In passato il matrimonio era combinato e le famiglie si accordavano sulle nuove relazioni in base a ragioni che non c’entravano nulla con quelle sentimentali. Contava infatti solo la convenienza sociale ed un vantaggio economico,
da raggiungere a tutti i costi. Addirittura nelle grandi città c’era il “paraninfu” o “u sinsali” (il paraninfo o sensale) che si occupava, a pagamento, di raggiungere tali accordi. L’età giusta per il matrimonio era: uomo di 28 anni e donna di 18, come ricorda un famoso proverbio siciliano: “Vintottu anni voli aviri l’omu, diciottu idda, è matrimoniu bonu“. L’uomo “schiettu” (scapolo) aveva più difficoltà, per ragioni economiche, a trovare moglie, anche perché doveva mettere soldi da parte e a volte dare la precedenza alle proprie sorelle e aiutarle con la dote. Le donne sognavano ben presto la libertà dal lavoro dei campi e dal giogo dei genitori e addirittura facevano voti per trovare “il principe azzurro”. Ad esempio mettevano tre fave sotto il cuscino (una intera, una pizzicata e una sbucciata) e al risveglio ne estraevano una a sorte: quella intera simboleggiava il matrimonio con un uomo ricco, quella pizzicata il matrimonio con un uomo né ricco né povero, quella sbucciata il matrimonio con un uomo povero. La sposa doveva essere una buona moglie, onesta e con una buona dote. Doveva possibilmente essere dello stesso Paese e non “forestiera”. Inoltre spesso alla donna venivano legati i capelli fino al giorno delle nozze, come promessa al fidanzato e alla famiglia di lui. Un altro modo di sposarsi era la cosiddetta “fuitina”: uomo e donna si mettevano d’accordo per scappare, andando contro la volontà dei genitori. Se riuscivano a non farsi scoprire per almeno tre giorni di seguito erano poi legittimati a sposarsi e a rendere il loro legame stabile.
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