PATENTI ITALIA-CANADA: LUPI RISPONDE A LA MARCA (PD) ROMA - “Una mia lontana interrogazione al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sulla conclusione di un accordo con il Canada per la reciproca conversione delle patenti di guida - interrogazione che ho replicato qualche settimana fa per interrompere il lungo ritardo - ha avuto finalmente risposta da parte del Ministro Lupi. La questione riguarda l’esigenza di consentire, tramite un accordo bilaterale, che i cittadini italiani che risiedono in Canada e quelli canadesi che risiedono in Italia possano beneficiare della conversione delle loro patenti originarie in quelle dei paesi in cui si trovano, senza essere costretti a sostenere gli esami per ottenere un nuovo titolo, dopo la scadenza dei termini di utilizzazione nel paese straniero”. Così Francesca La Marca, deputata del Pd eletta in Nord America. “Le trattative tra i due paesi – ricorda la parlamentare – sono partite addirittura nel 2001 e hanno conosciuto una serie di rinvii ed improvvise accelerazioni dovute sia ai tempi non certamente fulminei delle relazioni diplomatiche sia alla complessità giuridica e istituzionale di una tale operazione. In Canada, infatti, per la natura federale dello Stato, la materia è di competenza esclusiva delle Province che hanno un’autonomia molto marcata nei confronti dello Stato centrale. Il che porta a dover stabilire un rapporto diretto con ogni singola entità provinciale e a perfezionare tanti accordi quante sono le Province canadesi, che hanno poteri ancor più penetranti, tanto per capirci, delle nostre Regioni a statuto speciale”. “Nel 2003 – aggiunge La Marca – il Dipartimento degli esteri canadese manifestò l’intento di definire con l’Italia un accordo quadro nel quale collocare i successivi accordi con le Province. La risposta all’interrogazione ripercorre in dettaglio questa lunga vicenda, su cui non mi soffermo retrospettivamente perché la cosa importante, e ormai indifferibile, è giungere ad una conclusione e mettere i tanti interessati, sia italiani che canadesi, nella condizione di risolvere positivamente i loro problemi. Quello che posso dire è che, sulla base dei numerosi contatti che negli ultimi mesi ho avuto con i rappresentanti di governo italiani e con le autorità diplomatiche dei due Paesi, che ringrazio per il loro fattivo impegno, la soluzione dovrebbe essere non lontana. In sostanza si sta mediando con il Governo del Quebec, sensibile alle sue prerogative in materia di trasporti, per raggiungere un’intesa diretta che tuttavia non precluda successive intese con i rappresentanti delle altre Province e/o del Governo federale”. “Il mio auspicio – conclude – è che si ponga finalmente termine a questa fin troppo lunga vicenda e la mia richiesta è che le autorità competenti dei due Paesi facciano uno sforzo risolutivo in questa direzione. In ogni caso, come è accaduto finora, da parte mia non smetterò di seguire gli sviluppi della vicenda e di sollecitarne una definizione, in modo che i cittadini interessati possano avere questa ulteriore opportunità e i rapporti tra i due Paesi arricchirsi di un ulteriore punto di incontro”. (aise)
LAVORATORI STRANIERI IN ALTO ADIGE: PRESENTATO A BOLZANO LO STUDIO "APOLLIS"
BOLZANO - Oltre la metà delle imprese altoatesine ha al proprio interno lavoratori stranieri, i quali spesso risultano sotto-inquadrati e non sono in possesso delle necessarie capacità linguistiche. I dati emergono da uno studio realizzato da Apollis su incarico della Provincia di Bolzano e presentato questa mattina 19 marzo dall'assessore Philipp Achammer. Una forza lavoro preparata ma ancora debole dal punto di vista linguistico e della familiarità con usi e costumi locali. Un mondo imprenditoriale relativamente aperto all'introduzione di manodopera straniera nei propri organici, ma che necessita dell'appoggio delle istituzioni pubbliche per agevolare i lavoratori immigrati nel processo di adattamento alla realtà altoatesina. Questo il quadro che emerge dalle oltre 300 interviste effettuate da Apollis. Il 62% delle imprese consultate (l'87% nel settore alberghiero) hanno affermato di avere personale straniero nel proprio organico, ma pur possedendo spesso titoli di studio più alti, la manodopera straniera assume solitamente mansioni poco qualificate. Le cose, però, stanno cambiando: un'azienda su cinque con personale straniero offre a questa categoria posizioni di responsabilità, e la percentuale cresce sino ad arrivare al 30%, nelle aziende di maggiori dimensioni. Tra i problemi legati al "sottoinquadramento" c'è la mancanza di una rete solida di relazioni e la predilezione per i canali informali rispetto ai sistemi istituzionali di incontro fra domanda e offerta di lavoro. Dal punto di vista delle imprese, il lavoratore straniero non rappresenta solo una necessità per far fronte a condizioni di flessibilità, visto che il 40% degli intervistati riconosce che il loro ingresso in azienda ha portato nuove capacità, maggiore creatività e un clima più positivo. Non mancano, ovviamente, i punti di criticità, che vengono solitamente affrontati con iniziative ad hoc che, se lasciate alla lungimiranza dei singoli datori di lavoro, rischiano di rimanere isolate. Ed è proprio su questo punto che gli intervistati chiedono l'intervento della mano pubblica, chiamata a creare un vero e proprio sistema per adeguare la manodopera straniera agli standard del mercato del lavoro locale. "Il nostro obiettivo - ha commentato l'assessore all'integrazione Philipp Achammer - è quello di costruire le condizioni di base affinché gli stranieri possano portare tutte le loro capacità nel mercato del lavoro. Questo studio presenta la situazione dal punto di vista degli imprenditori, ora si tratta di analizzare e capire quali sono i problemi principali e impegnarsi a fondo per trovare le soluzioni più efficaci". Lo studio ha anche elaborato una "road map" con una serie di misure riguardanti mediazione al lavoro, formazione continua, riconoscimento dei titoli di studio, promozione professionale e coordinamento delle politiche di integrazione. (aise)
