TRIBUNALE DI BRINDISI: ASSEGNO SOCIALE AL CITTADINO EXTRACOMUNITARIO ANCHE SENZA PERMESSO DI SOGGIORNO DI LUNGO PERIODO Con la sentenza n. 295/2012 depositata il 24 gennaio scorso, il Tribunale di Brindisi, sez. lavoro, ha accolto il ricorso presentato da un cittadino extracomunitario, avverso il diniego dell’INPS a riconoscergli il diritto all’assegno sociale, prestazione spettante alle persone ultrasessantacinquenni residenti in Italia ed in condizione di disagio economico

ai sensi di quanto previsto dall’art. 3 della legge 8.8.1995, n. 335. L’INPS aveva opposto la mancanza del requisito del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti introdotto dall’art. 80 c. 19 della legge n. 388/2000. Per il giudice del lavoro di Brindisi, la norma citata facente riferimento al requisito del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti deve essere interpretata in senso costituzionalmente orientato, alla luce delle sentenze con le quali la Corte Costituzionale l’ ha giudicata in contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost. . Il giudice di Brindisi, in particolare, ricorda quanto affermato nella sentenza della Corte Cost. n. 187/2010 secondo cui non è ammissibile discriminare i cittadini stranieri legalmente soggiornanti nella fruizione di prestazioni volte a fornire alla persona un minimo di sostentamento, atto ad assicurarne la sopravvivenza, in quanto tali prestazioni vengono per loro natura e finalità essenziali a soddisfare il godimento di diritti fondamentali della persona e come tali, spettanti a tutti. Ne consegue che ogni distinzione fondata sulla nazionalità nell’accesso a prestazioni sociali aventi tali caratteristiche finirebbe per contrastare con il principio di non discriminazione di cui all’art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (Corte Cost., sentenze n. 306/2008, 11/2009, ordinanza n. 285/2009, sentenza n. 187/2010). (Fonte: ASGI)

POSTE ITALIANE VENDE LE SUE CASE MA SONO VIETATE AGLI IMMIGRATI

MILANO – Poste italiane mette all’asta le sue case: per tutti ma non per gli immigrati. E questa è la prima notizia. La seconda notizia è che gli stessi stranieri ai quali è negata la possibilità di acquistare un immobile sono in realtà per l’azienda di Stato una specie di pozzo di San Patrizio: o comunque un ottimo cliente, visto che — grazie alla pratica del rinnovo dei permessi di soggiorno — le fanno guadagnare 12,5 milioni all’anno. Il paradosso è contenuto nel disciplinare di gara adottato da Poste italiane (reperibile alla pagina web del sito www.poste.it 1): il portale fornisce «informazioni e modalità sugli alloggi patrimoniali messi in vendita» dall’azienda guidata da Massimo Sarmi. Assieme alla pubblicazione degli avvisi per la cessione di 22 alloggi in una decina di comuni (Brescia, Bologna, Catanzaro, Novara, Milano, Ferrara, Padova, Vercelli, Verona) al punto 3 del regolamento che determina l’aggiudicazione è stabilito che coloro che intendono concorrere all’acquisto di un alloggio devono produrre il certificato di cittadinanza (italiana). In particolare — e sta qui il nodo della questione — si fa riferimento — per altro in modo improprio — “alle norme vigenti per non incorrere nella decadenza dal diritto all’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica…”. In sostanza Poste spiegano che “… i soggetti che hanno diritto all’acquisto… sono a) Persone fisiche in possesso dei requisiti previsti” da tali norme, “ed in particolare: cittadinanza italiana…”. Quando la Cgil di Brescia (attraverso la fondazione Guido Piccini per i diritti dell’uomo) e l’Asgi (associazione studi giuridici sull’immigrazione) leggendo il regolamento del bando pubblico di Poste hanno scoperto che dalla vendita sono tagliati fuori proprio gli immigrati (comunitari e extracomunitari), sono sobbalzati. E hanno presentato una doppia denuncia parlando di «atto discriminatorio»: una a Poste italiane per chiedere di rivedere il disciplinare e modificarlo. L’altra all’ufficio nazionale anti-discriminazioni presso la Presidenza del consiglio dei ministri-dipartimento per le Pari opportunità. (Fonte: La Repubblica)

A NAPOLI NASCONO LE “IMPRESE DI COMUNITÀ” FORMATE DA FAMIGLIE DATRICI DI LAVORO DI COLF E BADANTI STRANIERE.

