Ma chi è realmente un Padrino, cosa passa per la testa di un uomo così autorevole. Hanno eserciti di migliaia di seguaci, detengono una supremazia assoluta, godono di un alone di mistero a metà tra il diabolico e il mistico. Sono temuti e rispettati come Santi in terra, si fanno chiamare “Don”, “Boss”, “Mammasantissima” o “Capibastone”. I loro summit segreti denominati Commissione o Cupola, poco inferiori per potere economico, militare ed influenza sociale ai G8 e G20, sono passati alla storia della criminalità organizzata moderna. L’Havana Conference, l’Hotel Delle Palme di Palermo o la gigantesca reunion di Apalachin del 1957 (poi scoperta in fragranza dall’FBI) hanno mostrato l’evidente ramificazione del comparto mafioso in ogni luogo del pianeta. Il loro consenso è accresciuto tramite l’arma più efficace; l’omertà, il silenzio, il riserbo più assoluto. In molti casi hanno preso loro stessi il posto dei veri governanti, là dove, nelle aeree più disagiate e meno abbienti, lo Stato era praticamente assente e/o compiacente. 40, 50, 100 mila voti in mano, e i politicanti diventano schiavi di questi Lord. Regni, piccoli feudi, vere e proprie roccaforti indissolubili dove quel Sindaco, consigliere o assessore appare totalmente in balia del loro “sacro” comando. Sappiamo tanto delle gesta ma poco sui loro intimi pensieri. Dopo il fenomeno del pentitismo conosciamo maggiori dettagli rispetto agli anni Settanta. Joe Valachi, soldato della famiglia italoamericana Genovese, comincia a parlare con gli inquirenti e annuncia clamorosamente al mondo il nome dell’organizzazione: si chiama Cosa Nostra. Poi è il turno di “Don Masino Buscetta”, il boss dei due mondi, che, nei primi anni Ottanta, si apre con Falcone e snocciola, come un Virgilio al suo Dante, tutti i particolari della struttura: attività, territori, mandamenti, generalità, intrighi, dettagli, gerarchia e principali fatti delle cosche Italo-Usa. A catena e a seguire il tradimento diventa per molti gregari, affiliati, capodecina (o caporegime) e soldati, l’arma perfetta per salvacondotti e aiuti da strappare con l’inganno alla magistratura. Valachi è una piccola pedina, Buscetta siede ai piani alti ma non al vertice, e tutti gli altri, anche se uomini d’onore sono solo strumenti nelle mani di un capo supremo che impartisce ordini. Ora sappiamo molte più cose sulla holding, questioni però tecniche e attinenti ai fatti, ma non la più importante; cosa realmente passa per la testa di questi “Signori”. Impossibile saperlo dalla bocca ben cucita dei siciliani Liggio, Riina e Provenzano o dagli altri Padrini che, negli anni d’oro, erano dislocati al sud. Perché, a parte quella sicula (che non è l’unica e sola) c’è poi la Ndrangheta, la Sacra Corona Unita e - nell’area Campana - la Camorra.
Ed è proprio quando si parla di Camorra, o di NCO (Nuova Camorra Organizzata) che non si può fare a meno di pensare a lui, al più grande di tutti, a Raffaele Cutolo di Ottaviano, al Don per eccellenza, detto Vangelo, Sommo o meglio ancora, per il suo stile e la passione per la letteratura “O Professore”. Era il 1984, quando, il buon cronista d’assalto (conosciuto ai siciliani) Giuseppe Marrazzo pubblicava in prima edizione il “Camorrista – Vita segreta di Don Raffaele Cutolo”, a tutt’oggi ancora l’unico vero diario sui profondi pensieri di un Padrino. Una pietra miliare (edito in seconda ed. nel 2005 e in terza nel 2008) per gli appassionati e gli studiosi dell’argomento, ispirazione assoluta per Giuseppe Tornatore, nostro illustre conterraneo, Premio Oscar, nato a Bagheria il 27 maggio 1956. E’ proprio il noto regista che, stimolato da questo straordinario racconto, l’anno seguente darà alla luce l’omonimo lungometraggio, considerato il suo trampolino di lancio verso il successo.
