convenzione, la prevalenza al suo interno di componenti per lo più poco riconducibili a formazioni politiche riconoscibili e organizzate, la rigidità di alcuni gruppi politici sta rendendo il confronto molto complicato. Un dato forse aiuta a capire meglio: le Commissioni in cui si articola la Convenzione producono elaborati a maggioranza semplice mentre in plenaria è necessaria una maggioranza qualificata di due terzi dei componenti. Ebbene, finora di circa 180 elaborati sottoposti alla plenaria ben 126 sono stati rigettati (e quindi rinviati in commissione). Da un lato - per usare le parole di uno dei membri della Convenzione con cui ho avuto la possibilità di conversare - questo dimostra che l’Assemblea plenaria è in grado di riconoscere e rifiutare le maggiori “locuras” ma dall’altro questo non consente ancora di vedere una sintesi che possa essere ragionevolmente condivisa da uno schieramento vasto all’interno della Convenzione e successivamente ratificata da una larga maggioranza degli elettori con il plebiscito. Ed è evidente che per il cammino del Governo di Boric una conclusione positiva del processo costituente è indispensabile per chiudere la stagione delle tensioni sociali e concentrarsi sui temi urgenti della crescita, dell’ambiente, delle pensioni, dell’educazione, della giustizia sociale. Infine una considerazione sulla natura della sinistra che Boric intende rappresentare nel contesto latino-americano. All’insediamento hanno partecipato molti Capi di Stato della regione, di diverso colore politico: i Presidenti di Argentina, Perú, Bolivia, Paraguay, Ecuador e i Vice Presidenti di Brasile, Honduras e Panama’. I governi del Nicaragua e del Venezuela erano rappresentati a livello di Ambasciatori. Boric ha invitato alla cerimonia Sergio Ramirez, accanito oppositore di Daniel Ortega. Le affermazioni nette di Boric sulla crisi venezuelana e sul Nicaragua, a difesa della democrazia e dei diritti umani, così come l’immediata presa di posizione contro l’aggressione della Russia all’Ucraina lo connotano in maniera molto precisa nel campo della sinistra riformista e democratica. È un elemento estremamente positivo che può aprire una fase nuova nel campo riformatore in America Latina soprattutto se con le prossime elezioni in Brasile e in Colombia dovessero affermarsi i candidati progressisti. Ed è interessante anche per i socialisti e i democratici europei avere di fronte una nuova generazione che scommette sui valori della democrazia, sull’importanza dell’integrazione regionale, sul dialogo con l’Europa. Quanto all’Italia e alle nostre relazioni bilaterali - che pure in questi anni difficili abbiamo continuato a coltivare vigorosamente sia sul piano politico-diplomatico che su quello economico e culturale - credo si possano aprire spazi ulteriori e importanti di cooperazione e scambio reciproco a partire da temi cruciali come le energie rinnovabili, l’idrogeno verde, l’economia circolare, le infrastrutture, le biotecnologie e la ricerca scientifica. 16 marzo 2022 (Marina Sereni)