Un progetto del Comune di Napoli con Italia Lavoro nell’ambito del Piano sociale di zona. “Imprese di comunità” formate da famiglie che usufruiscono del lavoro di cura degli immigrati. È il progetto promosso dall’Assessorato alle politiche sociali e l’immigrazione del Comune di Napoli e che verrà approvato nell’ambito del Piano sociale di zona. L’iniziativa si integra con un progetto di Italia Lavoro S.p.A. che prevede la riqualificazione di colf e badanti stranieri e il finanziamento degli oneri contributivi necessari a regolarizzarli su tutto il territorio della regione Campania. “Si tratta di un programma – spiega l’assessore Sergio D’Angelo – per la creazione e la promozione di imprese di comunità formate da famiglie, datrici di lavoro di colf e badanti immigrati, al fine di favorire l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro”. Le imprese autogestiranno la selezione, la reperibilità, le ferie e le sostituzioni di colf e badanti e ne promuoveranno la formazione e riqualificazione professionale. Una funzione importante attesa dal progetto è l’emersione del lavoro nero, potranno infatti partecipare anche le famiglie che già usufruiscono del lavoro di cura di un collaboratore migrante senza averlo ancora regolarizzato. Il progetto verrà implementato con la creazione iniziale di 10 imprese di comunità, una per ogni municipalità della città di Napoli: verrà bandito un avviso pubblico per selezionare 10 associazioni, una per municipalità, che svolgeranno il ruolo di tutor delle imprese sociali. Si conta di coinvolgere circa mille famiglie e altrettanti migranti grazie a una grande campagna di comunicazione. Il Comune di Napoli si impegnerà nel progetto con un finanziamento di 500 mila euro che coprirà le spese della creazione e della gestione del servizio delle imprese di comunità, la formazione delle famiglie e parte della riqualificazione professionale di colf e badanti. Italia Lavoro finanzierà il progetto con 2 milioni di euro destinati a cofinanziare con il Comune di Napoli la formazione di colf e badanti e a finanziare per il primo anno gli oneri contributivi necessari a regolarizzare i migranti. (Red.)

EXTRABANCA CONDANNATA PER DISCRIMINAZIONE VERSO UN DIPENDENTE SENEGALESE. IL PRESIDENTE ORLANDINI AVEVA AFFERMATO “ZINGARI E MUSULMANI VOGLIONO ROVINARE

