amano la giustizia ed una società migliore. Il personaggio di oggi è virtuale, è lo Stato che in tutti questi anni è stato fatto segno agli attacchi della mafia e della malavita. E’ la infinita guerra tra lo Stato e la mafia, che ha fatto diecine di morti non solo attentando alla sicurezza dello stesso, ma mietendo vittime illustri, colpevoli di avere consacrato la propria vita a servire l’idea di uno Stato dove la giustizia e l’eguaglianza fossero pilastri portanti.
E’ questa idea di Stato portata avanti e difesa in questi ultimi novanta anni, che ha visto cadere diecine di servitori fedeli, che oggi si vuole ricordare senza togliere niente a nessuno, ma riportando un lungo periodo nel quale si è svolta e continua a svolgersi una guerra infinita tra Stato e malavita organizzata all’attenzione dei lettori, non solo per non dimenticare, ma anche per emulare e puntare diritti alla meta: la vittoria dello Stato sulla mafia, l’affermazione della giustizia sul malaffare. In questo, ci troviamo d’accordo con Mirko, che vogliamo qui ringraziare per la importante rievocazione che offre alla nostra riflessione affermando il nostro modello di Stato. Onore a tutti coloro che in vario modo hanno sacrificato e sacrificano la loro vita in difesa di questa idea dello Stato. (SA)
Dal tenente Joe Petrosino al Procuratore Paolo Borsellino, solo nel secolo scorso oltre 200 le vittime tra le istituzioni e la società civile ad opera della Mafia. Senza considerare quelle appartenute (migliaia) allo stesso crimine organizzato. Durante gli 83 anni trascorsi tra la morte dello “sbirro” venuto da New York (1909) e quella del magistrato “più giovane” d’Italia (1992) è accaduto un po’ tutto, forse troppo. Due guerre, il ventennio fascista e la dura sfida del prefetto Mori, l’anticomunismo isolano post bellico, la banda Salvatore Giuliano, la ricostruzione edilizia, il “sacco” di Palermo, il boom degli anni Ottanta e l’ascesa dei “viddani”; i Corleonesi. Portella della Ginestra, Ciaculli, Capaci e Via d’Amelio, stragi senza mandanti, così come i singoli (si fa per dire) attentati a Giuseppe Russo, Boris Giuliano, Cesare Terranova, Lenin Mancuso, Emanuele Basile, Gaetano Costa, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Rocco Chinnici, Giuseppe Montana, Ninni Cassarà, Rosario Livatino, Antonio Scopelliti e…una lunga e tristemente nota lista senza fine. La “mano nera”, rurale e latifondista di un tempo, si trasforma grazie agli Americani di Charles Poletti, alla “restaurazione” voluta per lo Sbarco in Sicilia e all’avvento della DC “palermitana” (quella di Lima, Ciancimino e Gioia) nella grande piovra denominata Cosa nostra. E poi…oltre al racket, all’abusivismo selvaggio e al controllo degli assessorati ai lavori pubblici arriva il redditizio traffico internazionale di stupefacenti, quello che ha visto coinvolte le nostre “famiglie” con le cosche emigrate oltreoceano. La rete si allarga a tutti i continenti e l’affare Pizza Connection (uno dei tanti) ne è la riprova, così come i fitti collegamenti con il potente clan italo-canadese dei Cuntrera-Caruana. I Gambino, i Genovese, i Bonanno, i Lucchese e i Colombo, in stretto contatto dapprima con il boia di Peppino Impastato, lo “Zio” Tano Badalamenti di Cinisi, i vari clan cittadini dei Bontade-Inzerillo-Riccobono e poi, con le “belve” di Corleone capitanate dal Luciano Liggio, soprannominato la Primula rossa, seguito di gran carriera dai suoi fedelissimi “picciotti”; Riina, Bagarella e Provenzano. Ed è proprio un soldato di Vito Genovese di nome Joe Valachi che, negli Usa, rende pubblico per la prima volta davanti alla commissione McLellan il termine (Cosa nostra), oramai diffusissimo e che tutti oggi conosciamo. Mano nera, mafia, onorata società, ma in realtà è una “Cosa loro”, è sempre stata una questione di business che spesso si è ben integrato con i nostri cari politici, governanti locali e qualche cellula deviata delle nostre istituzioni. Non a caso è lo stesso Borsellino che conia la famosa teoria che afferma, con cognizione di causa, che: “Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”.
Naturalmente, per chi non si è voluto inginocchiare ai diktat di questo tacito accordo, ha pagato in prima persona e nella maniera più brutale. Tra questi (magistrati e uomini delle forze dell’ordine a parte), anche gli “eletti” non in linea con le direttive della “Cupola”, come Piersanti Mattarella, fratello dell’attuale inquilino del Quirinale o il segretario PCI Pio La Torre. Nemmeno la cosiddetta società civile è rimasta immune agli attacchi, Carmine Pecorelli ad esempio, o i temerari giornalisti dell’indimenticabile quotidiano L’ORA; Cosimo Cristina, Mauro De Mauro e Giovanni Spampinato. Forse quel titolone in prima pagina “PERICOLOSO”…con sotto l’immagine spavalda di Liggio non ha lasciato scampo, ne a loro ne alla testata palermitana che poi è andata a perire in una lenta agonia. Tanti i morti ammazzati tra gli uomini dello Stato (quello SANO), crivellati nei vicoli e nelle piazze di una delle città più belle del mondo, nell’isola che è una vera “perla” del Mediterraneo e in una regione che - artisticamente - fuori confine ce la invidiano tutti. Dalla doppietta, alla lupara bianca, passando per gli Ak-47 Kalashnikov fino al T4, TNT e tutta una serie di esplosivi che, a Capaci così come in Via Mariano d’Amelio hanno lasciato “sul campo” uomini di altissima levatura professionale ma soprattutto morale. L’ultimo dei più grandi è lui, Paolo Borsellino, a cui oggi l’Italia intera gli dedica una preghiera, un elogio, un ricordo e lo commemora con estremo rispetto in ogni luogo della nostra Penisola. (Mirko Crocoli)