Smirne la laica. Smirne “gavur”. L’infedele, nella critica bruciante di Recep Tayyip Erdogan che qui, unica grande città turca mai caduta sotto i conservatori islamici, non ha mai vinto un’elezione, si conferma la “bestia nera” dei religiosi più osservanti.
L’altra notte, in pieno Ramadan, al posto dell'”adhan”, la chiamata rituale alla preghiera islamica, diverse moschee del centro hanno diffuso a sorpresa le note di Bella Ciao. Errore? Provocazione? Boicottaggio? Le parole “O partigiano, portami via”, seppure nella versione “Cav Bella” adattata in lingua turca, sono risuonate come una colossale critica al potere, se non un vero e proprio sberleffo. Al punto che, ad adirarsi in maniera formidabile, è stato il portavoce del partito conservatore di ispirazione religiosa, già ministro del leader turco. IL VIDEO DELLA PROTESTA https://media.gedidigital.it/repubblicatv/file/2020/05/21/709791/hls/709791-video-rrtv-1200-210520bellaciaoturchia_master.m3u8 La gente si è poi accorta che la Bella ciao in turco era quella cantata dai Grup Yorum, la band di folk falcidiata il mese scorso dalle morti per sciopero della fame di tre dei suoi elementi, la cantante Helin Bolek, il bassista Ibrahim Gokcek e il chitarrista Mustafa Kocak. I tre si sono lasciati morire dopo 300 giorni di digiuno volontario, per non avere ricevuto dalle autorità rassicurazioni necessarie al loro ritorno ai concerti dopo le accuse di “legami con il terrorismo”. Grup Yorum è una formazione nata nei quartieri popolari di Istanbul che maggiormente avversano il partito al potere, e si professano vicini alle istanze del marxismo. Dopo i funerali dei tre musicisti, dove è stata impedita una forte partecipazione a causa delle precauzioni per la pandemia, anche i loro avvocati sono stati arrestati. I Grup Yorum alla fine dei loro concerti erano soliti terminare la performance in un grande abbraccio con il pubblico, contando tutti insieme Bella ciao in turco. Una canzone cara anche alle guerrigliere curde sia a Kobane, in Siria, sia nel Pkk (il Partito dei lavoratori del Kurdistan, il movimento considerato terrorista, da quarant’anni in lotta con l’esercito di Ankara). E così, l’altra notte, molte mani hanno finito per sostituire la chiamata sacra a rompere il digiuno, con una canzone che, nella versione intonata dalle ribelli curde, porta in Turchia all’arresto e alla prigione. Il caso imperversa su tutti i social. E naturalmente gli oppositori del capo dello Stato, in larga parte residenti nella laica Smirne, città cosmopolita e da sempre governata dal partito repubblicano, rilanciano Bella Ciao in tutto il Paese. La popolazione ha potuto ascoltarla distintamente, visto che pure i turchi in questo periodo si ritrovano in gran parte a casa, per via delle restrizioni del virus che ha pesantemente colpito la Turchia. Le autorità di governo sono intervenute subito. La sezione provinciale della Direzione per gli affari religiosi, istituzione che dipende direttamente dalla Presidenza della Repubblica, parla di sabotaggio, e ha avviato un’indagine interna. E la procura di Smirne ha anch’essa aperto un’inchiesta: non solo sull’episodio ma, come ormai d’uso nella Turchia degli ultimi anni, sui relativi post condivisi nei social, con l’accusa per il reato di “offese ai valori religiosi”, norma capace di portare all’incriminazione e al carcere. Secondo quanto si legge sul suo profilo Twitter, la Direzione per gli affari religiosi ha attaccato la diffusione dell’inno antifascista – e si può intuire con quale sottile intento i detrattori dell’uomo forte in Turchia lo abbiano propagato – parlando di “ignoti che hanno sabotato illegalmente il sistema di appello alla preghiera, denigrando i valori religiosi”. E’ stata poi la volta del portavoce del partito, l’ex ministro Omer Celik, fedelissimo di Erdogan, il quale ha “vigorosamente condannato” l’episodio, affermando che “gli autori di questo atto ripugnante saranno scovati”. Tutti i media governativi si sono accodati nel criticare quanto accaduto a Smirne, chi parlando di “scandalo”, e chi di “attacco vile contro le moschee”. A causa dell’emergenza per la pandemia, i luoghi sacri sono chiusi da mesi in Turchia. Ma presto proprio le moschee, su disposizione del capo dello Stato, saranno le prime a riaprire le porte, ancora prima delle scuole e del calcio. Con un controllo adesso stringente sugli altoparlanti dei minareti. (by Raiawadunia - Marco Ansaldo per REPUBBLICA)