REPORTAGE ESCLUSIVO DALLA BIRMANIA. TERZA PARTE. UN VIAGGIO ATTRAVERSO CULTURE E CREDENZE

Scritto da Carlotta Bonura (foto accanto) - 31 gennaio 2020 Giunte quasi al termine del nostro viaggio, torniamo a Yangon,

dove arriviamo alle sei del mattino, dopo il viaggio in autobus notturno da Nyaungshwe. Viaggiare in night bus è un’esperienza dovuta. Le cosiddette “Autostrade” sono spesso percorsi impervi e pieni di buche che si inerpicano per montagne e colline in infiniti tornanti, su cui si incanalano gli autobus notte e giorno. Gli autobus per turisti (VIP) sono molto comodi e per noi molto economici. Per i birmani i prezzi sono inaccessibili e viaggiano su autobus locali meno confortevoli. Per la tratta Yangon-Ngwesaung abbiamo scelto di viaggiare in macchina, in modo da poter organizzare più autonomamente i tempi. Il nostro driver viene a prenderci alla stazione degli autobus di Yangon, un enorme e caoticissimo luogo senza segnaletica o banchine. Dopo aver caricato i nostri zaini nel cofano della sua auto, l’autista si mette al volante e si parte. Il viaggio fino alla località di Ngwesaung, sull’Oceano Indiano, è lungo e la strada piena di curve e buche. Passiamo attraverso aree verdissime e selvagge del Paese, dove le palafitte si susseguono sui ruscelli e la strada è il luogo della vendita. Scopro con stupore che quella che stiamo percorrendo è un’autostrada. Attraversiamo villaggi e ogni tanto ci fermiamo per pagare un pedaggio ad un casello o più spesso ad un uomo in piedi sul ciglio della strada con un mazzo di banconote in mano. Alle 12.30 arriviamo a Ngwesaung, facciamo una doccia (fredda) e ci dirigiamo lentamente verso la spiaggia. Il tramonto è roseo e arancione, e rende l’acqua di un azzurro intensissimo e freddo. La spiaggia, deserta tutto il giorno, inizia a popolarsi al tramonto. La gente del posto fa il bagno vestita, nell’acqua caldissima dell’Oceano Indiano. A seconda dell’età c’è chi gioca a palla, chi con le ciambelle galleggianti, chi siede ai tavoli dei tanti localini sulla spiaggia sorseggiando Myanmar Beer e sgranocchiando arachidi. Questo alimento si ritrova continuamente in quasi tutti i piatti della cucina del Paese, insieme a croccanti legumi fritti che completano dolci, curry e insalate. La sera ceniamo in un ristorante locale, la cui proprietaria viene da Yangon e parla perfettamente inglese. Mangiamo benissimo piatti della cucina birmana molto influenzati da quella tailandese. Ci facciamo consigliare un cocktail bar sulla spiaggia e finiamo per assistere alla famosa danza del fuoco, sorseggiando gin tonic circondate da eccentrici turisti occidentali. A Ngwesaung la maggior parte della gente che lavora nelle strutture turistiche parla inglese. Molti vengono da Yangon per lavorare dopo la stagione delle piogge, che corrisponde al periodo delle ferie, in cui anche loro possono viaggiare in altri paesi. In Hotel la comunicazione è molto limitata ma il proprietario cinese ci accoglie come sempre sorridendo. Generalmente i turisti vengono qui per fare immersioni, mi spiego il perché della spiaggia deserta. Inoltre questo periodo è molto poco turistico, perché subito successivo alla stagione delle piogge. I birmani non vanno in spiaggia durante il giorno e se ci vanno sono completamente vestiti, anche in acqua. L’abbronzatura ha carattere negativo, a volte interpretata come segno di malessere fisico, mentre la pelle bianca è segno di bellezza, a tal punto da spingere i birmani delle classi più ricche a schiarirsi la pelle con sostanze spesso molto dannose. Ovunque andiamo ci chiedono di fare foto con noi, con la nostra pelle rarissima. Al contrario nei confronti di chi ha la pelle scura possono avvenire episodi di discriminazione. Considerato che la carnagione birmana non è chiara, continuo a stupirmi… I servizi di pick up per hotel e ristoranti qui sono generalmente gratuiti. L’accoglienza e la gentilezza sono una cosa naturale, tanto da portarli a rifiutare gesti come la mancia, a cui noi europei siamo abituati. Attraversando i villaggi tra Yangon e Ngwesaung vediamo case costruite sui ruscelli, la vita intorno all’acqua e purtroppo anche gli incarti di plastica che arrivano insieme ai beni di importazione. Qui mancano infrastrutture e servizi, tra cui la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti provenienti da tali beni. Gli indigeni si procurano taniche di acqua potabile e prodotti confezionati di qualsiasi tipo nei mercati locali, ma non sanno dove buttare i rifiuti. Questi si raccolgono in montagnette ai lati delle strade e nei fiumi o laghi. La sera, appena cala il sole, diventano montagne di fiamme e fumo. Yangon dispone