*Scritto da Michele Bollino : UN VACCINO (ANCHE) CONTRO LE DISUGUAGLIANZE . LA METÀ PIÙ POVERA DELLA POPOLAZIONE MONDIALE GUADAGNA L’8% DEL REDDITO GLOBALE, MENTRE L’UN PER CENTO PIÙ RICCO SE NE INTASCA IL 19%. SONO LE CIFRE ALLARMANTI DEL WORLD INEQUALITY REPORT, UN FOCUS SULLE DISPARITÀ SOCIO-ECONOMICHE CHE GALOPPANO.

E MINANO LA DEMOCRAZIA. L’AUMENTO DEL 5-20% DEL DEBITO PUBBLICO NEI PAESI OCCIDENTALI DURANTE LA PANDEMIA RAPPRESENTA UNA VERA BOMBA A OROLOGERIA. Elon Musk costella il cielo di satelliti mentre Mark Zuckerberg crea Meta, un universo virtuale di sua proprietà. Non sono scenari distopici dal futuro, ma la realtà che apre il 2022. Un mondo in cui la pandemia ha accelerato in maniera vertiginosa la crescita delle disuguaglianze e la concentrazione del capitale nelle mani di poche, pochissime persone. E a rischiare, in un mondo così polarizzato, è la stessa democrazia. Il World inequality report2022, lo studio sulle disuguaglianze elaborato dal think tank dell’economista Thomas Piketty, fotografa la situazione. Il 50% più povero della popolazione mondiale guadagna appena l’8% del reddito globale. Al 40% di classe media va il 38%, mentre il 10% più ricco si impossessa del 52% del reddito disponibile. Ma in quest’ultima classe è l’l% più ricco a detenere il livello massimo di ricchezza, con il 19% del reddito globale. La situazione peggiora ulteriormente se, oltre al reddito, si prende in considerazione anche la ricchezza generata da proprietà e asset finanziari. Rifacendo i conti, il patrimonio del 50% più povero della popolazione mondiale crolla al 2% del totale, mentre quello dell’ 1 % più ricco supera il 38%. In altri termini, 2,5 miliardi di persone possono contare su una ricchezza annua media di 2.900 euro, mentre 51 milioni di persone sfiorano un valore medio di 2,8 milioni di euro. LE COSE NON CAMBIANO SE, AL POSTO DEI DATI GLOBALI, SI ISOLANO QUELLI DEI SINGOLI CONTINENTI. «E IMPRESSIONANTE NOTARE – si legge nel report – come la ricchezza posseduta dal 10% più ricco sia compresa tra il 60 e l’80% del totale in tutte le regioni. Questo rivela l’esistenza di un sistema di proprietà privata estremamente gerarchico in tutti i continenti, a prescindere dalle istituzioni politiche presenti o dal livello di sviluppo economico. Il Nord America, il continente più ricco al mondo, è anche quello più diseguale». Risultato simile si ottiene spostando l’attenzione sul 50% più povero della popolazione che, in ogni continente, possiede tra l’I e il 5% della ricchezza disponi-bile: «In tutte le aree del mondo – scrivono gli autori del report – metà della popolazione è esclusa dal pos-sesso del capitale». L’unica eccezione si incontra analizzando i dati della classe media. Se, in tutte le aree del mondo, questa detiene tra il 25 e il 30% della ricchezza, in Europa la percentuale sale al 40%. Il Vecchio continente è l’unica area del pianeta dove il “middle 40%” detiene più ricchezza del 10% più ricco. Un risultato raggiunto grazie all’esistenza di consolidati sistemi di Welfare state che permettono di definire l’Europa come «il continente meno diseguale al mondo». L’importanza dello Stato sociale nel contrasto alle disuguaglianze emerge con chiarezza guardando gli effetti della pandemia. I programmi messi in campo dai Paesi occidentali sono riusciti a sostenere i lavoratori a basso reddito, generando addirittura una diminuzione delle persone in povertà assoluta. Nei Paesi con sistemi sociali meno sviluppati, al contrario, la crisi è stata più dura: secondo il Fondo monetario internazionale, sono oltre 100 milioni le persone precipitate in uno stato di povertà assoluta per colpa del Covid-19. Gli interventi statali sono quindi riusciti a contrastare la povertà, ma non hanno avuto lo stesso successo nel frenare la crescita delle disuguaglianze. Diversi studi citati nel rapporto, infatti, mostrano come la pandemia abbia colpito in maniera molto diversa persone con redditi differenti. Negli Stati Uniti, ad esempio, nell’aprile 2020 il tasso di occupazione è crollato del 37% per i lavoratori con i salari più bassi e del 14% per quelli con i salari più alti. Allo stesso modo, durante la pandemia le classi benestanti hanno aumentato i propri risparmi, mentre tra le classi più povere sono aumentati i