MILANO”. La Banca: “provvedimento ingiusto e sommario”, “non coerente con le risultanze acquisite in giudizio”. Il Tribunale del lavoro di Milano ha condannato Extrabanca per comportamenti discriminatori. Secondo il giudice Fabrizio Scarzella, l’istituto di credito nato specificatamente per gli immigrati, ha tenuto nei confronti di un dipendente senegalese “comportamenti illeciti”. Dalla sentenza emerge infatti che il presidente di Extrabanca, Andrea Orlandini, ha cercato di dissuadere il dipendente dal candidarsi alle elezioni comunali accomunandolo “agli zingari e ai musulmani che vogliono rovinare Milano”, sostenendo che lui e un suo collega erano “due negri africani” che stavano “creando troppi problemi”, che “avere troppi negri non poteva giovare alla banca” e che era pertanto meglio assumere “una persona con un colore più chiaro”. Il giudice – che ha accolto il ricorso del dipendente, assistito dagli avvocati Alberto Guariso e Livio Neri – richiama nella sua sentenza una norma del decreto legislativo 215 del 2003 sulle cosiddette “molestie razziali” sui luoghi di lavoro. Norma che, a detta dei due difensori, viene applicata molto di rado in sede civile. La norma “riguarda ogni condotta umana concretamente idonea a violare la dignità della persona per ragioni razziali o etniche creando un clima intimidatorio o umiliante o offensivo nell’ambiente lavorativo”. Il magistrato spiega anche che non è ovviamente “dirimente” per questa causa di lavoro il fatto che Extrabanca, fondata circa 2 anni fa, abbia una “specifica e speciale connotazione razziale”, ossia si occupi soprattutto degli stranieri. È “circostanza – chiarisce il giudice – sicuramente apprezzabile dal punto di vista sociale” ma “inidonea ad escludere o attenuare la gravità della eventuale commissione di condotte illecite, anche a sfondo razziale”. Oltre al presidente Orlandini, l’ordinanza cita un altro dirigente della banca che disse al lavoratore “gli stranieri pretendono troppo”. Tutti comportamenti che il Tribunale considera “molestie” a “sfondo razziale” che violano la “dignità personale” degli “stranieri presenti in azienda”. Condotte che, per il giudice, sono riconducibili alla stessa “azienda”. Il magistrato ha dunque ordinato a Extrabanca “l’immediata cessazione dei descritti comportamenti illeciti anche attraverso la diramazione e l’affissione, presso la sede di Milano, entro il 2 aprile 2012, di un comunicato” con il dispositivo della sentenza. Nello stesso comunicato, l’azienda – impone il giudice – dovrà invitare il personale ad “astenersi” nei rapporti di lavoro da “espressioni volgari od offensive a sfondo razziale”. Infine, un risarcimento di 5mila euro è andato al dipendente insultato. Una nota dell’istituto di credito definisce la sentenza “trattata dal Giudice in modo sommario, anche in ragione del rito adottato, ma manifestamente non coerente con le risultanze acquisite al giudizio”. Per la Banca “un’accusa di discriminazione è addirittura surreale, tanto più che inutilmente la stessa ha chiesto che venissero ascoltati tutti i dipendenti”. L’Istituto annuncia che “il provvedimento sarà immediatamente appellato in quanto del tutto ingiusto”, e che ha dato mandato ai propri legali di assumere ogni iniziativa a tutela della propria reputazione, e di svolgere ogni azione, anche risarcitoria, verso chi ha creato e diffuso affermazioni non vere. “Il Presidente di Extrabanca – si legge nella nota – è stato accusato, per esempio, di aver scoraggiato la candidatura del dipendente alle elezioni comunali: ebbene è provato da fatti oggettivi e risulta dagli atti di causa che il Presidente non solo gli ha dato il proprio voto, ma ne ha attivamente appoggiato la candidatura e suggerito a più persone di votarlo. Extrabanca è sicura che il Giudice di appello, cui si rivolgerà immediatamente, ribalterà un giudizio ingiusto”. (Red.)

PROLUNGARE LA DURATA DEI PERMESSI PER RICERCA LAVORO E DIMINUIRE I NUOVI FLUSSI DI INGRESSO: SONO LE LINEE DEL GOVERNO PER FRONTEGGIARE LA DISOCCUPAZIONE DEI LAVORATORI EXTRACOMUNITARI.

Gli indirizzi sono contenuti nel documento di riforma del mercato del lavoro approvato dal Consiglio dei ministri. Prolungare la durata del permesso di soggiorno per ricerca lavoro e sospendere i nuovi flussi di ingresso. Sono queste le indicazioni contenute nel documento “La riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita” approvato venerdì scorso nel Consiglio dei ministri su proposta del ministro del Lavoro e Politiche sociali Elsa Fornero. Il documento, nel capitolo 9, affronta in modo specifico “Gli interventi volti al contrasto del lavoro irregolare degli immigrati”. Si legge: “Per evitare che la crisi economica determini l’irregolarità dei lavoratori stranieri che abbiano perso il posto di lavoro, occorre adottare misure che ne facilitino il reinserimento nel mercato, favorendo l’offerta che provenga dal bacino di immigrati già all’interno del Paese piuttosto che ricorrendo a nuovi flussi dall’estero. Pertanto, la perdita del posto di lavoro non può comportare la revoca del permesso di soggiorno del lavoratore extracomunitario e dei suoi familiari, ma occorre prolungare il periodo in cui lavoratore può essere iscritto nelle liste di collocamento, estendendolo anche a tutto il periodo in cui sia ammesso a una prestazione per disoccupazione. In tal senso, si intende intervenire nel concerto con il Ministero dell’interno”. Queste linee del Governo, come più volte annunciato, non dovrebbero però aver luogo con il documento di riforma del lavoro che verrà presentato al Parlamento con disegno di legge, seguendo un iter normale e con possibile modifiche, ma confluire nel più articolato disegno di legge di riforma della normativa sui permessi di soggiorno già annunciata dai ministri Cancellieri e Riccardi. (Al. Col.)