di un sistema di raccolta dei rifiuti, seppur non differenziata, ma nei villaggi meno organizzati la spazzatura finisce per diventare elemento determinante dei paesaggi naturali. Questa è l’amarezza che mi rimane nel cuore quando penso alla velocissima evoluzione del Paese negli ultimi anni. Il popolo birmano è abituato a vivere a contatto con la natura, per cui ha molto rispetto, derivato dalla religione buddista. Spero che l’insegnamento di questa religione riesca a renderli capaci di trovare dei modi di svilupparsi preservando l’ambiente. Trascorriamo l’ultima giornata a Ngwesaung in barca, facciamo snorkeling all’isola degli uccelli e alla Long Island. Il fondale è ricco di coralli e vediamo pesci coloratissimi. Sott’acqua tutto scompare, si vedono solo i colori sgargianti dei pesci blu e gialli. La sera a cena torniamo nello stesso ristorante della sera prima (Home Food and Drinks). Il curry è senz’altro la loro specialità. Proviamo anche qui l’insalata di foglie di tè fermentate, l’insalata di avocado, freschissima, dei fried noodle con pollo e verdure e altre specialità a cui aggiungo sempre volentieri del chili fresco o secco. La proprietaria ci ringrazia ancora una volta, con le mani giunte davanti al petto, alla maniera birmana, di avere scelto “la sua casa”, dicendo “Jay-su-ba”, il ringraziamento locale, e sorridendo animatamente. La gratitudine di questo popolo apre il cuore e la mente. Spero di portare con me quella tranquillità e quei sorrisi dei bambini dai volti cosparsi di “Tanaka” (un unguento che protegge la pelle dal sole), questa voglia di accogliere il diverso, lo straniero, vcome ospite (sempre tenendo conto della religione e del colore della pelle). Per certi versi mi sconvolge l’estrema attenzione con cui veniamo trattate, da europee. Kaw Ka Taung Cave, Mahar Saddan Cave, Yae Ta Khon Swimming Pool, Lumbini Budda Garden, Kyauk Ka Lat Pagoda (Chocolat), Ya Thay Pyan Cave, Bat Cave. Scrivo i nomi delle cave buddiste e delle Pagode di Hpa An che visitiamo, per paura di dimenticarli. Hpa An è la capitale dello stato Kayin, altrimenti detto Karen. Per me non vi è molta differenza tra questo e altri posti turistici come Bagan, ma Hpa An è famosa per le prime cave buddiste, che racchiudono luoghi di culto, tempietti e budda dorati, altari nat (spiriti il cui culto è ritenuto pagano) e offerte di ogni tipo. Nelle grotte grondanti acqua, in ombra, dormono i pipistrelli. Al tramonto, dopo aver visitato le caverne, assistiamo allo spettacolo della Bat Cave, la grotta dei pipistrelli. Due uomini producono dei suoni e provocano la fuga dei pipistrelli in stormi dalla caverna. Si dice che qui vivano tre milioni di pipistrelli. Gli stormi iniziano ad uscire in un flusso continuo che dura circa un’ora e sembra una danza su un ritmo creato dall’uomo. Lo spettacolo dura fino al buio quasi totale. Insabbiati di questa terra rossa, ma ricchi negli occhi e nella mente delle immagini di questa giornata, andiamo a cena al Veranda, un locale di training gastronomico e artigianato locale che promuove la formazione del personale locale. Il giardino splendido ci accoglie, il nostro cameriere parla un perfetto inglese, si scusa un po’ per la lentezza ma ringrazia calorosamente quando andiamo via, rivolgendoci grandi sorrisi. A Hpa an vediamo delle commercianti vendere diversi tipi di unguenti, ognuno contro un disturbo diverso, dal mal di testa ai disturbi intestinali. Davanti la Mahar Saddan Cave ci viene offerta una pasta nera, impacchettata in un involucro in plastica monodose. Sul foglietto una spiegazione in birmano sulle proprietà dell’intruglio. E’ il prodotto di una pianta, che viene usato contro malesseri vari, tra cui dolori, insonnia e ansia, consumato sciogliendolo in acqua o puro. La credenza vuole che questa pianta cresca rigogliosa se distribuita tra la popolazione per rimediare ai malanni, ma se un avaro uomo d’affari dovesse farne uso, la terra smetterebbe di farla crescere. I birmani hanno molte credenze animistiche e fatalistiche. Sono tante le cose di questo incredibile Paese che mi sconvolgono o mi sorprendono. Tra queste l’apertura verso il turista, la voglia di comunicare e la semplicità. L’attenzione che noi abbiamo per le cose materiali, qui sparisce. La cosa più importante in assoluto per un birmano sembra essere lo stare bene. Il valore dello star bene con la propria famiglia e la propria cultura sembra superare il valore che si da alla vita stessa. Il viaggio volge al termine e io mi chiedo se per noi europei, cresciuti nell’era del consumismo e del capitalismo, sarà mai possibile una tale purezza di pensiero. Carlotta Bonura FINE DEL REPORTAGE