PAPA: SOCIETA’ SENZA BAMBINI E’ TRISTE E GRIGIA
Roma - “I bambini portano vita, allegria, speranza, anche guai. Ma, la vita è così. Certamente portano anche preoccupazioni e a volte tanti problemi; ma è meglio una società con queste preoccupazioni e questi problemi, che una società triste e grigia perché è rimasta senza bambini! E quando vediamo che il livello di nascita di una società arriva appena all’uno percento, possiamo dire che questa società è triste, è grigia perché è rimasta senza bambini”: così Papa Francesco nell’udienza generale in piazza San Pietro, dedicata al tema dei bambini. “Dopo aver passato in rassegna le diverse figure della vita familiare – madre, padre, figli, fratelli, nonni –, vorrei concludere questo primo gruppo di catechesi sulla famiglia parlando dei bambini – esordisce il Pontefice -. Lo farò in due momenti: mi soffermerò sul grande dono che sono i bambini per l’umanità – è vero sono un grande dono per l’umanità, ma sono anche i grandi esclusi perché neppure li lasciano nascere – e prossimamente mi soffermerò su alcune ferite che purtroppo fanno male all’infanzia. Mi vengono in mente i tanti bambini che ho incontrato durante il mio ultimo viaggio in Asia: pieni di vita, di entusiasmo, e, d’altra parte, vedo che nel mondo molti di loro vivono in condizioni non degne… In effetti, da come sono trattati i bambini si può giudicare la società, ma non solo moralmente, anche sociologicamente, se è una società libera o una società schiava di interessi internazionali”. I bambini – è la riflessione del Papa – “ci ricordano che siamo sempre figli: anche se uno diventa adulto, o anziano, anche se diventa genitore, se occupa un posto di responsabilità, al di sotto di tutto questo rimane l’identità di figlio. Tutti siamo figli. E questo ci riporta sempre al fatto che la vita non ce la siamo data noi ma l’abbiamo ricevuta. Il grande dono della vita è il primo regalo che abbiamo ricevuto. A volte rischiamo di vivere dimenticandoci di questo, come se fossimo noi i padroni della nostra esistenza, e invece siamo radicalmente dipendenti. In realtà, è motivo di grande gioia sentire che in ogni età della vita, in ogni situazione, in ogni condizione sociale, siamo e rimaniamo figli. Questo è il principale messaggio che i bambini ci danno, con la loro stessa presenza: soltanto con la presenza ci ricordano che tutti noi ed ognuno di noi siamo figli”. (NoveColonne ATG)
MAFIE, ALMENO 5 MILA RISTORANTI IN MANO ALLA CRIMINALITA’
Roma - Sono almeno 5.000 i locali della ristorazione nelle mani delle mafie nel nostro Paese che approfitta della crisi economica per penetrare in modo sempre più massiccio e capillare nell’economia legale. E’ quanto rileva la Coldiretti in relazione al blitz dell'antimafia in zona Pantheon a Roma che ha portato al sequestro di due ristoranti gestiti dalla ‘ndrangheta a conferma del fatto che quello della ristorazione per le organizzazioni criminali è uno dei settori maggiormente appetibili. Dai campi alla tavola le agromafie - sottolinea la Coldiretti - fatturano in Italia un importo di 15,4 miliardi in crescita del 10 per cento in un anno perché si tratta di attività appetibili anche in tempi di crisi perché del cibo si ha comunque bisogno e perché consentono di infiltrarsi nel cuore della società. La criminalità organizzata in alcuni casi possiede addirittura franchising, forti dei capitali assicurati dai traffici illeciti collaterali. Attività che aprono in breve tempo decine di filiali in diversi paesi del mondo come è emerso dal terzo Rapporto Agromafie elaborato da Coldiretti, Eurispes, e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare. Vi sono attività “pulite” che si affiancano a quelle “sporche”, avvalendosi degli introiti delle seconde, assicurandosi così la possibilità di sopravvivere anche agli incerti del mercato ed alle congiunture economiche sfavorevoli, ma anche di contare su un vantaggio rispetto alla concorrenza, la disponibilità di liquidità, e di espandere gli affari. Acquisendo e gestendo direttamente o indirettamente gli esercizi ristorativi le organizzazioni criminali hanno anche la possibilità di rispondere facilmente ad una delle necessità più pressanti: riciclare il denaro frutto delle attività illecite. E se Cosa Nostra manifesta un particolare interesse nei confronti dell’acquisizione e della costituzione di aziende agricole, ma anche della grande distribuzione alimentare (centri commerciali e supermercati) e la Camorra mira a tutto il settore agroalimentare ed alla ristorazione in modo specifico, la ’ndrangheta, per infiltrarsi nel comparto agroalimentare (NoveC