livelli di indebitamento. Ma gli stimoli economici messi in campo durante la pandemia hanno avuto anche un altro effetto: l’aumento del debito pubblico e la definitiva scomparsa del capitale pubblico. Se, all’inizio degli anni 80, igoverni occidentali possedevano, attraverso imprese, infrastrutture ed altri asset, il 15-30% della ricchezza complessiva accumulata nei loro Paesi, nel 2020 questa percentuale è scesa vicino allo zero, con picchi negativi in Usa e Regno Unito. L’aumento del 5-20% dei debiti pubblici nei Paesi occidentali rappresenta una vera bomba a orologeria: «In un modo o nell’altro – scrivono gli autori del report – questo debito andrà ripagato. E i governi potrebbero essere nuovamente tentati da un mix di austerity e tassazione regressiva». Misure già messe in campo dopo la crisi economica del 2008 e che hanno dimostrato di «colpire in maniera sproporzionata le classi con i redditi più bassi». Stati con debiti pubblici più alti vuol dire governi inca-paci di mettere in campo quelle misure di welfare necessarie per contrastare la crescita delle disuguaglianze. Ma non solo. L’azzeramento del capitale pubblico costringe i governi a finanziarsi esclusivamente attraverso i mercati finanziari. Così, il peso degli investitori stranieri aumenta in maniera sproporzionata, riducendo l’autonomia e la capacità di scelta delle democrazie. Ma se i governi arretrano, qualcun altro avanza. E la classe dei “multimiliardari globali”, un gruppo ristrettissimo di persone sempre più influenti nelle vite di tutti. Per comprendere il loro potere, basta guardare alla velocità con la quale crescono le loro fortune. Negli ultimi 25 anni, il 50% più povero, il 40% di classe media e il 10% più ricco hanno incrementato i propri patrimoni rispettivamente del 3,7, 3,8 e 3%. Se si isola lo 0,01% più ricco, il tasso di crescita arriva però al 5%, che sale a 5,9% per lo 0,001%. Ma il dato tocca il livello più alto analizzando la crescita dello 0,000001% più ricco, ovvero quello dei 52 multimiliardari globali più ricchi, che hanno visto aumentare del 9,3% annuo i propri patrimoni. Un trend che non si è fermato con la pandemia che, anzi, ha visto toccare nuovi livelli record, con una crescita superiore all’ 11%. Non c’è quindi da stupirsi se la Nasa, una delle agenzie che riceve più finanziamenti dal governo Usa, si sia trovata con problemi di budget e abbia dovuto chiedere a Elon Musk di utilizzare la sua navicella Space-X per portare i propri astronauti sulla Stazione spaziale Internazionale. E lo stesso patron di Tesla è pronto a lanciare il suo progetto più ambizioso: Starlink, una galassia di oltre 1.600 satelliti che punta ad assicurare connessione 5G in ogni angolo del globo. Fatturato previsto: oltre 30 miliardi di dollari l’anno. Ma Elon Musk non è l’unico multimilionario che tratta alla pari con i governi dei Paesi più importanti del pianeta. La Bill & Melinda Gates foundation, da anni una delle Ong più attive in Africa, siede ai tavoli con istituzioni come Oms e Banca mondiale. Lo scopo dichiarato della fondazione è la filantropia, che gli assicura ingenti sgravi fiscali, ma anche la creazione e l’apertura di nuovi mercati. C’è poi Mark Zuckerberg che, grazie a Facebook, gestisce i dati personali di circa 2,9 miliardi di utenti, pari al 35% della popolazione globale. Dati che, come dimostrato dallo scandalo Cambridge analytica, posso essere utilizzati per indirizzare l’opinione pubblica e manipolare campagne elettorali. Non solo: sul proprio social network Zuckerberg ha il potere di censurare chi vuole. Anche il presidente de-gli Stati Uniti, come fatto con Donald Trump durante l’assalto a Capitol Hill dello scorso anno. Alla lista dei multimilionari globali si aggiungono poi i signori della logistica, vero cuore pulsante del capitalismo dei servizi, e gli oligarchi che controllano le materie prime, vecchie e nuove. Un quadro che ha portato diversi osservatori, come Noam Chomsky, a parlare di “sistema neo-feudale”. «Ma la lotta alle disuguaglianze si può vincere – rassicurano gli autori del report -. GLI STRUMENTI CI SONO, È UNA QUESTIONE DI SCELTE POLITICHE». SCELTE CHE, SPERIAMO, SAREMO ANCORA IN GRADO DI PRENDERE

*( Michele Bollino è giornalista dell’agenzia di stampa Dire) - la foto è  presa da internet