che avesse a che fare con la bellissima isola che si affaccia sul Mediterraneo. Un onore e un privilegio per il sottoscritto considerando quanto di affettuoso e personale c’è in questo cuore nei confronti dei siciliani e di una regione che è vanto e orgoglio per l’intera nostra Nazione. Vero è che in certe occasioni, come questa, è impossibile esimersi dal non menzionare una vicenda che più che coinvolgere un solo personaggio ha attirato a se l’attenzione di gran parte dell’opinione pubblica mondiale. Non uno dunque, non noti o famosi, ma 81 martiri che proprio oggi, 27 giugno di 35 anni fa, scomparvero nei cieli di Palermo insieme al loro mezzo di trasporto; un velivolo civile della compagnia ITAVIA. Ormai la storia è risaputa. Sono le ore 21:00 circa, quando dai monitor della torre di controllo di Ciampino, sul punto di coordinate 39°43’N e 12°55’E, scompare dalla schermo il DC9 I-TIGI della piccola compagnia italiana, in volo da Bologna a Palermo con a bordo 81 persone, di cui 78 passeggeri e 3 uomini dell’equipaggio. Il controllore di turno cerca di ristabilire il contatto con il pilota dell’aeromobile: lo chiama disperatamente una, due, tre volte, ma a rispondergli solo un silenzio di morte. Da quella tragica sera a oggi resta ancora un grande mistero. Processi, udienze, indagati e assoluzioni. In quel periodo i due grandi blocchi; il patto di Varsavia facente capo a Mosca e la Nato sotto l’egida di Washington, vivono il peggior momento di crisi internazionale della Guerra fredda.
Il dittatore libico Gheddafi è nel centro del mirino da parte degli americani e in quei giorni che precedono la tragedia c’è fermento nello spazio aereo a sud dello Stivale. Portaerei Usa come la Saratoga e navi francesi come la Clemenceau solcano i mari in stato d’allerta, caccia militari pronti al decollo e la nostra aviazione è costantemente attiva per ogni evenienza. Si parlò di un ordigno a bordo, di un cedimento strutturale e di tante fandonie che servirono solo a dare qualcosa in pasto ai mass media. Tutti gli indagati furono assolti, nessuno si prese la briga di addossare colpe agli alleati anche se, la Commissione Stragi di Gualtieri e l’On Francesco Cossiga, in linea di massimo, ammisero tra le righe le gravi responsabilità di un errore tecnico e umano che si è compiuto in quegli attimi su Ustica. Uno scontro aereo franco-libico, un missile sganciato e un obiettivo erroneamente confuso. Questa, in sintesi, la realtà dei fatti. In quell’affollamento nei radar ed in quello stato di fragilità emotiva che probabilmente ha coinvolto gli addetti ai lavori, si voleva colpire un Mig appartenente alle armate di Tripoli. A bordo forse il “colonnello” in persona, oppure semplicemente un pericolo mal interpretato. Sta di fatto che la tragica sorte in quei cieli non ha risparmiato l’aereo diretto nel capoluogo Siciliano, il quale tutto trasportava tranne un pericolo per la sicurezza internazionale. 81 povere anime entrate – loro malgrado – in un contesto che non gli ha lasciato scampo, in un periodo di tensione altissima e di errori umani senza precedenti. La verità è sotto gli occhi di tutti. Quei poveri connazionali sono entrati nel mirino non di un solo aereo, non di un solo missile o di un caccia Nato ma di qualcosa di più grosso. Affermare o confermare la realtà delle cose può ovviamente diventare scomoda, poiché accettare l’idea che quell’aereo civile è stato abbattuto dal cosiddetto “fuoco amico” poteva e potrebbe tutt’oggi creare un forte imbarazzo soprattutto a livello diplomatico. Lo Stato italiano chiude la delicata questione con 100 milioni di euro di risarcimento e uno “scusate”, ma che non porta indietro naturalmente le vittime. Che dire e che fare allora? L’unica cosa giusta. Oggi più che mai dedicare un minuto di silenzio e di preghiera a quelle anime innocenti che, in una serata d’inizio estate, lasciarono ogni speranza sopra ai cieli della nostra amata Sicilia. (Mirko Crocoli)