Un inteso carteggio ricco di segreti, particolari, aneddoti personali, debolezze e crudeltà, ma anche un concentrato travolgente di sentimenti ed emozioni che fanno chiarezza su molti aspetti, soprattutto su ciò che passa nella mente visionaria di un uomo considerato il Messia. Il Professore era riuscito a concentrare a se un potere così grande, principalmente tra la povera gente e tra i galeotti, da far paura perfino alle istituzioni. “Per i miei seguaci, sono diventato un re, un santo protettore, un presidente della Repubblica, un mito. Le mie gesta, la mia vita sono state reinventate dalla fantasia del popolo fino a trasformarmi in una leggenda, in una divinità”. Si servirono di lui (politici e servizi segreti) durante il Caso del rapimento Cirillo. Aveva gran parte degli amministratori campani a libro paga e i penitenziari, divenuti la sua babele, fonte inesauribile per il reclutamento in massa nella sua NCO. Il carisma è la sua incredibile forza e la sua vita degna delle migliori sceneggiature. Nasce da una famiglia poverissima nel 1941, figlio di un contadino e di madre casalinga, nelle campagne di Ottaviano. Entra da giovanissimo a Poggioreale, quartier generale per gran parte della sua carriera, ed è proprio lì che, dispensando consigli, regali e vicinanza ai poveri “cristi”, accresce in maniera esponenziale il suo enorme consenso. Acquista il Castello de’ Medici di Ottaviano, con 365 stanze, una per ogni giorno dell’anno, da dove la sorella Rosetta, gestisce, controlla e impartisce gli ordini da lui emanati. Ama leggere ma soprattutto scrivere e, proprio tramite questa suprema arte, in un mondo di analfabeti come all’epoca erano i carceri partenopei, è riuscito a creare un esercito di quasi 5 mila uomini; ossequiosi, devoti e pronti alla morte.
“La grafomania è stata una delle forze principali della mia penetrazione nel mondo carcerario ed anche della mia affermazione. Grazie alla scrittura, avevo stretto contatti con detenuti di tutti i bracci…..”
Un via vai continuo ed incessante, dal suo parlatorio al braccio “Milano”; da Ascoli Piceno fino al Castello in mano a Rosetta. Favori e aiuti d’ogni genere, fino a quelli più elementari; vestiti, saponette, orologi, vestaglie e beni di prima necessità. Ma il “Vangelo” di Ottaviano con fare astuto e pragmatico aveva le idee molto chiare; trasformare la micro criminalità regionale, ormai allo sbando, in una vera e propria macchina da guerra, un commando criminale dei più oliati e perfetti: “Gli avrei trasformato la Campania in una roccaforte retta dalla Camorra, infiltrata in tutti i centri vitali, una Camorra ricca, potente, temuta”.
Stringe rapporti con la mafia italoamericana tramite la famiglia newyorkese dei Gambino, entra nella “Milano da Bere” con il Boss lombardo Francis Turatello (acerrimo nemico di Vallanzasca), fornisce di droga la capitale in mano alla banda della Magliana grazie al suo fiduciario Nicolino Selis, si avvale dell’appoggio solidale dei colleghi della Ndrangheta e - all’apice del successo - la sua NCO fattura miliardi di dollari. E’ grande mediatore tra lo Stato italiano e le Brigate Rosse di Curcio e company durante il sequestro Cirillo in cambio di un benestare che non è mari arrivato. Sandro Pertini lo confina nel nostro Alcatraz, il bunker sito sull’isola dell’Asinara e l’aria di tradimento comincia a farsi sentire. Ormai in completo isolamento il suo folto gruppo perde colpi e soprattutto – cosa ben più importante- cede terreno all’opposta fazione dei Bardellino/Nuvoletta in quella che in gergo viene chiamata la “prima guerra di Camorra”. La grande parabola è in fase discendente e il Boss viene inesorabilmente abbandonato in regime di 41 bis. Il suo modo di pensare è “romantico” per taluni aspetti, riflessivo per altri… “Ci sono momenti in cui un uomo si sente profondamente solo di fronte al suo destino”, ma, come si addice a un vero Padrino, anche determinato e intransigente.
In queste parole lasciateci trent’anni fa dal buon cronista salernitano, ecco le due facce della stessa persona, il Robin Hood: “Io il denaro lo tolgo a chi in qualche modo lo ruba, agli sfruttatori, ai prepotenti, agli usurpatori. Non taglieggio l’artigiano o il piccolo commerciante. Ho sempre impedito ai miei di farlo e se qualcuno ha sgarrato, è stato punito, qualche volta anche in maniera molto severa. I nostri sono una specie di sequestri rivoluzionari. I terroristi l’hanno forse imparato dalla Camorra”. ..
Lo spietato “Reggente”: “Quando non si arriva a convincerli con i Rolex d’oro, si interviene con la P38. Sono due mezzi parimenti efficaci, dipende dal carattere degli uomini da domare”.
Ora, Don Raffaele Cutolo, “Il Professore”, alla veneranda età di 74 anni (compiuti poche settimane fa) gran parte del quali trascorsi in cella, è rinchiuso nel suo silenzio assordante in uno dei tanti penitenziari a regime di carcere duro… ma le pagine del diario romanzato da Marrazzo, sono l’unica cosa che ci resta per approfondire, capire e addentrarci nella complicatissima testa di un uomo che tutti chiamavano: “BOSS”! (Mirko Crocoli)